Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Venerdì, 14 Dicembre 2018 17:22

LA VITAMINA C FA BENE COME CAMMINARE.

15-12-2018

Vitamina C, amica della salute. Secondo un nuovo studio assumerla tutti i giorni può dare gli stessi benefici di una camminata quotidiana con notevoli benefici sul sistema cardiovascolare. A rivelarlo è stato una nuova ricerca condotta dall’University of Colorado Boulder, presentata in occasione della 14esima edizione dell’International Conference on Endothelin di Savannah. Per gli scienziati, l'assunzione di integratori di vitamina C ogni giorno può avere benefici cardiovascolari simili a quelli ottenuti con un regolare esercizio fisico negli individui adulti.
I vasi sanguigni degli adulti in sovrappeso e di quelli obesi infatti presentano un’elevata attività della proteina endotelina (ET-1), che comporta un restringimento dei vasi sanguigni, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari. Precedenti studi avevano dimostrato come lo sport contribuisca a ridurre i livelli elevati di ET-1 ma la nuova ricerca ha cercato di capire se i supplementi di vitamina C potevano migliorare la funzionalità dei vasi, abbassando anche l'ET-1. Il team ha esaminato lo stato di salute di 35 adulti sedentari sovrappeso o obesi per tre mesi. Venti volontari avevano assunto supplementi giornalieri di vitamina C, 15 invece avevano seguito un programma di esercizio aerobico quotidiano. I test hanno poi rivelato che una dose supplementare giornaliera di vitamina C (500 mg) aveva ridotto la quantità di ET-1 al pari dell'attività fisica. Un aiuto in più, anche se una buona camminata non fa mai male.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2013/06/130612101855.htm

http://www.alphagalileo.org/ViewItem.aspx?ItemId=131980&CultureCode=en

http://dx.doi.org/10.1136/bmjopen-2012-002416

20-03-2016

I folati, oltre a risultare molto importanti durante la gravidanza, sembrano essere coinvolti anche in problematiche che interessano l’udito. In uno studio pubblicato in Olanda, è stato dimostrato che un’integrazione a base di acido folico potrebbe prevenire la perdita dell’udito correlata all’età. In questa indagine a doppio cieco della durata di tre anni, sono stati coinvolti 728 persone di età compresa tra i 50 e i 70 anni, suddivise casualmente in due gruppi: al primo sono stati somministrati 800 mg di acido folico al giorno, al secondo un placebo. Alla fine dei tre anni, in entrambi i gruppi si è assistito ad una diminuzione dell’udito, solo che, per quanto riguarda la regione delle basse frequenze, la perdita era stata inferiore per i soggetti che avevano assunto l’integratore. I ricercatori suggeriscono che la sordità potrebbe essere correlata con i livelli plasmatici di omocisteina, che vengono tenuti sotto controllo dall’acido folico. Lo studio conclude affermando che un’integrazione a base di acido folico rallenta la perdita dell’udito per le regioni a bassa frequenza.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17200216

14-12-2018

La mamma è sempre la mamma, non c’è nulla da fare. Se poi la mamma ama cucinare è anche garanzia di ottima salute nei figli. Lo conferma uno studio da parte dell’Università di Granata, pubblicato sulla rivista specialistica Nutricion Hospitalaria, in cui si analizza lo stato nutrizionale e di salute di bambini di età compresa tra i 9 e i 17 anni. Si tratta di bambini e adolescenti che frequentano scuole pubbliche e private del distretto di Granata, sottoposti a visite mediche in cui vengono registrati peso, altezza, indice di massa corporea. Ogni ragazzo ha poi fornito, tramite questionario, informazioni riguardanti le abitudini alimentari della famiglia. I risultati sono stati chiari: i ragazzi alimentati dal cibo preparato dalle loro madri sono quelli che mostrano un indice di massa corporeo migliore e che hanno quindi minori possibilità di sviluppare problemi di obesità nel corso degli anni. I bambini che non consumano pasti cucinati dalla propria madre hanno stati nutrizionali più poveri dei loro coetanei e la motivazione è adducibile al fatto che chi li nutre non conosce veramente le loro reali necessità.

 

http://scielo.isciii.es/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0212-16112012000100021

 
 
 
 
 
 
 
 
 

14-12-2018

Secondo uno studio dell’Università di Osaka, in Giappone, gli individui che consumano maggiore quantità di magnesio sono quelli che presentano meno frequentemente patologie cardiovascolari e diabete. Ignorato fino a poco tempo fa anche dai medici, il magnesio si rivela così uno dei principali alleati del benessere e della salute. La carenza di magnesio, ossia dell’elemento chimico Mg2+, è una delle cause di buona parte dei disturbi fisici che colpiscono la popolazione mondiale. Dallo studio, pubblicato su Atherosclerosis, giornale ufficiale dell’European Atherosclerosis Society e condotto nell’arco di 15 anni su un campione di 58 mila adulti osservati, è infatti emerso che le donne che consumano quantità di magnesio più elevate (circa 274 mg al giorno) hanno un rischio di mortalità cardiovascolare più basso del 36% rispetto a quelle che ne consumano quantità inferiori. Lo studio sugli uomini invece, ha dato come risultato che il consumo di alimenti contenenti magnesio è inversamente proporzionale al rischio di emorragia celebrale. Tra le proprietà del magnesio occorre ricordare la funzione distensiva e calmante che attenua l’eccitabilità dei nervi e dei muscoli, e in più riduce la secrezione di adrenalina, il che evita tensioni articolari e muscolari. Il magnesio risulta inoltre un ottimo alleato contro il mal di testa, i dolori allo stomaco, i crampi, l’intestino irritabile, la tachicardia, i raffreddori, le influenze, le polmoniti, le pleuriti, diverse forme tumorali e grazie alla sua funzione di controllo della pressione arteriosa concorre alla riduzione delle aritmie cardiache e dell’infiammazioni che sono alla base di una bruttissima malattia, l’aterosclerosi. Non tutti lo sanno, ma il magnesio è complice anche del benessere psicologico perché la sua funzione rilassante lo rende l’elemento ideale per chi ha bisogno di rasserenare la propria psiche e allontanarla da ansie, paure, stress, stanchezza e depressione, tutto questo grazie al fatto che un animo più sereno affronta la vita con atteggiamento costruttivo, con vitalità e positività.

ALIMENTI RICCHI DI MAGNESIO

Cacao, sale marino integrale, noci, mandorle, fagioli, cereali integrali, frutti di mare e gamberi. Altri alimenti nei quali ricercare il magnesio, seppure in quantità meno elevata, sono la frutta e la verdura coltivata con metodi biologici, in particolare: broccoli, cavolfiori, rape, carote, cipolle, melanzane, lattuga, pomodori, lamponi, more, melone, ciliegie, fragole, arance, ananas, uva. In erboristeria e farmacia si possono trovare degli integratori di magnesio: uno dei migliori è il Citrato di magnesio; in alternativa a quest’ultimo si può acquistare il Cloruro di magnesio, che è un pò meno efficace, ma è più economico ed ha proprietà antibiotiche e lassative.

QUAL E’ IL GIUSTO APPORTO QUOTIDIANO DI MAGNESIO?

Gli esperti suggeriscono di consumare circa 12-13 mg di magnesio per ogni chilogrammo di peso corporeo, per esempio una persona che pesa 60 kg dovrebbe consumare dai 700 agli 800 mg di magnesio al giorno, ma questo capita raramente a causa di molte cattive abitudini alimentari. Infatti, uno studio rivela che la stragrande maggioranza delle popolazione in una giornata non consuma che mezzo mg di magnesio per ogni kg del proprio corpo.

QUALI SONO LE CAUSE DI UNA CARENZA DI MAGNESIO?

La carenza di magnesio è da imputare a diverse cause quali: diete dimagranti troppo drastiche, abuso di alcol, utilizzo di farmaci o droghe, menopausa, gravidanza, sforzi muscolari prolungati, stress, coliti, diarrea, vomito, insonnia.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22341866

Giovedì, 13 Dicembre 2018 19:18

ALOE VERA PER TRATTARE IL DIABETE DI TIPO 2.

30-11-2016

Il diabete è un’epidemia globale e una delle principali cause di malattia e morte. Ora, un’analisi aggregata di nove studi che ha esaminato l’effetto dell’aloe vera somministrata per via orale nelle persone con diabete e pre-diabete, suggerisce che l’aloe vera dovrebbe essere ulteriormente studiata come un composto antidiabetico. L’analisi è stata condotta da ricercatori dell’USAF David Grant Medical Center a Travis Air Force Base a Fairfield (California). L’analisi mostra che le persone con diabete la cui glicemia a digiuno è superiore a 200 mg/dl possono trarre maggiori benefici dal trattamento con aloe vera somministrata per via orale. Il diabete è una condizione permanente in cui lo zucchero nel sangue è troppo alto, con conseguenti danni agli organi se non trattato. Ci sono 382 milioni di persone nel mondo che vivono con il diabete e il diabete di tipo 2 rappresenta la stragrande maggioranza dei casi. Gli autori fanno notare che negli Stati Uniti - dove circa 21 milioni di persone hanno la malattia - il costo del trattamento e perdita di produttività nel 2012 a causa del diabete sono stati di 245.000.000.000 di dollari. Il costo globale si prevede che possa superare 490.000.000.000 di dollari entro il 2030. Un rimedio naturale per trattare la condizione è l’aloe vera (Aloe barbadensis), una pianta utilizzata in medicina dai cinesi, egiziani, greci, indiani, giapponesi e messicani da migliaia di anni. Più recentemente, l’aloe vera è stata utilizzata per trattare per uso topico la dermatite seborroica, psoriasi vulgaris ed herpes genitale e oralmente come lassativo.
La parte della pianta di aloe vera che viene utilizzata sono le foglie ed i componenti principali della pianta sono presenti nella parte esterna della pianta e nel gel interno incolore. “La pianta di aloe vera contiene almeno 75 composti attivi, che comprendono in particolare vitamine, enzimi, minerali, antrachinoni, monosaccaridi, polisaccaridi, lignina, saponine, acido salicilico, fitosteroli e aminoacidi”, spiegano gli autori della ricerca che citano anche studi che suggeriscono che alcuni di questi composti hanno un ruolo nel migliorare il controllo della glicemia. La pianta contiene anche elementi come cromo, magnesio, manganese, zinco, noti per essere importanti per il metabolismo del glucosio, migliorando l’efficacia dell’insulina. Studi precedenti sull’aloe vera come rimedio per una serie di malattie croniche - come l’asma, il glaucoma, la pressione alta, malattie infiammatorie intestinali e il diabete - hanno prodotto evidenze limitate o incoerenti. Tuttavia, l’aloe sta diventando un rimedio naturale sempre più popolare ed i ricercatori hanno deciso di indagare le sue proprietà.
Per la loro analisi, il team ha osservato l’effetto dell’aloe vera somministrata per via orale sulla glicemia a digiuno (FPG), emoglobina A1c (HbA1c), test di tolleranza al glucosio orale (OGTT) e una serie di altre misure nella popolazione in fase di pre-diabete e diabete. I ricercatori hanno trovato che solo nove studi avevano dati appropriati per una meta-analisi e avevano condotto indagini su FPG e HbA1c. Di questi studi, tutti e nove hanno controllato FPG su un totale di 283 partecipanti e cinque HbA1c su un totale di 89 partecipanti. FPG (o glucosio a digiuno) misura il livello di glucosio nel sangue durante un periodo in cui il paziente non ha mangiato nè bevuto, tranne l’acqua, per almeno 8 ore. In questo intervallo, i pazienti con 100-125 mg/dl di glucosio sono considerati pre-diabetici e con 126 mg/dl o più, come diabetici. HbA1c (emoglobina glicata, a volte chiamata emoglobina A1c) è una misura della glicemia media degli ultimi 2-3 mesi. Un livello maggiore o uguale a 6,5 per cento è considerato diabetico. La meta-analisi ha mostrato che l’aloe vera ha ridotto sia FPG che HbA1c nelle popolazioni studiate. Secondo i ricercatori “i dati suggeriscono che i pazienti con un FPG ≥200 mg/dl possono avere un maggiore beneficio dal trattamento con l’aloe vera e questa popolazione ha visto una riduzione media di FPG di 109,9 mg/dl”. Nella loro conclusione, i ricercatori indicano diversi limiti dei dati e dei risultati e concludono che: “Ulteriori studi clinici sono necessari per esplorare ulteriormente questi risultati”.

 

http://online.liebertpub.com/doi/10.1089/acm.2015.0122

04-08-2016

L’alfalfa, o erba medica (Medicago sativa), è una pianta leguminosa originaria dell’area medio-orientale, oggi coltivata ovunque su larga scala principalmente come erba da foraggio. Oltre alla ricca e completa composizione che comprende minerali, vitamine, aminoacidi e flavonoidi, questa pianta contiene un numero di componenti “non nutrienti” che possono avere effetti salutari nell’organismo umano. I ricercatori hanno identificato nella pianta alcuni composti attivi sugli ormoni, i più importanti dei quali sono i fitoestrogeni. Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato una ridotta incidenza di sintomi e patologie post-menopausali (malattie cardiovascolari, osteoporosi e tumori ormono-dipendenti) nelle donne che consumano diete ricche di fitoestrogeni. Questi non sono veri estrogeni, ma possiedono strutture molecolari abbastanza simili all’estrogeno per legare i recettori dell’estradiolo. Nell’erba medica, il principio biologicamente più rilevante è il cumestrolo, un derivato cumarinico, presente in alte concentrazioni nelle foglie (10-184 mg/g) e nei germogli (5 mg/g). Altri fitoestrogeni presenti sono genisteina, formonetina, diadzeina e biocanina. Il cumestrolo mostra un’attività estrogenica pari al 5% di quella osservata nell’estradiolo, seguito da genisteina (1%) e formonetina (0,1).

MENOPAUSA

L’utilizzo della Medicago sativa appare promettente nel trattamento di alcuni squilibri endocrini, grazie all’azione bilanciante dei fitoestrogeni che possono essere utilizzati sia nei casi di ipoestrogenismo che iperestrogenismo. Nell’ipoestrogenismo i fitoestrogeni si legano direttamente ai recettori dell’estrogeno, provocando un lieve effetto estrogenico, che viene aumentato dalla tendenza dei fitoestrogeni a concentrarsi nei tessuti riproduttivi. Questo è stato dimostrato in vivo e in vitro. Nell’iperestrogenismo l’azione dei fitoestrogeni compete con i siti di legame, riducendo il numero di recettori disponibili all’azione degli estrogeni endogeni, diminuendo la stimolazione estrogenica. In uno studio condotto su 30 donne in menopausa, l’assunzione di alfalfa e di un estratto di foglie di salvia per 3 mesi, ha provocato la scomparsa di vampate e sudore notturno in 20 pazienti. È importante notare che anche le altre donne partecipanti allo studio hanno osservato un miglioramento generale dovuto alla riduzione dei principali sintomi della menopausa.

COLESTEROLO

Risalgono al 1967 le prime osservazioni di Cookson, secondo le quali i conigli alimentati con alfalfa (erba medica) mantenevano basse concentrazioni di colesterolo nel plasma. Le ricerche sono proseguite nell'uomo, confermando i risultati ottenuti in vivo. Secondo alcuni autori, le saponine contenute nell'erba medica formano nell'intestino complessi insolubili con il colesterolo LDL, inibendone di conseguenza l'assorbimento, senza modificare i livelli di colesterolo HDL. Per altri ricercatori il meccanismo implicato nella riduzione del colesterolo plasmatico sembra essere ricollegabile più alla presenza di fitosteroli che alle saponine. I fitosteroli, infatti, sono steroli vegetali che limitano l'assorbimento e competono con il colesterolo per i siti di legame. I principali fitosteroli presenti nell'alfalfa sono sitosterolo, stigmasterolo e, in minori quantità, campestrolo e alfa-pinestrolo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9677811

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12670155

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/3606731

 
 
 
Lunedì, 10 Dicembre 2018 21:37

AUTISMO E CARENZA DI ACIDO FOLICO.

22-02-2016

L’acido folico e i folati sono vitamine del gruppo B che tutte le donne in età fertile che desiderino concepire un bambino dovrebbero assumere. È infatti risaputo che questi composti sono particolarmente importanti durante la gravidanza per la formazione dell’embrione e per la prevenzione primaria dei difetti del tubo neurale (DTN) e di altre malformazioni congenite. Una rassegna pubblicata su British Journal of Nutrition indica che uno stato materno carente di folati potrebbe influenzare anche il rischio di disturbi dello spettro autistico infantile (ASD). Un gruppo di ricercatori svedesi del Karolinska Institute e statunitensi del Drexel Autism Institute e della Drexel University School of Public Health, ha esaminato 11 studi per scoprire le cause implicate nello sviluppo di questa complessa patologia multifattoriale che è l’autismo. Dai risultati è emerso che un insufficiente apporto di folati può causare ipometilazione del DNA. La metilazione del DNA, processo associato al neuro-sviluppo e all’espressione genica, dipende da donatori metilici dietetici come folati, colina e metionina: cambiamenti nella disponibilità di tali donatori possono indurre modificazioni nella capacità di metilazione del DNA e potenzialmente nel neuro-sviluppo. 
Gli Autori arrivano alla conclusione che, nonostante manchino dati definitivi che attestino che la somministrazione perinatale di acido folico possa prevenire l’autismo, attualmente sono in corso alcuni studi clinici per fornire risposte su questa interessante ipotesi. L’acido folico e i folati sono essenziali per tutte quelle cellule che vanno incontro a processi di differenziazione e rapida proliferazione (ad esempio le cellule ematiche e cutanee). Seppur presenti in natura nella carne, nel lievito di birra e in molti vegetali, la cottura li riduce notevolmente (circa 80%). Un adeguato apporto di folati sembra proteggere da una scarsa funzione cognitiva e da alcuni disturbi neurologici ed è inversamente correlata con patologie cardiovascolari e con il rischio di cancro del colon, mentre le ricerche su altre forme di tumore hanno fornito dati contrastanti.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26243379

06-05-2016

Per combattere le potenziali tendenze alle allergie del bebè un nuovo studio svedese propone un’originale strategia di igiene del ciuccio e invita i genitori a pulirlo con la propria saliva, succhiandolo prima di reintrodurlo nella bocca del piccolo. Il metodo insolito si è dimostrato efficace e permette al neonato di essere esposto a microbi provenienti da mamma e papà che lo aiuteranno a rinforzare il sistema immunitario e a diventare meno vulnerabile a patologie come asma ed eczema e meno sensibile in generale agli allergeni. La suzione del ciuccio da parte dei genitori nei primi mesi di vita del bambino può contribuire a diminuire significativamente il rischio di insorgenza di allergie del bebè attraverso il trasferimento dei microbi contenuti nella saliva della madre e del padre. Grazie a questo sistema, inoltre, sul ciuccio si posizioneranno le immunoglobuline dei genitori capaci di combattere i batteri che saranno così indeboliti. Lo studio è stato condotto da Bill Hesselmar del Queen Silvia Children’s Hospital a Goteborg in Svezia e pubblicato on line sulla rivista "Pediatrics".

 

http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2013/04/30/peds.2012-3345.abstract

11-12-2018

Il ferro è un nutriente essenziale per il meccanismo fisiologico di produzione degli elementi del sangue (ematopoiesi). Il ferro interviene, inoltre, nella produzione della carnitina, nella sintesi del collagene e dell’elastina, nella sintesi e nella regolazione di numerosi neurotrasmettitori che garantiscono un corretto funzionamento del sistema immunitario e proteggono l’organismo dai danni provocati dai processi ossidativi. Affinché il ferro possa essere assorbito e quindi utilizzato, è essenziale la presenza di vitamina C, rame e vitamina B12. Il rame partecipa alla conversione del ferro in emoglobina, il quale altrimenti rimarrebbe inutilizzata nel fegato. Per quanto riguarda invece la funzione sinergica con la vitamina C, diversi studiosi già a partire dal 1968 scoprirono che la somministrazione contemporanea di ferro e acido ascorbico incrementava fino al 50% l’assorbimento di ferro. Questo vale anche per l’acido folico, la cui associazione con il ferro sembra fornire una migliore risposta terapeutica nelle donne affette da anemia sideropenica. I folati, inoltre, sono sinergici con la vitamina B12, necessaria per la produzione dei globuli rossi. Solo una piccola percentuale di ferro che ingeriamo viene assorbita dall’organismo: infatti l’organismo umano riesce a utilizzare meno del 10% del ferro contenuto nei vegetali (ferro non-eme) e circa il 20% di quello contenuto nelle proteine animali (ferro eme). Gruppi di popolazione a rischio sono bambini, adolescenti, gravide, soggetti con perdite ematiche croniche, vegetariani, atleti e soggetti con morbo celiaco ed Helicobacter pylori.

ANEMIE

Le anemie da carenza di ferro sono un fenomeno assai diffuso, soprattutto nelle donne fertili e negli anziani a causa di un’insufficiente assunzione con la dieta di questo minerale. Nei paesi occidentali le fasce d’età più a rischio sono i bambini nei primi 4 anni di vita, gli adolescenti tra gli 11 e i 18 anni e le donne tra i 15 e i 45 anni. Nei bambini e adolescenti il fabbisogno di ferro per la crescita può superare l’apporto dietetico o le riserve dell’organismo. Affaticamento, depressione, dispnea, diminuita resistenza, pallore, unghie fragili, vertigini, glossite, alopecia telogen, ridotto sviluppo cognitivo e sociale durante l’infanzia e difficoltà nel mantenere la temperatura corporea sono i principali sintomi da carenza di ferro.

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Studi epidemiologici hanno fornito forti evidenze dell’associazione tra anemia grave nelle donne gravide e conseguenze negative, come basso peso alla nascita, parto prematuro e mortalità materna. La domanda di ferro è maggiore nel terzo trimestre di gravidanza, per supportare l’eritropoiesi fetale e l’accumulo di ferro nella placenta. I bambini nati da madre con anemia sideropenica o quelli prematuri, con un più basso peso corporeo alla nascita e una più rapida velocità di crescita postnatale, presentano un più alto rischio di carenza di ferro. La supplementazione di ferro risulta particolarmente utile anche nel periodo post-partum e in caso di gravidanze ravvicinate.

ATTIVITA’ SPORTIVA INTENSA

L’incidenza della deplezione di ferro è riportata tra il 30 e il 50% degli atleti. L’allenamento fisico intenso può ridurre le riserve di ferritina, provocando un bilancio negativo di ferro, soprattutto negli atleti di sesso femminile. Si evidenziano riduzioni di forza, potenza e resistenza in maratoneti, atleti di mezzo fondo e di fondo, nell’allenamento in altura e negli sportivi che praticano discipline che richiedono cali di peso.

MANCANZA DI CONCENTRAZIONE E SCARSE FUNZIONI COGNITIVE

La carenza di ferro può contribuire alla comparsa di danni neurologici. In numerosi studi osservazionali è stata evidenziata una relazione tra carenza di ferro e sviluppo cognitivo e rendimento scolastico scarsi, oltre a problemi comportamentali. In alcuni studi la supplementazione di ferro a ragazze adolescenti ha mostrato significativi miglioramenti nelle performan ce dell’apprendimento verbale e nei test per la memoria. Secondo recenti studi, un basso livello di ferro influisce negativamente sulla capacità di concentrazione e, di conseguenza, sul rendimento scolastico. In uno studio inglese i ricercatori hanno individuato differenze altamente significative nel QI di ragazze anemiche con carenza di ferro nel sangue, rispetto a ragazze con semplice carenza di ferro e a quelle con livelli del minerale nella norma.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11160596

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10721924

11-12-2018

Il CLA, o acido linoleico coniugato, è un insieme di forme isomeriche dell’acido linoleico. L’acido linoleico è un acido grasso 18:2n6 (omega-6), che ha quindi 18 atomi di carbonio e due doppi legami, il primo dei quali coinvolge il sesto atomo di carbonio. Questa sostanza non può essere sintetizzata dall'organismo perché l’uomo non possiede l’enzima atto all'introduzione (desaturazione). Per CLA s'intende quell'insieme di isomeri derivati dall'acido linoleico che presentano doppi legami all'altezza degli atomi di carbonio 9 e 11 o 10 e 12 con tutte le combinazioni cis e trans.

RIDUZIONE DEL GRASSO CORPOREO E INCREMENTO DELLA MASSA MAGRA

Uno studio suddiviso in due parti ha valutato l’effetto del CLA per 2 anni sulla composizione corporea di adulti sani in sovrappeso. Nella prima parte dell’esperimento, 180 uomini e donne sani, con un indice di massa corporea di 25-30, sono stati divisi in 3 gruppi: un gruppo ha ricevuto 4.5 mg di CLA in forma di acidi grassi liberi (FFA), pari a 3,4 g di isomeri di CLA-FFA; il secondo ha ricevuto 4.5 g di CLA in forma di triacilgliceroli (3,4 di isomeri di triacilgliceroli) e il terzo 4,5 g di olio di oliva (placebo). I ricercatori misurarono la composizione corporea dei soggetti: indice massa corporea (BMI), massa magra (LBM), massa grassa (BFM) e assunzione calorica. Dopo 12 mesi il gruppo CLA triacilgliceroli mostrò una riduzione media del peso pari -1.8 ± 3.4 kg edella BMI (-0.6 ± 1.2 kg/m2). Il gruppo CLA-FFA aumentò in maniera significativa la LBM rispetto al placebo (rispettivamente 0.7 ± 2.0 kg versus 0.0 ± 1.5 kg). Dopo 6 mesi fu osservata nei gruppi di trattamento una significativa riduzione nella BFM (CLA-FFA -1.7 ± 3.0 kg; CLA triacilgliceroli -2.4 ± 3.0 kg; placebo +0.2 ± 3.3 kg), riduzione che continuò nella seconda parte dello studio. Sempre rispetto al placebo, il gruppo CLA triacilgliceroli ha mostrato una significativa riduzione nel peso corporeo e del BMI, mentre nel gruppo CLA-FFA è stato evidenziato un significativo aumento della massa magra. Gli Autori indicano che tutte e due le misture di CLA portano a una significativa riduzione nella BFM in adulti sani in sovrappeso nel corso di 1 anno. L’effetto sembra essere indipendente dalla dieta e dall'assunzione calorica.
Nella seconda parte dello studio sono stati seguiti 134 dei 157 soggetti che avevano completato la prima parte. Non furono osservate riduzioni nel peso corporeo o del BMI nei mesi da 12 a 24 nei gruppi di trattamento. Dal mese 0 al 24 non vi furono significativi cambiamenti nella LBM nei gruppi non placebo, nonostante i buoni risultati riportati nel primo anno. Gli Autori riportano che i pazienti che avevano risposto alla somministrazione delle 2 forme di CLA, con la riduzione della BFM durante i primi 12 mesi, nel secondo anno hanno avuto valori stabili di BFM, LBM e peso corporeo. Al contrario, i soggetti non rispondenti nella prima parte dello studio, hanno mostrato una significativa riduzione del peso corporeo e BFM nella seconda parte. Concludendo, gli Autori affermano che la supplementazione di CLA per 24 mesi ad adulti sani in sovrappeso, porta alla riduzione del peso corporeo e della BFM, mentre mantiene la LBM. Questi cambiamenti non sono da attribuire a dieta o esercizio fisico.
Un altro studio random, doppio cieco, placebo-controllo, ha valutato l’assunzione di 3.2 g/die di CLA per 6 mesi in 40 soggetti sani in sovrappeso (18-44 anni, BMI 25-30). Il peso corporeo fu misurato mensilmente durante il periodo pre-festività (agosto-ottobre), periodo di festività (novembre-dicembre) e periodo post-festività (gennaio-marzo). Il gruppo placebo, ha mostrato un tasso di aumento del peso superiore a quello che aveva assunto CLA durante il periodo delle vacanze, incremento che fu trovato superiore a quello del periodo pre-vacanza (agosto-ottobre). Nel gruppo CLA è migliorata la composizione corporea e si è osservata una riduzione del grasso corporeo (-1.0 ± 2.2 kg). La supplementazione con CLA in adulti in sovrappeso riduce in maniera significativa il grasso corporeo in 6 mesi e previene l’aumento di peso durante le festività.

EFFETTI SU COLESTEROLO, GLICEMIA E LEPTINA PLASMATICA

Nei numerosi studi clinici condotti sono stati osservati insulino-resistenza, riduzione della glicemia e della leptina plasmatica dopo la supplementazione di CLA. Altri dati mostrano la diminuzione del colesterolo totale e di quello LDL.

ATTIVITA’ FISICA INTENSA

L'assunzione di CLA è particolarmente utile per gli sportivi che intendano potenziare la muscolattura, a scapito della massa grassa. Il CLA ha la proprietà di ottimizzare il peso corporeo degli sportivi. Infatti la sua azione è di ridistribuire le risorse dell'organismo (lipidi, proteine, carboidrati), favorendo i naturali processi di conversione di queste sostanze.

 

http://ajcn.nutrition.org/content/79/6/1118.abstract

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15159244

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15795434

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16924272

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