Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

16-11-2018

Una delle principali cause della perdita della vista negli anziani è la degenerazione maculare. Poichè questa patologia colpisce la parte dell'occhio in cui più evidente è l'influenza dello zinco sugli enzimi da cui dipende la capacità di vedere, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la carenza di zinco possa contribuire in qualche modo all'insorgere di questa malattia. Per verificare quest'ipotesi è stato condotto uno studio a cui hanno partecipato 151 individui affetti da questa malattia: seguendoli da vicino per un periodo di 12-24 mesi, si osservò che nel gruppo a cui erano stati somministrati 100 milligrammi di zinco due volte al giorno si era verificato un indebolimento della vista inferiore rispetto a quello del gruppo a cui erano stati dati solo dei placebo.

16-11-2018

Questi i risultati di uno studio che ha dimostrato come il consumo giornaliero di olio di pesce a partire da 700 mg al giorno sia in grado di ridurre la pressione sanguigna. Le attuali linee guida europee raccomandano un apporto minimo giornaliero di omega-3: 500 mg per gli individui sani e 1 g per quelli con diagnosi di malattia cardiovascolare. Un corretto apporto di omega-3 (EPA + DHA) con la dieta è associato alla riduzione di alcuni fattori di rischio cardiovascolare. L’effetto più importante riguarda i trigliceridi, ma sono evidenti anche il rallentamento nella formazione della placca aterosclerotica e la prevenzione delle aritmie. Per lo studio sono stati arruolati 312 uomini e donne sani 20-70enni, facendo loro assumere un integratore a base di olio di palma e olio di semi di soia, oppure un integratore contenente 700 mg o 1.800 mg di omega-3 per 8 settimane. All’inizio e al termine del periodo dello studio è stata misurata la pressione sanguigna, insieme ad altri marker di salute cardiovascolare. I risultati ottenuti hanno evidenziato che gli integratori a base di olio di pesce avevano ridotto la pressione, ma solo nei soggetti che all'inizio dello studio avevano ipertensione sistolica. Ambedue i dosaggi hanno mostrato efficacia. Secondo gli Autori, dallo studio risulta evidente che un apporto di EPA e DHA, ottenibile consumando 2-3 porzioni di pesce grasso la settimana o 2 g di olio di pesce in capsula al giorno, è in grado di ridurre la pressione sistolica di 5 mmHg nei soggetti con ipertensione sistolica. Tale effetto potrebbe essere associato a una diminuzione approssimativa del 20% in soggetti di mezz'età a rischio di malattia cardiovascolare. Questo è molto importante perché l’ipertensione è un disturbo che in Italia colpisce il 33% degli uomini e il 31% delle donne ed è stato definito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità “killer silenzioso e invisibile” in quanto, pur non essendo una malattia, è la prima causa di mortalità al mondo.

Mercoledì, 14 Novembre 2018 11:57

VITAMINA D UTILE PER IL CERVELLO DEGLI ANZIANI.

15-11-2018

Un deficit di vitamina D negli anziani si associa a una perdita di capacità cognitive. Lo dice uno studio pubblicato su Jama Neurology da Joshua Miller della Rutgers University di New Brunswick. In collaborazione con i ricercatori dell'Università della California di Davis, Miller ha analizzato il rapporto fra assunzione di vitamina D e funzioni cognitive in 382 adulti anziani con età media di 75,5 anni. “Sia il recettore della vitamina D sia l'enzima che la converte in 25-idrossivitamina D (25-OHD), la forma attiva, sono espressi in tutti gli organi compreso il cervello”, spiega Miller. Per deficit si intende una concentrazione sierica di 25-OHD inferiore a 12 ng/mL. Fra i 12 e i 20 ng/ml si parla di livelli insufficienti, mentre un valore adeguato è quello intercorrente fra 20 e meno di 50 ng/ml. Oltre i 50 l'apporto è troppo elevato. “Il livello medio di 25-OHD era 19,2 ng/ml, anche se il 26,2 per cento dei partecipanti era carente e il 35,1 insufficiente”, spiegano gli autori. I valori più bassi sono stati riscontrati fra gli ispanici e gli afro-americani. 
L'aspetto più interessante è però che i livelli medi erano minori nei soggetti che avevano sviluppato una demenza rispetto a quelli con un decadimento cognitivo lieve o in perfetta salute. Il declino mnemonico rispecchiava questa tendenza. “I nostri dati supportano non solo la presenza di un insufficiente apporto di vitamina D tra gli anziani, specie se ispanici o afroamericani, ma documentano anche come, indipendentemente dall'etnia e dalle capacità cognitive di base, lo stato carenziale o insufficiente si associa a un più rapido calo mnemonico”, scrivono i ricercatori. I soggetti anziani con un deficit di vitamina D, quindi, rischiano più degli altri la comparsa del morbo di Alzheimer.

 

http://archneur.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=2436596

Mercoledì, 14 Novembre 2018 11:43

ALLA SCOPERTA DELLA CARNOSINA.

31-03-2016

La carnosina è un dipeptide, ovvero una molecola composta da due aminoacidi (in questo caso alanina e istidina), la cui scoperta nel muscolo risale a più di cento anni fa in Russia, mentre la definizione della sua struttura chimica è riconducibile agli inizi degli anni ’20. Il suo ruolo principale nell'organismo è quello di scavenger non enzimatico di radicali liberi (attività antiossidante). Anche per questa molecola, come per tutti gli aminoacidi presenti nell'organismo, la forma biologicamente attiva è la levogira, cioè L-carnosina. Si trova in quantità rilevanti in particolare nel tessuto muscolare (del quale regola alcuni processi metabolici collegati alla produzione di energia), nel cervello, nel muscolo cardiaco e nello stomaco. La carnosina in laboratorio ha mostrato una capacità dose-dipendente di ridurre la perossidazione lipidica. È stato inoltre osservato che interviene nella regolazione dei livelli intracellulari di calcio del miocardio e quindi può migliorare la contrattilità cardiaca. Studi in attesa di ulteriori conferme indicano una funzione protettiva dai danni da radiazioni, grazie al potenziamento della funzione immunitaria. Sembra infatti che la carnosina possa modulare l’attività dei neutrofili (un tipo di leucociti) aumentando la produzione di interleuchina-beta e inibendo l’apoptosi cellulare. Altri studi recenti stanno indagando sul ruolo potenziale di questo composto in alcune malattie neurodegenerative, quali il morbo d’Alzheimer. Sembra infatti che la carnosina svolga un effetto protettivo contro i beta-amiloidi, piccoli peptidi la cui eccessiva produzione o scarsa degradazione sono considerate la causa primaria dello sviluppo di questa patologia.

SUPPORTO ANTIOSSIDANTE E ANTINVECCHIAMENTO

La carnosina può essere considerata un fattore antiradicalico di rilievo. E' efficace, infatti, contro radicali perossidici e idrossidici, radicale ossigeno e perossido d'idrogeno. La sua attività antiossidante viene esplicata in quanto la carnosina è in grado di ostacolare il processo di glicosilazione (cioè di alterazione delle proteine corporee da parte degli zuccheri circolanti), che rappresenta uno tra i principali fattori responsabili dei processi di invecchiamento.

MIGLIORAMENTO DELLE PRESTAZIONI SPORTIVE

- EFFETTO TAMPONE: L’effetto tampone è di particolare importanza durante l’attività muscolare, in cui si verifica l’acidificazione dell’ambiente intracellulare. La carnosina, legandosi all'acido lattico, in particolare all'idrogeno dell’acido, è in grado di stabilizzare il pH intracellulare. Questo a livello muscolare consente di ridurre il bruciore conseguente ad allenamenti intensi e permette all'atleta prestazioni più lunghe e un recupero più veloce. Inoltre la carnosina mostra effetti chelanti con alcuni metalli (in particolare rame, ferro, zinco), i quali inibiscono alcune importanti reazioni enzimatiche.

- AUMENTO DELLA FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA (PRODUZIONE DI ATP MEDIANTE I PROCESSI OSSIDATIVI): La carnosina incrementa la capacità di trasporto di ossigeno dell’emoglobina. In uno studio condotto su atleti che avevano assunto carnosina per 3 giorni, è stato osservato un incremento rilevante dei livelli di 2,3 difosfoglicerato (DPG). Il 2,3 DPG è in grado di spostare la curva di dissociazione dell’ossigeno consentendo, a livello del tessuto muscolare attivo, un aumento della captazione di ossigeno dall’emoglobina e del suo conseguente passaggio al tessuto muscolare in attività, favorendo i processi ossidativi necessari alla produzione di energia. La carnosina ha mostrato anche la capacità di indurre l’incremento della stimolazione della fosforilazione ossidativa indotta da ADP

- PROTEZIONE CONTRO LA FATICA MUSCOLARE: Recentemente è stato ipotizzato che la riduzione del tasso intracellulare di carnosina possa costituire un fattore importante nella comparsa della fatica. La spiegazione di tale funzione è attribuibile al fatto che la carnosina sembra responsabile della diminuzione della possibilità d’ossidazione degli acidi grassi e di conseguenza della produzione energetica. Un suo maggiore apporto, pertanto, potrebbe permettere una migliore ossidazione degli acidi grassi e quindi un risparmio di glicogeno intracellulare, con conseguente ritardo della fatica muscolare.

PROTEZIONE OCULARE

La carnosina ha recentemente mostrato in vivo la capacità di prevenire lo sviluppo della cataratta. La sua attività biologica a livello oculare è dovuta alle proprietà antiossidante e antiglicazione. Queste caratteristiche la rendono un fattore nutrizionale essenziale per la prevenzione dei disturbi oculari correlati a stress ossidativo e, in caso di patogenesi, a neuro-degenerazione.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9765790

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10951103

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9061036

15-11-2018

Uno studio dell’Università dell'Illinois fornisce prove convincenti sul modo di preparare e consumare i broccoli per ottenere i suoi benefici e suggerisce anche che consumare broccoli con germogli di broccoli, può avere un doppio effetto anticancro. "I broccoli, preparati correttamente, sono un potente agente anticancro: 3-5 porzioni alla settimana sono sufficienti per avere un effetto anticancro. Per ottenere i benefici dai broccoli però, la mirosinasi enzima deve essere presente". Secondo Jeffery, molte persone distruggono la mirosinasi con l’eccessiva cottura. Alcuni consumatori attenti alla salute, fanno uso di integratori in polvere di broccoli nelle diverse ricette, ma questi integratori spesso non contengono l’enzima necessario per avere l’effetto anticancro. "C’è un modo per aumentare l’efficacia dei broccoli: i germogli di broccoli contengono mirosinasi in abbondanza". Gli scienziati hanno ipotizzato che la mirosinasi dai germogli rafforzerebbe la formazione di sulforafano e l’assorbimento dei broccoli se consumati insieme.
In un piccolo studio pilota, gli studiosi hanno reclutato quattro uomini sani che hanno consumato solo germogli di broccoli, solo integratori con broccoli o una combinazione dei due. I ricercatori hanno poi misurato i livelli di sulforafano nel sangue e nelle urine dei partecipanti. "Eravamo alla ricerca di biomarcatori nei livelli plasmatici e nelle urine, che sono associati con la prevenzione del cancro", ha detto Cramer. Tre ore dopo l’alimentazione, un effetto sinergico definitivo è stata osservata tra la polvere ed i germogli. "C’è stato quasi un raddoppio di assorbimento di sulforafano quando germogli e polvere sono stati consumati insieme. E’ cambiato il modo in cui i soggetti metabolizzano gli integratori di broccoli e nel plasma e nelle urine i metaboliti erano molto più alti rispetto a quando le sostanze sono state consumate da sole" ha dichiarato Jeffery. Altri alimenti che contengono sulforafano e possono essere abbinati con i broccoli per aumentare i suoi benefici sono senape, ravanelli, rucola e wasabi. "Per aumentare i benefici della verdura, si può cospargere di germogli di broccoli o fare una salsa di senape da servire insieme", ha aggiunto Jeffery. Le persone che preferiscono mangiare broccoli senza salsa o germogli, dovrebbero sapere che una cottura eccessiva è il bacio della morte per l’importante enzima mirosinasi. La cottura a vapore dei broccoli per 2-4 minuti, è il modo perfetto per proteggere l’enzima e le sostanze nutritive del vegetale.

 

http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/01635581.2011.523495

25-03-2016

L’olio di ricino è un composto naturale usato fin dall'antichità per la cura dei capelli ed è stato al centro dei bisogni delle donne fino a quando i moderni prodotti commerciali hanno cominciato a soppiantare tutto ciò che era naturale. Le nostre nonne lo utilizzavano per dare più vigore alle ciglia e nutrire i capelli, con ottimi risultati ed è menzionato nei Papiri Ebers, una delle prime testimonianze scritte dell’uso medicinale delle piante da parte dell’uomo. L’olio di ricino è ricco di vitamina E, minerali, proteine, sostanze antibatteriche e antimicotiche. Inoltre, questo olio è composto da un trigliceride di acidi grassi (90% dei quali è acido ricinoleico), molto potente nel prevenire e curare virus, batteri, lieviti e muffa. Di seguito tutti i benefici e le applicazioni dell’olio di ricino:

- STIMOLA LA RICRESCITA DEI CAPELLI: l’olio di ricino può essere usato sul cuoio capelluto per aiutare a prevenire e riparare la perdita dei capelli ed è efficace per diversi motivi. Essendo un antibatterico ed antifungino rimuove la follicolite, forfora e infezioni dal cuoio capelluto e il suo contenuto di acido ricinoleico aiuta ad aumentare la circolazione nel cuoio capelluto e migliorare la crescita dei capelli. L’acido ricinoleico ripristina il corretto pH del cuoio capelluto, aiutando così a ricostituire gli oli naturali del cuoio capelluto ed annullare alcuni dei danni degli aggressivi prodotti chimici per capelli. Puoi applicare alcune gocce sul cuoio capelluto e massaggiare in modo che venga assorbito uniformemente. Lascialo agire tutto il giorno (o la notte) e poi lava i capelli con lo shampoo.

- RAFFORZA I CAPELLI RENDENDOLI PIU’ SPESSI, FOLTI E LUCENTI: l’olio di ricino è una ricca fonte di acidi grassi omega-9, che nutrono capelli e follicoli. Gli antiossidanti presenti nell’olio di ricino supportano anche la cheratina dei capelli contribuendo a rendere i capelli più forti, più lisci e meno crespi. Massaggia i capelli con un paio di gocce di olio di ricino.

- PREVIENE E COMBATTE LA FORFORA: un trattamento a base di olio di ricino, oltre a lottare contro la forfora, protegge il cuoio capelluto da funghi ed infezioni microbiche.

- RAFFORZA LE UNGHIE: l’olio di ricino contiene delle sostanze simili alla cheratina presente nelle unghie. Massaggiare con dell’olio di ricino unito a olio d’oliva e limone renderà le tue unghie più robuste, aiutandoti anche a rimuovere quella patina giallastra grazie all’azione schiarente del limone.

- RENDE LE SOPRACCIGLIA PIU’ SPESSE E LE CIGLIA PIU’ LUNGHE: lava bene lo scovolino e l’astuccio di un vecchio mascara e mettici dentro l’olio di ricino. Applicalo sulle ciglia umide alla sera e tienilo su per tutta la notte. La cosa importante è non eccedere mai con le quantità, perché l’olio potrebbe finire dentro gli occhi e causare fastidi. Allo stesso modo, puoi impiegarlo anche per le sopracciglia.

- PROPRIETA’ ANTINFIAMMATORIE: l’acido ricinoleico contenuto in questo olio è molto utile nel combattere infiammazione e gonfiore di articolazioni e tessuti.

- PROMUOVE IL FLUSSO LINFATICO: secondo uno studio statunitense, l’applicazione topica di olio di ricino favorisce il flusso linfatico.

- PROBLEMI ALLA PELLE E ACNE: le proprietà germicide ed antibatteriche dell’olio di ricino lo rendono un ottimo rimedio contro acne, borsite, prurito, cisti e punti neri. Massaggia le aree colpite da questi problemi con qualche goccia di olio di ricino.

Ci sono centinaia di testimonianze di persone che hanno usato l’olio di ricino per far crescere i capelli fino a 5 volte più veloce del normale. Ad esempio in una testimonianza c’era un perdita di capelli post-parto: dopo aver usato l’olio di ricino per un mese i capelli erano cresciuti 4 volte di più oltre ad essere molto più folti e spessi. Non sottovalutate gli effetti dell’olio di ricino per la pelle: le macchie scompaiono insieme a brufoli, acne ed altri inestetismi.

04-04-2016

Il chitosano è un composto macromolecolare amminopolisaccaridico non digeribile, sintetizzato a partire dalle chitine, sostanze naturali presenti nell'esoscheletro cuticolare dei crostacei marini. Ha una struttura simile a quella della cellulosa e come questa si gonfia esercitando un effetto massa che determina sazietà (può assorbire grassi fino a 8 volte il suo peso). Il meccanismo di azione del chitosano inizia nell'ambiente acido dello stomaco dove, ad opera dei succhi gastrici, avviene la sua solubilizzazione e acidificazione. Il chitosano si carica positivamente, entra nel duodeno in cui i gruppi amminici a carica positiva attirano i gruppi carbossilici a carica negativa degli acidi grassi e di quelli biliari: si attivano in questo modo legami di tipo idrofobico, che coinvolgono i grassi neutri come colesterolo, trigliceridi e altri steroidi alimentari, riducendo di circa il 30% la loro assimilazione e promuovendone l’escrezione attraverso la materia fecale. L’associazione con la vitamina C incrementa la capacità del chitosano di inibire l’assorbimento di lipidi, impedendo ai lipidi “catturati” di fuoriuscire dalla matrice del chitosano.

SOVRAPPESO E OBESITA’

Gli effetti del chitosano sul controllo e la riduzione del peso corporeo nell'uomo sono stati evidenziati, a partire dal 1994, nel corso di una sperimentazione randomizzata, controllata in doppio cieco. 15 soggetti moderatamente obesi seguirono una dieta ipocalorica di 950-1000 kcal/die, associata a 2 g di chitosano. Altri 15 soggetti seguirono la medesima dieta associata a placebo. Il gruppo trattato con chitosano dopo 4 settimane mostrò un calo ponderale pari a 6,7 kg, mentre nel gruppo placebo la perdita fu di 2,5 kg. Inoltre, nel gruppo chitosano, i soggetti ipertesi beneficiarono di un rilevante calo della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica. In un altro studio 150 soggetti (età media 45 anni, 82% donne), furono suddivisi in 3 gruppi:

1° gruppo di controllo;
2° gruppo chitosano (3 g al giorno);
3° gruppo placebo.

Il 2° e il 3° gruppo ricevettero indicazioni dietetiche, a differenza del 1° gruppo che scelse personalmente la dieta, senza assumere nè chitosano, nè placebo. Dopo 60 giorni i soggetti che avevano assunto chitosano persero 2,2 kg più di quelli del gruppo placebo e del gruppo di controllo. Cochrane Review: Sono stati analizzati 15 studi (durata media 4-24 settimane) sull'utilizzo del chitosano, che hanno incluso un totale di 1.219 partecipanti in sovrappeso o obesi. La revisione dei dati indica che la somministrazione di chitosano, rispetto i placebo, promuove una significativa riduzione del peso corporeo, del colesterolo totale e della pressione sistolica e diastolica.

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI

In uno studio multicentrico placebo-controllo 95 pazienti, divisi in 5 gruppi hanno assunto chitosano (400 mg 3 volte al giorno, 800 mg 2 volte al giorno, 800 mg 3 volte al giorno, 2.400 mg al giorno), o un placebo per 12 settimane. I risultati hanno mostrato un generale effetto ipocolesterolemizzante nei gruppi di trattamento, con la maggiore differenza tra il gruppo placebo e la somministrazione di 2.400 mg (-16,9%), seguita da 400 mg 3 volte al giorno (-11,1%), 800 mg 3 volte al giorno (-9,7%) e 800 mg 2 volte al giorno (-8,7%). I ricercatori confermano l'efficacia del chitosano nel ridurre le concentrazioni di colesterolo LDL nei pazienti con ipercolesterolemia da lieve a moderata. In un altro studio è stata osservata l'azione del chitosano sulle concentrazioni delle lipoproteine plasmatiche in 40 soggetti con diabete di tipo 2 e ipercolesterolemia. Il chitosano (450 mg 3 volte al giorno) ha mostrato di ridurre il colesterolo LDL, ma non i trigliceridi. Il chitosano, anche senza dieta, sembra efficace nel ridurre il colesterolo nel siero. 99 donne volontarie (età 34-70) con ipercolesterolemia leggero-moderata confermata, furono arruolate. Fu loro assegnato chitosano (1.2 g al giorno) o un placebo. Il gruppo chitosano mostrò una significativa riduzione del colesterolo totale, rispetto al placebo, mentre un sottogruppo (dopo i 60 anni) mostrò la riduzione anche del colesterolo LDL. I risultati di questo studio confermano che il chitosano è sicuro ed efficace nel ridurre il colesterolo. In un altro studio in doppio cieco la somministrazione di 2 g al giorno di chitosano 30 minuti prima dei pasti, per 3 mesi, ha mostrato una riduzione media del peso corporeo pari a 5,9 kg, del colesterolo (13%) e trigliceridi (15%).

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18646097

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17031007

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12771974

10-04-2016

Da studi precedenti si era visto che il picnogenolo, un antiossidante estratto dalla corteccia del pino marittimo francese, è in grado di ridurre il dolore addominale legato all'endometriosi. Questo disturbo, di cui soffrono circa 1 milione di donne soltanto in America, può causare anche sanguinamento, infiammazione e tessuto cicatriziale. Uno studio condotto in Giappone ha dimostrato che il picnogenolo potrebbe essere impiegato in alternativa alla cura ormonale in quanto privo di effetti collaterali. L’indagine ha preso in considerazione 58 donne affette da endometriosi, tra i 21 e i 38 anni, che avevano subìto un’operazione nei 6 mesi antecedenti all'inizio dello studio. Nei 3 mesi precedenti, inoltre, era stata monitorata la presenza di un regolare ciclo mestruale e di una corretta ovulazione. Le donne sono state suddivise casualmente in 2 gruppi: al primo sono state somministrate capsule di picnogenolo da 30 mg per due volte al giorno, dopo pranzo e dopo cena, per 48 settimane; al secondo invece sono stati iniettati 3,75 mg di Leuprorelin, un agente in grado di favorire il rilascio delle gonadotropine, 6 volte al giorno ogni 4 settimane, per 24 settimane. I soggetti sono stati esaminati per quanto riguarda il dolore, i sintomi legati all'apparato urinario e all'addome e l’emorragia da rottura dopo 4, 12, 24 e 48 settimane. Nel primo periodo non ci sono state grosse differenze tra i due gruppi. Però, dopo 4 settimane, tra le donne che avevano assunto il picnogenolo, tutti i sintomi erano diminuiti da severi a moderati e l’ovulazione era ancora presente (infatti 5 donne sottoposte al trattamento sono rimaste incinte). Nel gruppo a cui era stato iniettato il farmaco, si è assistito ad una maggiore diminuzione dei sintomi, però la cura ormonale aveva interrotto il ciclo mestruale.

 

http://www.medscape.org/viewarticle/553706

http://www.nutraingredients.com/Research/More-evidence-for-Pycnogenol-endometriosis-benefit

13-11-2018

C’è un legame inaspettato tra l’uso di marijuana e i fattori legati al diabete di tipo 2 che ha incuriosito i ricercatori medici. Diversi studi hanno infatti scoperto che i consumatori di marijuana trattengono più calorie dal cibo rispetto a chi non ne fa uso, ma hanno tassi più bassi di obesità, diabete e un indice di massa corporea (BMI) di basso livello. In un ulteriore approfondimento, i ricercatori hanno studiato quali effetti della marijuana e del suo principio attivo, il tetraidrocannabinolo (THC), potrebbero avere sul metabolismo delle persone, in particolare sui livelli di insulina. L’insulino-resistenza - un importante fattore di rischio per il diabete - è un disturbo metabolico che si verifica quando le cellule del corpo non possono gestire correttamente l’assunzione di insulina. L’American Heart Association stima un 35% degli adulti statunitensi colpiti da malattie metaboliche che includono, fra l’altro, la resistenza all’insulina.
Per esaminare il collegamento tra il THC e il metabolismo, i ricercatori hanno raccolto i risultati di uno studio eseguito su 4.657 adulti dal National Health and Nutrition Examination Survey, una statistica cross-sezionale diffusa annualmente dai Centri di prevenzione. Dei partecipanti allo studio, 579 stavano già assumendo marijuana, 1.975 ne avevano fatto uso in passato ma non di recente, e 2.103 non avevano mai provato la marijuana. I ricercatori hanno analizzato i livelli di insulina dei partecipanti a digiuno, i livelli di colesterolo, di insulino-resistenza e la misurazione del girovita. I risultati hanno dimostrato che gli attuali consumatori di marijuana hanno il 16% di livelli di insulina in meno (a digiuno) rispetto a chi non ne fa uso. Inoltre, gli utenti che fanno consumo regolare di marijuana hanno misure di girovita inferiori e comunque nella media, oltre ad elevati livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL), conosciute anche come “colesterolo buono”. “Queste sono davvero notevoli osservazioni finalmente supportate da esperimenti scientifici” ha dichiarato il Dott. Giuseppe Alpert, professore di medicina presso l’Università dell’Arizona, a Tucson. È interessante notare che solo gli individui che fanno attualmente uso di marijuana (non gli ex consumatori) hanno ottenuto i risultati positivi, il che suggerisce che gli effetti della marijuana sull’insulina e sulla resistenza all’insulina si verificano solo dopo l’uso recente.

 

http://www.independent.co.uk/life-style/health-and-families/health-news/cannabis-linked-to-prevention-of-diabetes-8616314.html

http://www.healthline.com/health-news/policy-marijuana-use-helps-with-blood-sugar-control-and-bmi-051613

http://www.foxnews.com/health/2013/05/16/could-marijuana-reduce-diabetes-risk.html

13-11-2018

I pazienti con morbo di Alzheimer tendono a soffrire di amiloidosi cerebrale, una patologia correlata ad un difetto di smaltimento di una sostanza chiamata beta-amiloide nel cervello. Al fine di migliorare il sistema immunitario dei malati di Alzheimer, i ricercatori hanno esaminato gli effetti di stimolazione immunitaria della vitamina D3 in combinazione con la curcumina, un composto attivo trovato nella spezia curcuma. Secondo lo studio: “La vitamina D3 è un ormone promettente per l’immunoprofilassi perché nei macrofagi tipo I, un trattamento combinato con D3 e curcuminoidi ha effetti additivi, mentre nei macrofagi tipo II il trattamento con D3 è efficace da solo”.
La vitamina D è di incredibile importanza, spesso trascurata, per la salute. Numerosi studi fatti negli ultimi anni hanno collegato un livello adeguato di vitamina D con una riduzione dei rischi di sviluppare influenza, polmonite, malattie cardiovascolari, tumori, malattie autoimmuni e altro“. A parte la vitamina D, ci sono anche prove che l’esercizio fisico può aiutare a combattere l’Alzheimer. L’esercizio aumenta i livelli della proteina PGC-1 alfa, una molecola del cervello che può proteggere contro la malattia di Alzheimer. La proteina ha effetti metabolici che sembrano preservare dal diabete di tipo 2. Quando i ricercatori hanno studiato campioni di tessuto cerebrale di pazienti morti di Alzheimer, hanno scoperto che contenevano meno PGC-1 alfa rispetto al normale. Ulteriori indagini hanno rivelato che le cellule contenenti più PGC-1 alfa producevano meno proteina amiloide tossica, caratteristica del morbo di Alzheimer. Secondo il Salisbury Journal: “Dal momento che l’esercizio è noto far aumentare i livelli di PGC-1 alfa, i risultati possono aiutare a spiegare il legame tra attività fisica regolare e ridotto rischio di Alzheimer. Essi forniscono inoltre un indizio sul perché le persone con diabete hanno maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19433889

http://news.discovery.com/history/art-history/mozart-vitamin-d-deficiency-110711.htm

http://www.salisburyjournal.co.uk/uk_national_news/9082083.Exercise_may_help_fight_Alzheimer_s/?ref=rss

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21358044     

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