Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

18-11-2014

I ricercatori dell'American Strang Cancer Prevention Center in Nutrition and Cancer hanno scoperto che delle cellule tumorali poste in contatto con dell’estratto di bacche di goji rallentavano la propria crescita. A quanto pare l’estratto, realizzato per semplice bollitura delle bacche in acqua, stimola la conversione dell’estradiolo (forma attiva di estrogeno naturale, uno dei 3 estrogeni naturali sintetizzati dall’organismo) in dei prodotti meno reattivi. Gli studi suggeriscono che le bacche di goji possono rivelarsi molto utili nella lotta al cancro al seno. Animali e cellule coltivate in vitro hanno dimostrato di essere maggiormente suscettibili alle radiazioni e all'immunoterapia (procedure che mirano all’attivazione o potenziamento delle normali difese immunitarie), se messe a contatto con un estratto realizzato a partire dal goji. Inoltre è stato visto che lo sviluppo delle cellule tumorali viene in qualche modo inibito se non forzato al “suicidio cellulare”.
Come si è svolto lo studio sulle bacche di goji? I ricercatori hanno preso delle bacche di goji e le hanno bollite in acqua. Poi hanno estratto il succo e lo hanno messo a contato con delle MCF-7, cellule umane mutate dal cancro che hanno bisogno dell’estradiolo (estrogeno prodotto dalle ovaie) per crescere. Questo ha permesso di notare come la crescita delle cellule tumorali sia stata inibita. Inoltre, più a lungo le cellule malate stavano a contatto con l’estratto di bacche di goji e maggiore si rivelava l’effetto soppressore. Nello specifico è accaduto che i livelli di estradiolo si sono abbassati e al loro posto si sono innalzate le concentrazioni di metaboliti: estrone, 2-idrossi-estrone, 16-alpha-idrossi-estrone ed estradiolo. I risultati sono incredibili anche se tra gli esperimenti in vitro e vivo c’è qualche differenza. Ci sono altri cibi che si sono rivelati nel tempo anti-estrogenici? Sì. Ginkgo biloba, damiana, vitamina K, olio di pesce, tè verde, estratto di semi d’uva, vitamina D, mangostano e GLA. Dato questi risultati è da sciocchi cercare di sminuirlo per “dar aria” a presunte conoscenze mediche (mi riferisco ad alcuni articoli che ho letto e che mi hanno lasciato allibito per la pochezza di contenuti scientifici esposti). E’ normale che nell’assumere le bacche di goji vi siano delle controindicazioni. Ma da qui a sparare a zero sulle bacche, dipingendole come una mera trovata mercenaria, ci vuole un bel coraggio. Le pecore nere, che si infilano ovunque per far soldi, esistono ed esisteranno sempre fino a quando il mondo andrà dietro al soldo. Ma non demonizziamo né le bacche di goji né la buona informazione.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19373615

http://www.ergo-log.com/goji.html

 

 

29-12-2014

Le percentuali non sono da sottovalutare, dal momento che si tratta di cifre molto alte: a partire dall'ottavo anno di vita i bambini nati con cesareo hanno ben l'80% di probabilità in più di ammalarsi di disturbi alle vie respiratorie come l'asma. La percentuale si fa sempre più alta se i bambini sono figli di genitori allergici, risultando tre volte più esposti dei figli di non allergici. I bambini nati da madre e padre allergici hanno infatti il 9% delle probabilità in più di soffrire d'asma durante l'infanzia. I casi di asma sono aumentati proporzionalmente ai parti non naturali, passati dal 5% negli anni Settanta al 40% del 2012. La causa di questa connessione tra asma e parto cesareo è da ricercarsi, secondo Caroline Roduit, nell'attivazione, più o meno immediata, della risposta immunitaria nella primissima infanzia. I bambini che vengono al mondo in maniera naturale, infatti, sono subito a contatto con i microbi ed hanno pertanto un sistema immunitario molto più reattivo sin dai primi giorni. Lo stesso non avviene per i nati da cesareo, che si abituano più tardi alla presenza di agenti patogeni, sviluppando un maggior rischio di ammalarsi di asma, di altre patologie delle vie respiratorie e di soffrire di allergie. Meglio scegliere il parto naturale, dunque, sempre che non ci siano davvero serie motivazioni che spingano a non far venire alla luce un bambino naturalmente.

 

http://thorax.bmj.com/content/early/2008/12/03/thx.2008.100875

http://thorax.bmj.com/content/64/2/107?maxtoshow=&HITS=10&hits=10&RESULTFORMAT=&fulltext=caroline+roduit&searchid=1&FIRSTINDEX=0&sortspec=relevance&resourcetype=HWCIT

http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/7755439.stm

 

10-10-2014

I bambini che consumano bibite gassate sono non solo più grassi, ma anche più violenti. A sostenerlo è uno studio condotto dalle università di Harvard, Columbia e Vermont, pubblicato oggi sulla rivista scientifica Journal of Pediatrics. La ricerca ha analizzato il comportamento di 3.000 bambini, dalla nascita fino al compimento dei 5 anni. I soggetti coinvolti provengono da 20 grandi città degli Stati Uniti e sono perlopiù neri o ispanici. Il 40% del campione studiato ha bevuto almeno una bevanda gassata al giorno, solo il 4% ne ha consumate quattro o più. Proprio tra coloro che hanno bevuto la maggiore quantità di queste bibite si è riscontrato il doppio delle probabilità di incorrere in comportamenti violenti, come distruggere proprietà altrui, picchiare e aggredire fisicamente le persone. Secondo i ricercatori, la causa sarebbe da ricercare in ingredienti tipici delle bevande gassate come la caffeina, che provoca insonnia, depressione e atteggiamenti impulsivi. Dunque, limitare o eliminare queste bibite dalle diete dei bambini “potrebbe ridurre i loro problemi comportamentali”, come hanno sostenuto gli autori dello studio in una nota, sottolineando che sono proprio gli americani i maggiori consumatori di bibite con le bollicine.

 

http://www.jpeds.com/article/S0022-3476%2813%2900736-1/fulltext

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Suglia+SF%2C+Solnick+S%2C+Hemenway+D

18-11-2014

Uno studio, condotto da ricercatori del National Institute of Education farmaceutica e da ricercatori in India, ha trovato che l’astaxantina non solo è in grado di ridurre l’ossidazione del fegato, ma in realtà può prevenire il danno al DNA nelle prime fasi di sviluppo del cancro al fegato. Nello studio, pubblicato sulla rivista Mutation Research, i ricercatori hanno utilizzato ciclofosfamide per indurre stress ossidativo nel fegato dei ratti. Questo stress ha dimostrato di causare danni al DNA e, infine, lo sviluppo del cancro al fegato. I ricercatori hanno quindi trattato i ratti con 25 mg/kg di astaxantina. Essi hanno scoperto che lo stress ossidativo, danno al DNA e sintomi precancerosi sono stati tutti ridotti. “Il presente studio conferma che l’astaxantina è un potente antiossidante e attenua lo stress ossidativo, danno al DNA, la morte cellulare e l’induzione iniziale di epatocarcinogenesi”, hanno scritto i ricercatori. L’astaxantina è un pigmento giallo-arancio della famiglia nota come xantofille, che a loro volta sono una sottoclasse dei carotenoidi. Si trova in abbondanza nelle alghe e plancton ed è presente anche nel salmone e frutti di mare. Anche se tutti gli antiossidanti sono in grado di rimuovere i radicali liberi che danneggiano il DNA, l’astaxantina possiede diverse proprietà che la rendono più potente dei tipici antiossidanti. La maggior parte di queste proprietà sono legate alla sua notevole mobilità: a differenza di molti antiossidanti, l’astaxantina è in grado di attraversare le barriere cellulari (eliminando in tal modo i radicali liberi all’interno delle cellule), la barriera della retina (contribuendo così a proteggere gli occhi) e la barriera emato-encefalica (contribuendo così a proteggere il cervello). Inoltre, l’astaxantina non si ossida dopo la rimozione dei radicali liberi e ciò le consente di continuare a lavorare. È anche in grado di rimuovere una grande varietà di diversi radicali liberi simultaneamente, piuttosto che rimuoverne solo uno alla volta o essere specificamente in sintonia con una certa classe di radicali liberi.
Come molti antiossidanti, l’astaxantina è anche un potente antinfiammatorio. Questo sembra essere alla base di molti dei suoi benefici per la salute, dal momento che l’infiammazione cronica è stata collegata a una vasta gamma di malattie croniche tra cui molti tipi di cancro, malattie cardiache, morbo di Alzheimer e diabete. E’ ormai comunemente usata come rimedio per dolori articolari da artrite, sindrome del tunnel carpale e condizioni legate all’esercizio fisico. Secondo un sondaggio condotto da Nutrex-Hawaii, l’80 per cento delle persone che hanno assunto l’astaxantina per il mal di schiena o artrite (artrosi o artrite reumatoide) ha riportato un significativo miglioramento dei sintomi. L’astaxantina ha dimostrato di stimolare il sistema immunitario, regolare la pressione sanguigna, migliorare la salute riproduttiva e aiutare a prevenire le malattie croniche, tra cui il morbo di Alzheimer, il Parkinson, malattie cardiache e diabete. Allevia anche i problemi della prostata e migliora la salute della pelle e a volte inverte persino il danno che porta all’ invecchiamento della pelle. Gli atleti assumono regolarmente l’astaxantina per aumentare la resistenza e l’energia. Essa previene il dolore articolare e muscolare e diminuisce il tempo necessario per il recupero dopo l’esercizio. Infine, l’astaxantina è uno dei migliori antiossidanti per migliorare la salute degli occhi. Aiuta a prevenire la cataratta, la degenerazione maculare, l’edema cistoide, la retinopatia diabetica e anche il glaucoma.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20038455

 

19-09-2014

Nelle donne, l'acido folico, abbondante nella frutta e nelle verdure verdi, potrebbe impedire, se assunto in abbondanza come integratore nutrizionale, lo svilupparsi dell'ipertensione arteriosa grazie all'azione che è in grado di esercitare sui vasi sanguigni. A stabilirlo è stato un ampio studio pubblicato negli Stati Uniti. L'acido folico non ha però alcun effetto sulla pressione arteriosa quando è assorbito attraverso il consumo normale di frutta e verdura. Solo l'assorbimento in alte dosi sotto forma di integratori alimentari sembra avere un effetto sui vasi sanguigni. A sottolinearlo è lo studio condotto da John Forman, del Brigham and Women’s Hospital di Boston le cui conclusioni sono state pubblicate sul "Journal of the American Medical Association" (JAMA). Forman precisa che si tratta del primo studio ampio che mostra un legame tra l'assorbimento di acido folico e la prevenzione dell'ipertensione e le conclusioni cui è giunto sono incoraggianti, ma la ricerca non è giunta ad un punto tale da poter indurre lo studioso a consigliare alle donne di assumere elevate quantità di acido folico a tal fine. Ulteriori studi sono ora necessari prima di raccomandarlo come strumento di prevenzione. 
Questa ricerca è stata effettuata su due gruppi di donne. Il primo è stato preso in esame dal 1991 al 1999 ed era costituito da 93.803 donne dai 27 ai 44 anni, mentre con il secondo si copriva il periodo dal 1990 al 1998 su 62.260 donne dai 43 ai 70 anni. Le partecipanti non avevano precedenti di ipertensione arteriosa. Le informazioni riguardanti il consumo di integratori alimentari a base di acido folico sono state tratte delle risposte a questionari. Gli scienziati hanno rilevato, nel gruppo delle donne più giovani, quelle che assumevano almeno mille microgrammi di acido folico ogni giorno attraverso gli integratori, un ribasso del 46% dei rischi dell'ipertensione, se comparato con quelle che ne avevano assorbito meno di 200 microgrammi al giorno. Nel secondo gruppo di donne dai 43 ai 70 anni, quelle che assumevano quantità elevate di acido folico, il rischio di ipertensione arteriosa è stato abbassato del 18%. Quantità elevate di acido folico, almeno 400 microgrammi, sono già attualmente raccomandate alle donne incinte durante il corso della loro gravidanza per proteggere il feto dai problemi seri che potrebbero interessare lo sviluppo del cervello e del midollo spinale. Questi ricercatori non sono stati in grado di stabilire se l'acido folico ad alte dosi abbia gli stessi effetti sugli uomini.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15657325

 

10-11-2014

Scoperta la causa del diabete giovanile, noto anche come diabete di tipo 1. Il valore basso di carnitina nei neonati sarebbe un segnale del futuro insorgere della malattia. La carenza è riscontrabile fin dai primi giorni di vita. Il diabete giovanile è una malattia autoimmune che potrebbe essere prevenuta somministrando integratori di carnitina nei primi giorni dalla nascita. Ciò eviterebbe di dover convivere con questa malattia autoimmune nel corso della vita. La ricerca al riguardo è tutta italiana ed è opera degli esperti dell'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze in collaborazione con l'Ospedale Bambin Gesù di Roma. Gli scienziati hanno osservato che i neonati con bassi livelli di carnitina nel sangue sviluppano in seguito i sintomi del diabete. E' dunque possibile prevenire il diabete? Sulla base delle nuove evidenze scientifiche, i ricercatori hanno intenzione di condurre un esperimento per individuare la possibilità di somministrare ai neonati che presentano il rischio di diabete una terapia a base di integratori di carnitina. 
Le carnitine sono una famiglia di molecole in grado di eliminare le cellule immunitarie autoreattive che sono responsabili della comparsa del diabete. Se queste cellule non vengono annientate al più presto, entrano nel circolo sanguigno e si annidano nei linfonodi. Se attivate, causano il diabete, come ha spiegato l'esperto Gian Franco Bottazzo. I bassi livelli di carnitina rappresentano il primo marcatore del diabete di tipo 1 individuato alla nascita, secondo quanto comunicato da parte degli esperti che si sono occupati del nuovo studio. Ora agli scienziati non resta che provare a somministrare ai neonati dei biberon arricchiti con carnitina, per verificare che ciò possa prevenire la malattia in concreto. I risultati della ricerca sul diabete neonatale sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nutrition and Diabetes.

 

http://www.nature.com/nutd/journal/v3/n10/full/nutd201333a.html

 

23-09-2014

Molte donne durante il mese si trovano a dover fare i conti con ansia, nervosismo, irrequietezza, malumore e, in alcuni casi, anche con sintomi fisici come mal di pancia o di testa. Sono gli effetti della cosiddetta tensione premestruale, o PMT, che si può presentare puntuale ogni mese prima del ciclo. Questa condizione, per alcune donne, può assumere valenze di vero e proprio tormento. Gli effetti sull’umore possono divenire fastidiosi e rendere difficile il quieto vivere quotidiano. Non sapendo spesso dare spiegazione, non è raro che si possa credere di avere problemi mentali e, magari, ricorrere all’uso – non giustificato – di psicofarmaci, con tutte le conseguenze del caso. Per tutte le donne che soffrono di questa condizione o che vogliono prevenirla, una buona notizia arriva dai ricercatori dell'Università del Massachusetts di Amherst e Harvard, i quali hanno condotto uno studio in cui si è scoperto come il mangiare alimenti che contengono ferro non-eme (tipico delle verdure) sia utile nel ridurre il rischio e prevenire la PMT. Nel caso poi già si soffra di questa sindrome, questi stessi alimenti possono aiutare a combatterla. La presenza di questo minerale in alimenti come i broccoli, o per esempio i semi di sesamo e le albicocche, promuoverebbe la produzione di serotonina da parte del cervello, che va a regolare l’umore. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno coinvolto circa 3.000 infermiere donna, le quali sono state seguite per 10 anni.
Le infermiere sono state selezionate tra coloro che avevano dichiarato di soffrire di tensione premestruale e, all’inizio dello studio, tutte quante presentavano questa sindrome. Al termine dello studio, 10 anni più tardi, a soltanto più un terzo di queste è stata diagnosticata la PMT, e due terzi delle partecipanti non la presentavano più. Per comprendere quali fossero i motivi per cui molte infermiere non soffrivano più di PMT, i ricercatori hanno analizzato la dieta seguita, trovando un legame tra l’assunzione di buone quantità di ferro non-eme e un minore sviluppo della tensione premestruale. Tra gli alimenti che contengono maggiore presenza di ferro non-eme ci sono proprio i broccoli, con 1 mg per 100 g di prodotto edibile; i semi di sesamo tostati invece ne contengono 14,8 mg per 100 g e le albicocche secche 6,3 mg, sempre per 100 g. I risultati dello studio, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology, hanno mostrato che la correlazione tra l’apporto di ferro non-eme e la tensione premestruale era di 20 mg o più al giorno per vedere ridurre il rischio di soffrirne dal 30% al 40%, rispetto alle donne che assumevano minori quantitativi di questo minerale. Ecco pertanto come una dieta corretta, che preveda l’assunzione di cibi ricchi di ferro non-eme possa essere salutare e d’aiuto per le donne che soffrono di tensione, o sindrome premestruale.

 

http://www.cbc.ca/news/health/diet-rich-in-iron-may-prevent-pms-1.1318746

http://dailycollegian.com/2013/03/12/study-shows-women%E2%80%99s-iron-intake-could-lower-pms-risk/

 

Domenica, 23 Aprile 2017 16:24

L'ERBA CHE PUO' SCONFIGGERE LA CANDIDA.

25-10-2014

La candida, fastidiosa infezione nota a molte signore, potrebbe essere sconfitta con un’erba medicinale, la Gymnema sylvestre. A scoprire le proprietà benefiche di questa pianta e gli effetti nei confronti di questa infezione è stato uno studio svolto presso la Kansas State University. La Gymnema sylvestre è già nota nella medicina cinese e ayurvedica per le sue proprietà ipoglicemizzanti. Essa infatti aiuta a regolare i livelli di glucosio nell’intestino. Ma per la prima volta è stata utilizzata con successo per trattare un fungo saprofita umano molto comune, chiamato Candida albicans. Quest’ultimo si trova in bocca, nell’intestino e nella vagina e talvolta può provocare un’infezione piuttosto fastidiosa. Il nuovo studio, portato avanti da Govindsamy Vediyappan, assistente professore di biologia, ha avuto successo su due livelli. In primo luogo, il team di ricerca ha scoperto che il composto medicinale non è tossico. In secondo luogo, blocca la virulenza del fungo in modo da rendere l’infezione più curabile. “Abbiamo dimostrato che questo composto è sicuro da usare perché non fa male alle cellule del nostro corpo, ma blocca la virulenza di questo fungo in vitro”, ha detto Vediyappan. “Assumere l'erba potrebbe potenzialmente aiutare i pazienti a controllare la crescita invasiva del fungo e contribuire anche ad abbassare i loro livelli di zucchero”. Merito del suo principio attivo, l’acido gimnemico. L’estratto di Gymnema sylvestre è comunemente usato per trattare il diabete e altri disturbi, perché è un trattamento economico ed efficace, secondo Vediyappan. Anche se la ricerca del team di Vediyappan non è la prima a scoprire gli effetti positivi sulla salute di questa pianta, la novità è che ha compreso la capacità della Gymnema di sconfiggere la candida. Ma non solo. L’acido gimnemico è in grado di contrastare la crescita dell’Aspergillus, un altro fungo patogeno che può colpire pazienti sottoposti a trapianto di cuore o affetti da leucemia.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24040201

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3770570/

 

Giovedì, 20 Aprile 2017 17:57

VITAMINA B12 CONTRO L’ALZHEIMER.

17-09-2014

Nuove confortanti evidenze sul ruolo della vitamina B12 nel prevenire la demenza senile arrivano dalla Svezia. Uno studio pubblicato su “Neurology” afferma infatti che la presenza di vitamina B12 nel sangue protegge e previene l'insorgenza di Alzheimer. La ricerca condotta dal gruppo di ricerca del dottor Hoosmand del Karolinska Institutet di Stoccolma ha monitorato per 7 anni un gruppo di anziani di età compresa tra i 65 e i 79 anni, che all'inizio dell'osservazione non presentavano demenza. Dei 271 volontari 17 hanno sviluppato la malattia e tutti periodicamente sono stati sottoposti ad analisi del sangue. Ciò che è emerso è che chi non presenta segni di demenza ha alti livelli ematici di vitamina B12, mentre in chi la malattia è insorta è stato riscontrato un innalzamento dei livelli di un'altra molecola, l'omocisteina, ritenuta responsabile di problemi cardiaci, ictus e danni cerebrali, la cui concentrazione può essere tenuta a bada proprio dalla vitamina B12. Le due sostanze hanno una relazione quantitativa con l'insorgenza della malattia, difatti, per ogni micromole di omocisteina in eccesso il rischio diAlzheimer aumenta del 16%, mentre per ogni picomole in più della forma attiva di vitamina B12 il rischio diminuisce del 2%. Certo la dimensione del campione è limitata ma questo lavoro si aggiunge ai già tanti che negli anni passati hanno correlato gli effetti protettiva della vitamina B e che lasciano sperare nello sviluppo di nuove terapie a base di vitamine B. Ad esempio uno studio pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition e svolto da alcuni ricercatori dell'Università di Oxford, aveva dimostrato come in pazienti anziani con livelli bassi di vitamina B12 i danni neurologici subiti fosseero il doppio rispetto ai coetanei dotati del giusto apporto vitaminico. Precedenti studi della stessa squadra di ricercatori avevano messo in luce come il vino e il cioccolato, oltre al latte, possano arrecare effetti benefici simili a quelli evidenziati dal latte. Gli studiosi inglesi stanno cercando di capire se gli integratori vitaminici possano aiutare a risolvere i problemi di memoria.
Un altro studio svolto dai ricercatori dell'Università di Oxford, diretto sempre da David Smith e pubblicato sulla rivista “Neurology”, aveva premiato la vitamina B12 come elemento fondamentale per avere e conservare una buona memoria. I ricercatori avevano evidenziato che pazienti anziani con un basso livello di vitamina B12 sono soggetti maggiormente al rischio di incorrere in vere e proprie amnesie, con un rischio sei volte maggiore a chi, invece, ha un livello medio-alto di vitamina B12. Questo ulteriore studio dimostrava, quindi, come non fosse un luogo comune dire che mangiare il pesce fa bene al cervello: la vitamina B12 si trova infatti in grande quantità nel pesce, nella carne e nel latte e previene il deterioramento neurologico. Un'altra ricerca, pubblicata su “Neuropsychology”, metteva in luce i rapporti tra un genotipo e la predisposizione di alcuni anziani alla malattia di Alzheimer. Il genotipo in questione, l’allele ε4 nel gene dell’apolipoproteina E (APOE), è presente in circa il 15% delle persone ed è un fattore di rischio per la demenza. La ricerca indica che quasi una persona su quattro fra coloro che hanno una copia dell'allele 4 e quasi metà delle persone che hanno due copie dell'allele 4 svilupperà la malattia di Alzheimer. È già noto alla ricerca, inoltre, che bassi livelli di due vitamine B, B12 e i folati sono legati ad una diminuzione della memoria e ad un maggior rischio di essere colpiti dalla malattia di Alzheimer. Finora pochi studi avevano esaminato insieme i due fattori, genotipo e vitamine, in relazione alle prestazioni cognitive di chi raggiunge le età più mature. Lo studio è stato condotto da ricercatori svedesi e britannici su 167 persone in buona salute, dall'età media di 83 anni. A ciascuno dei partecipanti è stato praticato il prelievo del sangue per verificare i livelli delle vitamine ed il genotipo. Infine sono stati sottoposti ad una serie di test della memoria. Dallo studio è emerso che la combinazione di bassi livelli di vitamina B12 e del genotipo con l’allele 4 è associabile in maniera significativa con una memoria meno efficiente. Gli autori dello studio precisano inoltre che le persone dal genotipo con l’allele 4 possono ottenere notevoli benefici per le loro capacità cognitive assumendo le vitamine B12 e folati. Si può dunque ritenere che assumere più vitamine del gruppo B può essere un efficace arma preventiva per la salute di chi ha superato certe soglie di età.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20956786

 

23-05-2015

La notizia arriva dalla Germania, frutto di un attento studio. Alcuni ricercatori hanno messo in relazione l'aumento dell'infertilità maschile con l'uso dei pannolini usa e getta. Pannolini che, a causa della plastica con la quale sono realizzati, fanno sì che la temperatura dello scroto sia superiore a quella corporea anche di un grado. Poiché le temperature elevate sono uno dei nemici accertati della sopravvivenza e del numero degli spermatozoi, gli studiosi hanno evidenziato come il sottoporre gli organi genitali dei neonati per un periodo di molti mesi a questo forzato aumento di temperatura possa essere causa di un danno permanente, che nell'adulto si evidenzia nella sterilità. L'unica alternativa possibile è quella dei pannolini di stoffa, peraltro sempre più rivalutati perché molto più "ecologici" rispetto agli usa e getta.

 

http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/941174.stm

 

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