Angelo Ortisi
L'FDA METTE IN GUARDIA DAI RISCHI DI ANTINFIAMMATORI E ANTIDOLORIFICI COME L'IBUPROFENE.
19-11-2018
Antidolorifici e antinfiammatori sono farmaci non certo privi di effetti collaterali. La loro assunzione non dovrebbe mai avvenire alla leggera. Negli Stati Uniti l'FDA sta mettendo in guardia la popolazione dai rischi associati all'assunzione di farmaci antinfiammatori e antidolorifici. Alcuni di questi farmaci potrebbero provocare effetti collaterali anche gravi seppur assunti nelle dosi raccomandate. La preoccupazione riguarda soprattutto quei farmaci antidolorifici e antinfiammatori che possono essere acquistati da chiunque senza ricetta medica. Secondo l'FDA i farmaci antinfiammatori FANS possono aumentare la probabilità di un attacco di cuore o di un ictus e anche causare la morte.
Questi gravi effetti collaterali possono verificarsi già nelle prime settimane di trattamento e il rischio può aumentare con un proseguimento dell'assunzione di tali farmaci. L'FDA sa bene che questi farmaci da banco sono spesso utilizzati per ottenere un sollievo temporaneo da dolori o stati febbrili ma anche per trattare condizioni più complicate, come l'artrite. Molte persone sono abituate ad assumere questi farmaci anche ogni giorno per trattare i propri problemi di salute e non sono abbastanza coscienti dei relativi effetti collaterali. Ora l'FDA ha dichiarato che esiste il rischio di andare incontro ad un infarto o a un ictus già nelle prime settimane di assunzione di questi medicinali. Il riferimento all'aumento del rischio di infarto come effetto collaterale riguarda in particolare l'utilizzo di farmaci FANS, cioè di antinfiammatori non steroidei. Già da anni l'FDA aveva messo in guardia la popolazione dai rischi di infarto e ictus legati a questi medicinali, ma ora la soglia di pericolo viene innalzata. Per giungere a questa raccomandazione l'FDA ha analizzato numerosi studi in proposito. Il rischio di infarto e di ictus in base a questi studi aumenta dal 10% al 50% a seconda dei medicinali assunti e delle loro quantità. L'avvertenza coinvolge soprattutto i farmaci a base di ibuprofene e naproxene.
I farmaci FANS vengono spesso prescritti per il trattamento di disturbi come artrite, artrite reumatoide, gotta ed altre condizioni reumatologiche, ma anche in caso di dolori più comuni come mal di testa, mal di denti, dolori muscolari,crampi mestruali e tendiniti. L'FDA aveva già aggiornato le confezioni di questi medicinali nel 2005 per mettere in guardia da un maggior rischio di ictus e di infarto ed ora le raccomandazioni negli Usa diventeranno ancora più severe. Cosa dovrebbero fare dunque i pazienti? L'invito è ad assumere questi farmaci solo in caso di reale necessità e non come se si trattasse di panacee per tutti i mali. Durante l'assunzione i consumatori dovranno essere consapevoli dei rischi di ictus e di infarto e parlarne con il proprio medico. Prima di decidere di assumere questi farmaci bisognerebbe sempre fare presente al medico il proprio stato di salute, soprattutto se si soffre di pressione alta, di problemi circolatori o di malattie cardiache, e avvertirlo subito in caso si presentino sintomi inaspettati o preoccupanti. Per quanto riguarda l'Europa, l'Agenzia Europea del Farmaco di recente ha provveduto a modificare il bugiardino dell'ibuprofene per avvertire i pazienti dei rischi ed effetti collaterali per l'apparato cardiocircolatorio.
http://www.newsmax.com/FastFeatures/ibuprofen-after-heart-attack/2015/09/16/id/691945/
http://wncn.com/2015/07/13/dr-campbell-fda-changes-warnings-on-ibuprofen-and-other-nsaids/
COLON IRRITABILE: ECCO LA VITAMINA CHE PUO’ AIUTARE.
18-11-2018
La sindrome del colon irritabile, che causa diversi problemi intestinali, potrebbe essere causata da una carenza di vitamina D. Secondo uno studio condotto presso l’università di Sheffield e pubblicato sulla rivista BMJ Open Gastroenterology, l’82% dei soggetti con questo disturbo presenta questo tipo di carenza. La sindrome del colon irritabile è un disturbo diffuso e molto variegato sia nei sintomi, come dolori addominali, crampi, costipazione o diarrea, sia nel livello di gravità. Colpisce il 10-15% degli individui, i suoi effetti sono amplificati da dieta scorretta e vita stressante e in molti casi influisce anche sulla qualità della vita. Sotto la guida di Bernard Corfe, gli esperti britannici hanno analizzato il sangue di un gruppo di pazienti con questo disturbo intestinale e osservato che nell’82% dei casi ad esso si associa una carenza di vitamina D. Inoltre è emerso che la gravità del disturbo per ciascun paziente è intimamente correlata col grado di tale carenza vitaminica. Lo studio suggerisce l’opportunità di fare uno screening della concentrazione di vitamina D in pazienti con questo disturbo e potenzialmente anche di tentare un’integrazione vitaminica per vedere se questa possa essere di aiuto nella gestione dei sintomi.
PROPRIETA’ CURATIVE DELLE BACCHE DI GOJI.
17-03-2016
Goji è la contrazione inglese del nome mandarino “gouqi” del Lycium barbarum, una pianta originaria del Tibet e diffusa in molti paesi asiatici. Le bacche di questo arbusto, ingredienti molto popolari nella cucina cinese, recentemente hanno mostrato interessanti proprietà biologiche. L. barbarum è stato utilizzato per oltre 2000 anni dalla medicina tradizionale cinese come tonico yang. La frazione polisaccaridica, chiamata LBP (Lycium Barbarum Polysaccharides), rappresenta il gruppo quantitativamente più importante di sostanze presenti nel frutto del goji. Un secondo importante gruppo di metaboliti sono i carotenoidi, dei quali la zeaxantina palmitato è il costituente predominante (56% dei carotenoidi totali). I polisaccaridi isolati dal Lycium hanno dimostrato una rilevante attività antiossidante che si esplica aumentando i marker endogeni di antiossidanti.
ATTIVITA’ IMMUNOMODULATORIA
L’attività immunomodulatoria, soprattutto immunostimolante, ha attirato molta attenzione, in particolare riguardo le immunoterapie per il cancro. E’ stata, inoltre, osservata un’attività proapoptotica, che potrebbe contribuire alle proprietà antitumorali. Il potenziale effetto del goji come trattamento coadiuvante nella terapia del cancro, è stato testato in uno studio clinico condotto in Cina su 75 pazienti con cancro in stadio avanzato. L’estratto di goji associato con la terapia LAK (lymphokine-activated killer) ha permesso un tasso migliore sia di risposta che di remissione, che non la sola terapia con LAK. Il tasso di risposta è stato del 40.9% nei soggetti che avevano ricevuto goji, contro il 16.1% di quelli che avevano seguito solo la terapia farmacologica. L’influenza degli LBP sulle cellule di cancro alla prostata è stata studiata in vitro e in vivo. I risultati in vivo hanno mostrato che gli LBP possono inibire in maniera dose e tempo-dipendente la crescita di cellule PC-3 e DU-145 (linee cellulari di cancro alla prostata) e causare la rottura dei filamenti del DNA di queste cellule. Gli esperimenti in vivo indicano che gli LBP possono inibire la crescita del tumore PC-3 in topi, diminuendo sia il volume che il peso del tumore. Il goji ha mostrato di migliorare il tasso di trasformazione dei linfociti e la funzionalità fagocitica dei macrofagi.
PROTEZIONE OCULARE
Tradizionalmente utilizzato in Cina per migliorare la vista, studi recenti hanno mostrato che il goji riduce il tempo di adattamento all'oscurità e migliora la vista in caso di luce soffusa. Fino al 95% del contenuto di zeaxantina del goji è dipalmitato, una forma esterificata con il doppio della biodisponibilità nell'uomo rispetto alla forma non esterificata, come dimostrato dai livelli plasmatici di carotenoidi. Le forme esterificate dei carotenoidi forniscono una maggiore stabilità contro il danno ossidativo rispetto alle forme libere o non esterificate. Inoltre, nessun altro alimento ha mostrato un contenuto in zeaxantina maggiore di quello delle bacche del goji.
ATTIVITA’ NEUROPROTETTIVA
Un’altra linea di ricerca riguarda le proprietà neuroprotettive. Le ricerche su topi hanno mostrato che l’assunzione di bacche di goji (2-4% della dieta totale) è neuroprotettiva e aumenta le prestazioni cognitive. L’eccitotossicità del glutammato svolge un ruolo nella patogenesi del morbo d’Alzheimer. Un pretrattamento orale con L. barbarum ha mostrato di proteggere i neuroni corticali di topo contro la tossicità indotta da beta-amiloidi. Gli effetti neuroprotettivi sono stati ricercati anche in modelli di ipertensione oculare di glaucoma. I ratti nutriti con goji hanno mostrato una forte riduzione della perdita di gangli cellulari dalla retina.
BENESSERE GENERALE E PESO CORPOREO
In uno studio clinico su 42 partecipanti, età media 68 anni, il consumo di 50 mg di estratto di goji 2 volte al giorno per 2 mesi ha diminuito vertigini, affaticamento, dispnea e disturbi del sonno. In un altro studio in doppio cieco l'assunzione di goji in giovani adulti per 14 giorni ha aumentato la sensazione soggettiva di benessere generale, migliorando le performance neurologiche e la funzionalità gastrica. In un trial clinico l'assunzione ha mostrato una consistente riduzione della circonferenza di vita rispetto al gruppo placebo, con effetti benefici sulla funzionalità muscolo-scheletrica.
CAVOLFIORE: UN CAVALIERE BIANCO CONTRO IL CANCRO.
28-11-2017
Come altri rappresentanti della famiglia delle crocifere, il cavolfiore è molto ricco di nutrienti capaci di muovere guerra a numerose malattie, compresi i tumori. Sebbene di solito quando si parla di nutrizione sana i fratelli più scuri dei cavolfiori, i broccoli, destino molto più interesse, anche i cavolfiori hanno la loro buona dose di proprietà antitumorali. I ricercatori hanno scoperto due armi potenti nell'arsenale anticancro del cavolfiore: i fitonutrienti sulforafano e indolo-3-carbinolo (I3C). Queste due sostanze, presenti in tutte le crocifere, sono probabilmente il motivo per cui dagli studi scientifici risulta sistematicamente che chi ha l'abitudine di mangiare crocifere ha meno probabilità di ammalarsi di tumore. In uno studio condotto alla Johns Hopkins University di Baltimora 145 cavie sono state esposte ad alte dosi di una potente sostanza cancerogena. Centoventi di esse hanno ricevuto inoltre alte dosi di sulforafano a scopo protettivo. Dopo 50 giorni, il 68% degli animali non protetti aveva sviluppato tumori della mammella, contro il 26% soltanto del gruppo trattato con sulforafano. Il sulforafano induce un aumento della sintesi di quegli enzimi che eliminano le tossine dall'organismo prima che riescano a provocare danni alle cellule trasformandole in cellule tumorali. L'altra sostanza antitumorale contenuta nel cavolfiore, l'I3C, funge da antiestrogeno. In altre parole, riduce i livelli degli estrogeni nocivi che possono favorire lo sviluppo tumorale in cellule ormono-sensibili quali ad esempio quelle della mammella e della prostata. Per questo, nonostante sia dimostrato che chi consuma crocifere è protetto da tutti i tipi di tumore, questi ortaggi sono efficaci soprattutto contro i tumori del colon, della mammella e della prostata. Oltre a proteggere dal cancro, il cavolfiore è ricco di vitamina C e di acido folico, due nutrienti ben noti per la capacità di stimolare le difese immunitarie. Bastano tre cimette di cavolfiore crudo per fornire il 67% del fabbisogno giornaliero di vitamina C, ovvero più di quanta se ne trovi in un mandarino o in un pompelmo, e il 9% del fabbisogno giornaliero di acido folico. Aumentando il livello di assunzione di vitamina C e di altre vitamine antiossidanti come la E e il betacarotene è possibile assicurarsi il buon funzionamento del sistema immunitario e prevenire numerose malattie, quali cardiopatie, tumori e cataratte. Dal momento che fa bene al sangue, l'acido folico spesso viene consigliato per prevenire l'anemia. Inoltre è indispensabile per un normale accrescimento dei tessuti e a lungo andare la sua carenza può preparare la strada a malattie come il tumore e le cardiopatie.
QUALCHE SUGGERIMENTO
- Attenzione al colore: non comprate mai cavolfiori che abbiano macchie scure, che significano che non sono freschi.
- Imparate ad apprezzarlo crudo: per mantenere intatti i preziosi indoli, è bene tenere il cavolfiore lontano dal calore. La cosa migliore è mangiarlo crudo o cotto velocemente a vapore nel wok. Il metodo meno indicato è la bollitura, durante la quale va perduta circa la metà degli indoli.
IL COENZIMA Q10 AIUTA A GUARIRE DA MALATTIE NEURODEGENERATIVE.
17-11-2018
Il Coenzima Q10 è un coenzima chiave per la generazione di energia a livello cellulare. La maggior parte di noi conosce il valore del CoQ10 per la salute del cuore. Ora un caso clinico recente, ha dimostrato che il CoQ10 può essere di valore per invertire malattie neurodegenerative anche estreme. Questo caso ha coinvolto un 75enne affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), spesso definita come morbo di Lou Gehrig. La SLA colpisce gli impulsi nervosi muscolari scheletrici che controllano la contrazione. La malattia può iniziare con spasmi, crampi e debolezza muscolare. Poi si diffonde con una totale atrofia muscolare con incapacità di mangiare, deglutire, respirare e difficoltà di articolazione della parola. Uno scienziato giapponese malato di SLA, ha fatto una valutazione clinica di CoQ10 su di lui. Al 75enne scienziato era stata diagnosticata la SLA nel 2000. Nel 2005, era arrivato al punto di non poter più svolgere le attività più comuni e banali. In un estratto dal Vitasearch.com, lo scienziato riferisce ”la malattia è stata trattata con una forma altamente biodisponibile di coenzima Q10, a partire da 200 mg, due volte al giorno per 4 settimane seguiti da 500 mg, due volte al giorno, e poi di nuovo giù a 200 mg due volte al giorno. “I suoi miglioramenti sono stati significativi con la ripresa della maggior parte della sua attività motoria volontaria, insieme con il ripristino della presa. Il tasso di indebolimento muscolare è stato abbassato. Il paziente scienziato era ancora in vita quando lo studio sul CoQ10 è stato riportato in The Open Nutraceuticals Journal nel settembre 2012. Questo è abbastanza impressionante per una malattia neurologica progressiva diagnosticata quando aveva 70 anni e trattata con CoQ10 quando ne aveva 75. Se il trattamento con il CoQ10 può fare questo per la SLA, che cosa potrebbe fare per altre malattie neurologiche come la sclerosi multipla, il Parkinson o l'Alzheimer? Gli studi effettuati su topi e cani con danni al sistema nervoso indotti chimicamente, hanno dimostrato che il CoQ10 ha ripristinato il sistema nervoso nel cervello e il metabolismo cellulare nervoso. L’intera relazione con dati medici può essere così sintetizzata: le capacità antiossidanti potenti del CoQ10 sono degne di applicazione sia per i problemi del cuore che del cervello e salute dei nervi. Basta fare in modo che il CoQ10 sia in una forma molto biodisponibile. Inoltre il CoQ10 può essere tranquillamente assunto in grandi dosi per interventi terapeutici su malattie neurologiche esistenti.
IL CARDO MARIANO MIGLIORA LA FUNZIONALITA’ EPATICA.
30-03-2016
Il cardo mariano (Silybum Marianum), è una pianta erbacea tipica del bacino del Mediterraneo. I frutti maturi del cardo contengono dei flavonolignani, i quali, isolati sottoforma di una miscela di prodotti di condensazione, costituiscono la silimarina che rappresenta l’1,5-3% della droga ed è formata da silibina, silidianina e silicristina. La silimarina agisce in 4 differenti modi:
1. come antiossidante, scavenger e regolatrice del contenuto intracellulare di glutatione;
2. stabilizzando la membrana cellulare, regolandone la permeabilità per prevenire l’ingresso di agenti epatotossici negli epatociti;
3. promuovendo la sintesi ribosomiale di RNA, che stimola la rigenerazione epatica;
4. inibendo la trasformazione degli epatociti stellati in miofibroblasti, processo responsabile per la deposizione di fibre collagene che provoca la cirrosi.
Il meccanismo chiave che assicura l’effetto epatoprotettivo sembra essere quello spazzino dei radicali liberi. Sono documentate in vivo anche proprietà antinfiammatorie (inibisce la formazione di acido arachidonico) e anticarcinogeniche.
EFFETTO EPATOPROTETTIVO
Le preparazioni a base di cardo mariano hanno dimostrato di aumentare la resistenza delle cellule epatiche all’attacco di alcune sostanze nocive (tetracloruro di carbonio e galattosammina), riducendo la permeabilità della membrana esterna degli epatociti. Questa attività è data dalla silimarina, che ha mostrato di agire come antagonista in numerosi modelli sperimentali di danno epatico. La silimarina protegge il fegato dai danni causati da farmaci e da sostanze tossiche (insetticidi, antiparassitari). Esperimenti clinici indicano che la silimarina esercita effetti epatoprotettivi in caso di epatiti virali acute, epatiti tossiche indotte da agenti psicotropi e malattie epatiche da abuso di alcol, inclusa la cirrosi, a dosaggi di 400-1.140 mg di estratto secco standardizzato. L’effetto epatoprotettivo è stato documentato dal miglioramento dei test di funzionalità epatica.
ATTIVITA’ EPATORIGENERANTE
La silimarina può essere utilizzata come supporto nelle terapie contro alcune disfunzioni del fegato, come la steatosi epatica, per contrastare l’accumulo di grassi all’interno degli epatociti. In caso di malattie infettive, come l’epatite, l’assunzione di cardo mariano è in grado di ridurre la morte delle cellule epatiche. La silimarina è in grado, inoltre, di stimolare l’attività della polimerasi A dei nucleoli, cui segue un aumento della sintesi di RNA ribosomiale, che si traduce in un aumento della sintesi proteica, processo indispensabile per una accelerata rigenerazione cellulare. In pazienti etilisti la somministrazione di cardo mariano ha mostrato di migliorare il quadro istologico e il tempo di protrombina, riducendo i valori delle transaminasi. Studi clinici sulle patologie epatiche hanno mostrato un’associazione tra assunzione di silimarina e regressione delle lesioni epatiche, aumento della sopravvivenza e diminuzione della mortalità. Nelle epatiti virali acute la silimarina ha mostrato di ridurre le complicanze e la durata della degenza ospedaliera, favorendo la guarigione.
EFFETTO IPOCOLESTEROLEMIZZANTE
In studi in vivo la somministrazione di cardo mariano ha mostrato di ridurre il tasso di colesterolo LDL, aumentare il colesterolo HDL, diminuire i livelli di colesterolo epatico e prevenire la riduzione di glutatione epatico. Uno studio condotto in Italia ha dimostrato che la supplementazione di silimarina (principio attivo) è in grado di indurre una lieve riduzione del colesterolo biliare, dovuta al decremento della sintesi del colesterolo epatico.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9468229
LE PERSONE OBESE HANNO BISOGNO DI PIU’ VITAMINA E.
17-11-2015
Uno studio recente suggerisce che le persone obese con sindrome metabolica hanno bisogno di più alti livelli di vitamina E perché il loro peso e altri problemi causano un aumento dello stress ossidativo. Gli esperti del Linus Pauling Institute presso l’Oregon State University affermano che un enorme numero di americani può essere cronicamente carente di vitamina E e questo potrebbe aggravare la vasta gamma di malattie note per essere associate alla sindrome metabolica, tra cui le malattie cardiache, diabete, la malattia di alzheimer e il cancro. La sindrome metabolica colpisce più di uno su ogni tre adulti negli Stati Uniti ed è presente nelle persone che hanno almeno tre dei cinque problemi comuni che sollevano preoccupazioni per la salute – grasso addominale in eccesso, pressione alta, bassi livelli di colesterolo “buono”, e/o alti livelli di zucchero nel sangue e trigliceridi.
Alcuni dei risultati di questo studio sono controintuitivi perché la vitamina E è un micronutriente liposolubile e, in teoria, dovrebbe essere più disponibile a un aumento dei livelli nelle persone che sono in sovrappeso e mangiano grandi quantità di cibi grassi. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che, anche se i livelli di vitamina E sono più elevati nelle persone obese, questo micronutriente essenziale non trova la sua strada per raggiungere i tessuti dove è più necessario. “La vitamina E è associato con i lipidi, o grassi presenti nel sangue”, ha detto Maret Traber, Professore nel Collegio di sanità pubblica e Scienze Umane a OSU, e ricercatore principale presso il Linus Pauling Institute. ”Quello che abbiamo scoperto è che i tessuti delle persone obese rifiutano l’assunzione di alcuni di questi lipidi, perché hanno già abbastanza grasso. Nel processo rifiutano anche la vitamina E. Quindi, anche se i tessuti si trovano ad affrontare gravi stress ossidativi, la consegna di vitamina E per loro è compromessa”. “Il grasso genera ossidanti che aumentano lo stress metabolico”, ha aggiunto Traber. ”La vitamina E, insieme alla vitamina C e altri antiossidanti, sono difese alimentari naturali contro questo problema. Tuttavia, milioni di americani - più del 92 per cento - seguono una dieta carente di vitamina E, spesso di circa la metà della quantità necessaria. La vitamina E si trova a livelli più alti in alcuni alimenti come noci, semi e olio d’oliva. Un’altra preoccupazione è che quando le persone cercano di perdere peso, spesso la prima cosa che fanno è limitare l’assunzione di grassi. Questo può avere senso se si sta cercando di ridurre le calorie, ma il grasso è la fonte più comune di vitamina E nella nostra dieta e l’approccio alla perdita di peso a volte può effettivamente peggiorare una carenza di nutrienti. Un approccio ragionevole per le persone obese”, ha spiegato Traber, “sarebbe quello di cercare di seguire una dieta equilibrata e sana e anche durante il tentativo di perdere peso, assumere un multivitaminico quotidiano che copre il 100 per cento della dose giornaliera raccomandata di vitamina E che è di 15 milligrammi al giorno. E’ anche importante mangiare del cibo contenente almeno un pò di grasso durante l’assunzione di un integratore, perché altrimenti questa vitamina liposolubile - nella forma presente nella maggior parte degli integratori alimentari - non sarà ben assorbita”.
Gli autori hanno concluso che i risultati supportano le esigenze alimentari più elevate di vitamina E negli adulti con sindrome metabolica.
QUESTO METALLO TOSSICO PUO’ ABBASSARE IL NUMERO DEGLI SPERMATOZOI.
26-01-2016
Può essere l’alluminio, un metallo tossico che ritroviamo nel cibo e in vari prodotti di bellezza, la causa della bassa produzione degli spermatozoi negli uomini? Sterilità e caduta della conta spermatica sono fenomeni che sono stati osservati per decenni nel mondo occidentale. Oggi, i ricercatori stimano che il 20% dei giovani hanno un basso numero di spermatozoi definito come meno di 20 milioni di spermatozoi per millilitro, ed è il problema principale per circa una su cinque coppie che hanno difficoltà a concepire. La maggior parte della ricerca ha trovato nel BPA e nel fluoro (sostanze che sconvolgono gli ormoni) le possibili cause dell’infertilità maschile. Anche il fumo, i pesticidi e i farmaci psicotropi sono stati implicati come fattori causali dell’infertilità. Ma un nuovo studio suggerisce che l’alluminio, metallo tossico onnipresente, può essere il colpevole principale per la riduzione del numero degli spermatozoi. In un meeting sull’alluminio tenutosi a Lille, in Francia, 75 ricercatori provenienti da tutto il mondo hanno presentato le loro conclusioni sull’impatto dell’alluminio sullo sperma. Tra questi ricercatori, il dottor Philippe Klein, che ha pubblicato di recente un articolo sulla rivista Reproductive Toxicology, e i suoi colleghi dell'Università di Lione, in collaborazione con il dottor Christopher Exley della Keele University, in Inghilterra, hanno analizzato il contenuto di alluminio su 62 campioni di sperma provenienti da uomini che cercavano aiuto per problemi di fertilità. Hanno osservato alte concentrazioni di questo metallo e conseguente riduzione della conta spermatica. L'alluminio è il terzo elemento più abbondante sulla terra (dopo il silicio e l’ossigeno) ed è estremamente bio-reattivo, ma legato alla crosta terrestre è biologicamente inerte e innocuo. Tuttavia, negli ultimi 125 anni, il metallo è stato "liberato" attraverso trasformazione industriale ed è sempre più utilizzato in tutto, dai packaging alimentari, all'architettura. Di conseguenza, gli esseri umani sono stati esposti in maniera esponenziale a questo metallo. La tossicità dell’alluminio è ben documentato scientificamente. È una neurotossina in grado di penetrare la barriera emato-encefalica. E’ stato coinvolto nello sviluppo delle placche amiloidi che si trovano nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer, e altri studi lo hanno collegato ad autismo e ad altre malattie neurologiche poco conosciute, come la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). E' stato anche collegato a disregolazione cronica del sistema immunitario e ad una vasta gamma di malattie autoimmuni, dal diabete di tipo 1 alla sclerosi multipla. Durante il meeting i ricercatori stavano discutendo il suo ruolo nell'autismo, nel morbo di Alzheimer e nel cancro al seno. Una nuova ricerca presentata alla conferenza ha dimostrato che, sperimentalmente, può attraversare e danneggiare la barriera intestinale e quindi avere un ruolo significativo nella sindrome della "permeabilità intestinale", sottostante a molte allergie e malattie autoimmunitarie. Secondo lo studio di Klein, si tratta di un metallo “eccitotossico, immunogenico, pro-infiammatorio e mutageno".
In studi precedenti è stato rilevato in diversi fluidi biologici tra cui l'urina, il liquido cerebrospinale, il sudore e lo sperma, ed è stato in questa luce che Klein e i suoi colleghi hanno cercato di scoprire se il metallo potrebbe essere implicato nel misterioso declino moderno dello sperma. Usando campioni di sperma di 62 pazienti (età media 34 anni), che cercavano aiuto per problemi di fertilità, in Francia, i ricercatori hanno valutato il loro sperma su parametri generalmente accettati: il numero di spermatozoi, la motilità, vitalità e morfologia. Trentatré dei pazienti sono stati classificati come aventi sperma "normale" e 29 pazienti con almeno uno o più segni patologici: 12 avevano oligospermia (riduzione del numero di spermatozoi), 14 avevano spermatozoi pigri con motilità ridotta (astenospermia), 5 avevano spermatozoi morti o immobili (necrospermia) e 15 avevano spermatozoi anomali (teratospermia). Sette pazienti presentavano una conta spermatica troppo bassa per consentire ai ricercatori di valutare la vitalità e la morfologia. I ricercatori della Keele University hanno poi utilizzato immagini spettroscopici ad alta tecnologia per analizzare il contenuto di alluminio nei campioni di sperma. In media, essi contenevano 339μg (microgrammi) di alluminio/l. "Vi è la presenza di molto alluminio nello sperma umano", ha dichiarato Klein alla conferenza, “nei campioni dello studio, l'analisi ha rivelato che era statisticamente superiore nei pazienti con un basso numero di spermatozoi rispetto a quelli il cui sperma era risultato essere "normale". È interessante notare che non vi era alcuna correlazione tra il fumo e la qualità del seme, ha riferito, nonostante l'elevata esposizione al metallo nei fumatori abituali. Tossico com'è, l'alluminio è praticamente onnipresente: è nell'aria che respiriamo, in molti dei cibi che mangiamo, in una vasta gamma di cosmetici e prodotti personali, tra cui antitraspiranti e dentifrici. E’ presente in farmaci che le persone consumano ogni giorno, ed è un ingrediente comune in molti vaccini iniettati in individui sani, tra cui i neonati. A causa della trasformazione industriale dell'alluminio, si può essere esposti ad esso semplicemente attraverso la respirazione. A seconda di dove si vive si possono inalare da 1,4 mg al giorno, fino a mille volte tanto in aree inquinate o se si fuma. Negli alimenti, l'alluminio è presente come conservante, colorante, antiagglomerante, nei lieviti in polvere, nella farina e nel sale. Si tratta di un contaminante da imballaggio, come pellicole, lattine, carta stagnola per cucina, pentole e padelle. A causa dei suoi pericoli, nel 2008 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha diminuito la presenza nei cibi da 7 mg/kg al giorno ad 1 mg/kg al giorno, ma pochissime aziende riportano le quantità di alluminio sulle etichette come ingrediente nei prodotti alimentari. Aggiungete a questo anche il problema che alcuni comuni aggiungono alluminio per l'acqua potabile nel processo di trattamento!
L'alluminio è un ingrediente molto comune nel make up delle donne e la maggior parte delle persone sono ancora all'oscuro della sua presenza nei vari prodotti antitraspiranti; l'assorbimento attraverso la pelle nel flusso sanguigno (soprattutto negli uomini dopo la barba) è stato dimostrato in diverse ricerche, e un certo numero di studi hanno collegato questa fonte di alluminio come causa principale del cancro al seno e la sua migrazione (metastasi) in altre parti del corpo. Nel 2011, l'Agenzia francese per l'Alimentazione, Ambiente, Salute e Sicurezza ha raccomandato che gli antitraspiranti contengano non più del 2% di cloruro di alluminio, ma in America, la Food and Drug Administration (FDA) ha respinto le prove sull’alluminio come inconcludenti, e quindi molti antitraspiranti venduti in America contengono fino a 10 volte in più di alluminio rispetto al limite francese. Forse per gli esseri umani la principale fonte di esposizione all'alluminio sono i farmaci. Antiacidi, antidiarroici, e analgesici come l'aspirina contengono elevate quantità di questo metallo tossico, e il loro consumo "può aumentare l’introito di questo metallo di diversi grammi su base giornaliera", dicono i ricercatori. L'alluminio è anche un ingrediente comune in una vasta gamma di vaccini come quelli per l’epatite A e B, Hib, DTaP (difterite, tetano, pertosse), meningite C, vaccino pneumococcico, Gardasil (HPV) e altri ancora. Queste iniezioni possono contenere fino ad 1 mg ciascuno di alluminio come coadiuvante unito ad antigeni e allergeni per stimolare il sistema immunitario. Gli scienziati stanno iniziando a capire l’azione dell’alluminio nel sangue, e numerose ricerche sperimentali hanno dimostrato che l’alluminio può migrare in altri organi del corpo tra cui milza, linfonodi, muscoli e cervello e possono persistere nel corpo per anni, provocando infiammazione cronica. Precedenti studi, condotti in modelli animali, hanno dimostrato che l’alluminio influisce su tutti i parametri spermatici, dalla motilità e vitalità, alla conta e morfologia. Alcuni risultati suggeriscono che il tipo di alluminio e le modalità di erogazione possono essere significativi: uno studio del 2011 su ratti che ingeriscono una dose giornaliera di 36.3mg/kg al giorno di alluminio per 10 settimane, non ha mostrato alcun effetto tossico sui parametri spermatici; ma un altro studio del 2014 ha mostrato che una singola iniezione intraperitoneale di acetato di alluminio nei topi, ha diminuito da un lato il numero di spermatozoi normali, e dall’altro ha aumentato il numero di quelli anomali.
Chiaramente, sarebbe opportuno prendere misure preventive per evitare l’esposizione a questo metallo dal maggior numero possibile di fonti, minimizzando il “carico tossico” a livello corporeo. Chris Exley, ha concentrato la sua ricerca su come aiutare l'organismo ad espellere il metallo. La sua ricerca pubblicata nel 2013 ha scoperto che i malati di Alzheimer che hanno bevuto acqua minerale come Fiji, Volvic e Spritzer, che hanno un elevato contenuto di silicio, hanno aumento l’escrezione urinaria di alluminio, senza compromettere i livelli di altri minerali essenziali come il ferro e il rame. Inoltre, tre dei 15 soggetti hanno mostrato miglioramenti cognitivi in appena tre mesi dopo aver consumato l'acqua. Inoltre, secondo una nuova ricerca condotta da Exley, i soggetti esposti ad esercizio fisico per 30 minuti (una raffica di cinque minuti, seguito da 20 minuti di moderato esercizio fisico, seguita da un’altra raffica di cinque minuti), riuscivano ad espellere l’alluminio attraverso il sudore. Ma bere 1,5 litri di acqua minerale ricca di silicio un'ora prima degli allenamenti intensi, aumentava l'escrezione di alluminio attraverso il sudore fino a 10 volte, secondo i ricercatori. Questi risultati confermano le centinaia di studi che attestano i benefici di un’attività fisica. Altre ricerche hanno dimostrato il beneficio della sudorazione attraverso la sauna per detossificare l’organismo dai metalli tossici come l’alluminio.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25461904
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1046/j.1432-1033.2000.01328.x/full#f9
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/10/141013090451.htm
http://journal.frontiersin.org/article/10.3389/fneur.2014.00212/abstract
MANGIARE ALIMENTI ADDIZIONATI CON QUESTO COMUNE INGREDIENTE? POTREBBE ESSERE MOLTO DANNOSO.
07-01-2017
L’aspartame, un dolcificante artificiale noto anche come NutraSweet e Equal, è utilizzato in più di 6.000 prodotti. La ricerca ha dimostrato che l’aspartame è un agente cancerogeno, e che i suoi effetti sono aumentati quando l’esposizione inizia prima della nascita. Un nuovo studio ha esaminato l’effetto dell’aspartame sui topi. Essi sono stati esposti all’aspartame a partire prima della loro nascita (a 12 giorni di gestazione) e fino alla loro morte. A quel punto, le autopsie hanno rivelato un rischio significativamente maggiore di cancro al fegato e al polmone. Secondo lo studio pubblicato sul Journal of Industrial Medicine: “I risultati di questo studio confermano che l'aspartame è un agente cancerogeno in più tessuti nei roditori, e che questo effetto è indotto in due specie, i ratti (maschi e femmine) e topi (maschi)”.
BAMBINI ALLATTATI AL SENO AVRANNO PIU' SUCCESSO NEL LAVORO.
16-11-2018
I bambini allattati al seno avrebbero maggiori possibilità di fare carriera rispetto a quelli allevati con il latte in polvere. A sostenerlo, uno studio condotto dal team di ricercatori dell’University College of London pubblicato su Archives of Disease in Childhood, i cui risultati sono stati confermati dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS). È risaputo che il latte materno è l’alimento migliore in assoluto per il neonato, in quanto fornisce tutti i nutrienti essenziali per la prima fase della sua vita (es. proteine, alcuni acidi grassi polinsaturi, ferro ecc.), ma anche le sostanze che proteggono da eventuali infezioni batteriche e virali che non si trovano nei sostituti artificiali. Inoltre, riduce il rischio di sviluppare allergie, migliora la vista, lo sviluppo psicomotorio e la flora batterica intestinale. Non a caso, infatti, gli esperti consigliano l’allattamento al seno per i primi 6 mesi di vita. Secondo L’OMS, inoltre, dovrebbe continuare per 2 anni e oltre, in base al desiderio della mamma e del bambino. Senza tralasciare la dimensione affettiva della relazione madre-figlio, che trova nell’intimo contatto che caratterizza ogni poppata un momento unico, in grado di trasmettere al bambino, sicurezza e fiducia in sé. Nel corso del tempo i sostituti del latte sono stati migliorati, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni a livello immunitario e neurologico. Nella formulazione, infatti, sono stati aggiunti nucleotidi, oligosaccaridi ad azione prebiotica e omega-3, ma dei limiti oggettivi restano. Come spiega il dottor Giuseppe di Mauro, Presidente della SIPPS: "Il risultato finale è sempre lo stesso: il bambino allattato al seno ha una marcia in più, e il suo vero segreto risiede forse in un differente orientamento della crescita. Ancora oggi nessun alimento riesce ad eguagliare le proprietà del latte materno, vero e proprio sistema biologico non riproducibile". Dunque, ancora una volta latte materno Vs latte artificiale: 1 a 0.
http://adc.bmj.com/content/early/2013/04/24/archdischild-2012-303199