Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

08-12-2014

Ancora novità nella ricerca di una cura e trattamento della sclerosi multipla (SM), o sclerosi a placche, la malattia degenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale e affligge circa 68mila persone soltanto in Italia. Quello che hanno scoperto i ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora (Usa) è che la vitamina D può giocare un ruolo di primo piano nel combattere la malattia, bloccando la migrazione al cervello da parte delle cellule immunitarie distruttive. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) è stato condotto su modello animale dalla dott.ssa Anne R. Gocke e colleghi della Johns Hopkins che hanno potuto osservare come, nei topi affetti da una forma di SM, la vitamina D pare bloccare le cellule immunitarie che causano danni con la loro migrazione al sistema nervoso centrale. Questo processo attuato dalla vitamina D potrebbe spiegare il perché proprio questa vitamina può prevenire o alleviare i sintomi della malattia.
Gli scienziati, per questo studio, sono partiti dalla constatazione che la sclerosi multipla è per la maggioranza prevalente nelle regioni del mondo più lontane dall’equatore, dove c’è meno Sole che, come sappiamo, è la principale fonte naturale di vitamina D. «Con questa ricerca – spiega la dott.ssa Gocke, professore di neurologia e principale autore dello studio – abbiamo scoperto che la vitamina D funziona non alterando la funzione delle cellule immunitarie dannose, ma impedendo il loro cammino verso il cervello». I test condotti in laboratorio hanno mostrato che nei topi a cui era stata data una elevata dose di vitamina D non si sono sviluppati i sintomi della malattia. In più, nonostante nel sangue dei modelli siano state trovate cellule T in grandi quantità, ve ne erano poche sia nel cervello che nel midollo spinale.
La vitamina D agisce sul comportamento delle cellule rallentando il processo di produzione di una sostanza appiccicosa che permette alle cellule T di aggrapparsi alle pareti dei vasi sanguigni, tuttavia le cellule T rimangono in circolazione anche se è impedito a esse di migrare al cervello. Un effetto che si è inoltre osservato è la fugacità immunosoppressiva, ossia una volta che si sospende il trattamento con la vitamina D possono ripresentarsi i sintomi poiché non vi è più il supporto dell’azione della vitamina. Per questo motivo, per poterla trattare è importante non far mai mancare la vitamina D all’organismo. Al contrario, se si vuole far sì che il sistema immunitario sia più attivo, basta limitare l’apporto di vitamina D.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=PNAS+Gocke

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3876241/

 

10-03-2015

In tempo di guerra veniva dato ai bambini per farli crescere più forti e sani. E per il suo sapore per nulla gradevole, è rimasto nella memoria di molti ancora oggi. Dopo essere scomparso dall’alimentazione per decenni, ecco tornare l’olio di fegato di merluzzo: oltre all’alto contenuto vitaminico, avrebbe proprietà antidepressive. Addirittura, un cucchiaio al giorno sarebbe in grado di ridurre del 30% la possibilità di restare vittime del “mal di vivere”. Lo sostiene una ricerca pubblicata sul “Journal of Affective Disorders” e realizzata dall’Università di Haukeland a Bergen in Norvegia. Dall’esame dello stato di salute e delle abitudini alimentari di 22 mila persone con più di 40 anni, si è osservato che coloro che non consumano olio di fegato di merluzzo hanno una percentuale significativamente più alta di stress, ansia e depressione. Al contrario, il 9% delle persone esaminate, che ne ingeriscono un cucchiaio al giorno, mostrano una percentuale minore del 30% di questi stati di disagio psicologico. Il merito sarebbe dei già noti acidi grassi Omega-3, presenti in quantità nell’olio di fegato di merluzzo.

 

http://www.dailymail.co.uk/health/article-461596/A-spoonful-cod-liver-oil-combat-depression.html

http://www.nutraingredients.com/Research/Cod-liver-oil-linked-to-less-depression

Domenica, 10 Settembre 2017 11:58

INFLUENZA: VITAMINA D AL POSTO DEI VACCINI.

04-12-2014

Dal momento che esiste una sostanza capace di prevenire l'influenza molto più efficacemente dei vaccini, tutti noi saremmo portati a pensare che gli scienziati avrebbero fatto di tutto per pubblicizzarla, giusto? In fin dei conti il nocciolo della questione non dovrebbe essere quello di proteggere bambini e adulti dalla influenza? Uno studio clinico condotto dal dottor Mitsuyoshi Urashima presso la Divisione di Epidemiologia Molecolare nel Dipartimento di Pediatria presso l'Università di Medicina di Minato-ku a Tokyo, ha rilevato che la vitamina D sia estremamente efficace nel prevenire la comune influenza nei bambini. Lo studio è stato pubblicato nel marzo 2010 dal Journal of Clinical Nutrition. Si è trattato di un esperimento randomizzato su due gruppi il quale ha coinvolto 334 bambini, a metà dei quali sono stati somministrati 1.200 UI al giorno di vitamina D3, e all'altra metà un semplice placebo. Tale rigoroso studio è stato svolto seguendo scrupolosamente tutti gli standard scientifici più rigidi. I risultati hanno detto che mentre 31 dei 167 bambini facenti parte del gruppo “placebo” hanno contratto l'influenza durante i quattro mesi nei quali è proseguito lo studio, solo 18 dei 168 bambini del gruppo “vitamina D” l'ha contratta. Questo significa che la vitamina D è stata responsabile di una riduzione assoluta di quasi l’8%.
I vaccini antinfluenzali – secondo i più recenti dati scientifici – ottengono l'1% di riduzione dei sintomi dell’influenza. Ciò significa che la vitamina D sembra essere 800 volte più efficace rispetto ai vaccini per prevenire le infezioni influenzali nei bambini. Per sostenere ulteriormente questi dati, sarebbe stato necessario effettuare un ulteriore studio clinico attraverso il quale porre a confronto diretto i supplementi di vitamina D con i vaccini antinfluenzali, attraverso una sperimentazione su un totale di quattro gruppi di individui:

Gruppo 1. dovrebbe ricevere un placebo di vitamina D.
Gruppo 2. dovrebbe ricevere vitamina D (2.000 UI al giorno).
Gruppo 3. dovrebbe ricevere un'iniezione di vaccino antinfluenzale.
Gruppo 4. dovrebbe ricevere un'iniezione placebo.

Purtroppo un simile esperimento non potrà mai essere ufficialmente realizzato perché gli spacciatori di vaccini sanno bene che proverebbe in maniera definitiva l'inutilità dei loro vaccini. Tornando allo studio, un altro affascinante risultato è che per quei bambini ai quali in passato – prima dell’esperimento – era già stata somministrata vitamina D da parte dei genitori, i risultati si sono rivelati ancora migliori, in quanto in tali soggetti la vitamina D ha ridotto il rischio di influenza di quasi due terzi. In altre parole, più di sei bambini su dieci che normalmente avrebbero contratto l'influenza sono risultati protetti dalla vitamina D. Lo studio ha anche evidenziato come la vitamina D abbia fortemente represso i sintomi da asma bronchiale. Su 12 bambini con precedenti diagnosi di asma, nel gruppo “vitamina D”, solo 2 hanno manifestato tali sintomi. Sebbene questo sottoinsieme sia di dimensione piuttosto contenuta, è apparso assolutamente chiaro che la vitamina D prevenga gli attacchi di asma nei bambini, e tutto ciò si dimostra del tutto coerente con la prova antinfluenzale. Ora, dal momento che la vitamina D3 ha denotato un effetto così potente nel prevenire l’influenza – 800 volte più efficace dei vaccini – i medici e le autorità sanitarie non dovrebbero darsi da fare prescrivendo l’assunzione di vitamina D prima che abbia inizio la “stagione influenzale”? Nonostante la vitamina D abbia offerto una indiscutibile protezione contro tutte le infezioni influenzali, costoro ancora non la consigliano. Perché? Perché non credono nel nutrizionismo! Esso infatti si pone in contrasto con la loro agenda informativa sanitaria, la quale afferma che i nutrienti sono per loro inutili, mentre solo i farmaci possiederebbero reali funzioni curative.
Si potrebbero pubblicare un centinaio di studi atti a dimostrare come la vitamina D sia molte volte più efficace dei vaccini, eppure ancora non la raccomandano. Sono promotori del dogma medico piuttosto che di soluzioni reali per aiutare i pazienti. Ma questa è la storia della scienza: un sacco di persone apparentemente “intelligenti” che commettono errori marchiani su base regolare. Il che ricorda un pò i progressi della scienza: una nuova idea contesta un vecchio assunto, e dopo che tutti i difensori del vecchio assunto (sbagliato) muoiono, ecco che viene accettato il nuovo assunto, il tutto su basi per lo più dogmatiche. Tale atteggiamento si riflette in una citazione del Dr. John Oxford, professore di virologia al Queen Mary School of Medicine di Londra, la cui reazione allo studio descritto in questo articolo è stata: Avete notato le sue osservazioni conclusive? Non ha nemmeno preso in considerazione l’idea che la vitamina D possa sostituire i vaccini. Piuttosto, afferma che la vitamina D abbia valore solo se somministrata congiuntamente ai vaccini!
Questo ostracismo “dogmatico” è riscontrabile anche in campo oncologico in merito alle erbe anticancro e ad altre sostanze nutritive. Ogni volta che si riscontra una reale utilità di tali sostanze anti-business, ecco che certa stampa afferma cose come: “Beh, questa sostanza potrebbe essere utile se somministrata al paziente dopo la chemioterapia…”, ma mai in sostituzione della chemio, ovviamente. Molti medici tradizionali e scienziati medici sono semplicemente incapaci di pensare al di fuori del box molto ristretto in cui i loro cervelli sono stati spinti dopo anni di de-formazione presso le scuole di medicina. Quando hanno a che fare con elementi contrari a ciò che è stato loro insegnato, essi stupidamente finiscono per respingerli.
Gran parte delle riviste mediche non funzionano come amplificatori di verità scientifiche, ma come difensori del dogma pseudoscientifico. Per essere pubblicato un testo – nella gran parte di tali riviste – il tema trattato deve soddisfare le aspettative e le credenze tanto del giornale quanto dell'editore. Così, il progresso della conoscenza scientifica in ogni giornale si limita a rispecchiare le attuali convinzioni di un singolo individuo: il direttore di quel giornale. Quasi tutte le ricerche pionieristiche che abbiano sfidato lo status quo sono state respinte. Solo ai documenti che confermassero le convinzioni di redazione della rivista è stata regolarmente concessa la pubblicazione. Questa è una delle ragioni per cui la scienza medica, in particolare, avanza così lentamente. Gli studi che hanno dimostrato che la vitamina D sia più efficace rispetto ai vaccini hanno visto raramente la luce del giorno nella comunità scientifica. Ciò avvalora l’opera del Journal of Clinical Nutrition, il quale ha accettato la pubblicazione di questo documento da parte di Mitsuyoshi Urashima. La maggior parte delle riviste mediche non avrebbero osato pubblicarlo proprio perché mette in discussione lo status quo relativo a vaccini ed influenza. Vedete, le riviste mediche sono in gran parte finanziate dall'industria farmaceutica. E Big Pharma non vuole accordare alcuna credibilità agli studi sulle vitamine, indipendentemente dal loro valore scientifico. Anche se la somministrazione di vitamina D potrebbe comportare un risparmio di miliardi di dollari in America, e ridurre i costi di assistenza domiciliare, nessuno vuole concedere supporto scientifico alla vitamina D dal momento che alle aziende farmaceutiche non sarebbe concesso di brevettare una vitamina. Essa è inoltre facilmente accessibile al costo di pochi centesimi. Con il tempo la vitamina D sarà riconosciuta come superiore ai vaccini nel contrastare l'influenza stagionale, ma per adesso dobbiamo sorbirci la sciocca propaganda di un settore che ha abbandonato la scienza, per adorare aghi e provette.

 

http://www.naturalnews.com/029760_vitamin_d_influenza.html

http://ajcn.nutrition.org/content/91/5/1255.full

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20219962

 

10-03-2015

Secondo un nuovo studio, la carenza di omega-3 è il sesto maggiore killer degli Americani. I ricercatori dell’Università di Harvard hanno analizzato 12 fattori di rischio metabolici come dieta, stile di vita, tabagismo e pressione sanguigna elevata ed hanno usato un modello matematico per determinare quanti infortuni mortali potrebbero essere evitati se venissero osservate certe pratiche. Lo studio ha stabilito che potrebbero essere evitate 72.000-96.000 decessi ogni anno dovuti a carenza di omega-3, evidenziando l’importanza di stabilire un riferimento di assunzione dietetica (DRI) per tipi di omega-3 come EPA (acido eicosapentenoico) e DHA (acido docosaexanoico).
Un altro studio ha trovato che una combinazione di acidi grassi omega-3 e di coenzima Q10 (CoQ10) ha fatto diminuire la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca in pazienti con malattie renali. Individui con malattia renale cronica (CKD), che aumenta il rischio di cardiopatie, hanno evidenziato miglioramenti sia nella pressione sanguigna che nella frequenza cardiaca dopo assunzione giornaliera di quattro grammi di grassi omega-3. Inoltre, quando gli omega-3 erano assunti congiuntamente al coenzima Q10, i benefici aumentavano. La CKD è collegata ad aumentata prevalenza di mortalità per qualsiasi causa, eventi cardiovascolari e ospedalizzazione. Oltre che avvantaggiare la salute fisica, i grassi omega-3 sono validi anche per la psiche. I ricercatori hanno indicato che i pazienti depressi hanno, in media, livelli più bassi di omega-3 nel sangue. Il livello di omega-3 ematico è inoltre direttamente proporzionale alla gravità dello stato depressivo. Un certo numero di studi ha evidenziato un miglioramento dei benefici terapeutici dopo supplementazione con omega-3 in pazienti bene controllati dal trattamento antidepressivo.

 

http://www.nutraingredients-usa.com/Research/Omega-3-deficiency-causes-96-000-US-deaths-per-year-say-researchers

http://www.nutraingredients.com/Research/Omega-3-may-improve-blood-pressure-in-kidney-disease-patients

26-03-2015

Praticare sport e svolgere esercizio fisico aiuta i bambini nella lettura. Oltre allo studio, anche l’attività fisica potrebbe quindi rivelarsi utile nella stimolazione del cervello dei bambini. Soprattutto per quanto riguarda le abilità cognitive collegate all’apprendimento e all’elaborazione dei contenuti letti. Stando ai risultati ottenuti dai ricercatori i bambini che hanno mostrato di essere in buona forma fisica avrebbero evidenziato al contempo un’abilità di lettura, comprensione del testo e apprendimento maggiori rispetto ai non allenati. Questo avverrebbe grazie a una migliore allocazione delle risorse cognitive quando impegnati a leggere.
Analizzando nei piccoli partecipanti le onde cerebrali connesse all’attività di lettura, le N400 (connesse con la lettura di parole e frasi con senso logico) e le P600 (interenti le regole grammaticali), i ricercatori hanno notato come nei bambini in buona forma le N400 si rivelassero ad esempio più ampie, ma anche più corte: segnale quest’ultimo che indicherebbe un minor tempo necessario per l’elaborazione del concetto. Come ha sottolineato l’autore principale dello studio, il Professor Charles Hillman dell’University of Illinois: "Studi precedenti hanno mostrato maggiore ampiezza delle onde cerebrali N400 nei lettori più abili. Tutti sappiamo che c’è qualcosa di differente tra i bambini allenati e quelli che non lo sono, ma ulteriore lavoro deve essere fatto per estrapolare le cause di questo miglioramento cognitivo nei bambini che sono più in forma".
Molti studi condotti nell’ultimo decennio sui bambini e sugli anziani hanno mostrato ripetutamente l’effetto di un incremento dell’attività fisica nello stile di vita o miglioramenti nella capacità aerobica e le implicazioni che questi comportamenti salutari hanno per la struttura del cervello, le funzioni cerebrali e il rendimento cognitivo.

 

https://news.illinois.edu/blog/view/6367/204578

 

Mercoledì, 06 Settembre 2017 09:31

OMEGA-3 PER RIDURRE IL DESIDERIO DI FUMARE.

02-03-2015

L’assunzione di integratori di omega-3 riduce il desiderio di nicotina e anche il numero di sigarette che le persone fumano ogni giorno, secondo un nuovo studio condotto presso l’Università di Haifa. “Le sostanze e farmaci utilizzati attualmente per aiutare le persone a ridurre e smettere di fumare non sono molto efficaci e causano diversi effetti collaterali. I risultati di questo studio hanno indicato che gli omega-3, un integratore alimentare poco costoso e facilmente disponibile e quasi senza effetti collaterali, riduce in modo significativo il desiderio di fumare “, ha detto il dottor Sharon Rabinovitz Shenkar, responsabile del programma per combattere le dipendenze presso il dipartimento di Criminologia dell’Università di Haifa e del laboratorio di psicofarmacologia al Bari Ilan, che ha condotto questo studio. L’esposizione cronica a sostanze tossiche del fumo è la causa primaria di disfunzioni polmonari, carcinogenesi, disfunzioni cardiovascolari, disfunzioni del sistema immunitario, cancro e riduce anche i livelli di acidi grassi essenziali nel cervello, in particolare di omega-3. Una carenza di omega-3 danneggia la struttura cellulare delle cellule nervose e interrompe la neurotrasmissione nelle aree del cervello coinvolte con la sensazione di piacere e soddisfazione. Queste aree sono essenziali per il senso di ricompensa e il processo decisionale e sono molto importanti nel processo di sviluppo e ricaduta nella dipendenza e incapacità di smettere di fumare. In termini più semplici, la carenza di omega-3 rende più difficile per il fumatore, gestire la sua voglia di “un’altra sigaretta”.
Studi precedenti hanno dimostrato che uno squilibrio di omega-3 è anche legato alla salute mentale, depressione e alla capacità di far fronte alle tensioni e stress. Pressione e stress, a loro volta, sono associati con la voglia di fumare. E’ noto, inoltre, che i livelli di stress e la tensione aumentano tra le persone che smettono di fumare. “La connessione tra tutti questi fattori non era stata studiata fino ad ora“, ha detto il dottor Rabinovitz Shenkar. L’attuale studio ha aderito ad una metodologia rigorosa (in doppio cieco, randomizzato, placebo-controllato) e comprendeva quarantotto fumatori di età compresa tra 18-45 anni che hanno fumato almeno dieci sigarette al giorno durante l’anno precedente e una media di quattordici sigarette in una giornata. Essi sono stati diagnosticati con dipendenza moderata da nicotina. In totale, l’età media dei partecipanti era di ventinove anni e l’età media in cui avevano cominciato a fumare era al di sotto dei diciotto anni (in altre parole, avevano fumato per una media di undici anni). I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: un gruppo ha ricevuto omega-3 in capsule; il secondo gruppo ha ricevuto un placebo. I partecipanti sono stati invitati ad assumere cinque capsule al giorno per trenta giorni. In nessuna fase dello studio ai partecipanti è stato chiesto di smettere di fumare. I livelli di desiderio di nicotina e di consumo sono stati controllati utilizzando una serie di scale di valutazione per quanto riguarda vari aspetti legati al fumo, come la mancanza di controllo sul consumo di tabacco, l’anticipazione di sollievo e soddisfazione dal fumo e al numero di sigarette fumate ogni giorno. Questi livelli sono stati misurati all’inizio dello studio, dopo trenta giorni (di trattamento) e dopo sessanta giorni (cioè, trenta giorni dopo l’interruzione del trattamento). Ogni volta che i partecipanti allo studio sono stati testati, si sono astenuti dal fumo per due ore e poi sono stati esposti a stimoli legati ad immagini di sigarette, al fine di stimolare la loro voglia di nicotina.
I risultati mostrano che mentre non è stata trovata alcuna differenza tra i gruppi all’inizio dello studio, dopo trenta giorni i fumatori che avevano assunto omega-3 hanno ridotto il numero di sigarette dell’undici per cento, benché non è stato chiesto loro di cambiare le abitudini di fumo, in alcun modo. Non meno importante, i partecipanti trattati hanno mostrato una diminuzione significativa del desiderio di nicotina. Dopo altri trenta giorni senza trattamento, la voglia di sigaretta è leggermente aumentata, pur rimanendo significativamente inferiore al livello iniziale. In altre parole, il desiderio di fumare non è tornato al livello di partenza, neanche un mese dopo l’interruzione dell’assunzione del supplemento. Nel frattempo, nel gruppo che ha ricevuto il placebo non sono state osservate alterazioni significative nei loro livelli di craving o del numero di sigarette che fumavano al giorno, durante i sessanta giorni. Secondo il dottor Rabinovitz Shenkar, la constatazione che le persone che non erano interessate a smettere di fumare hanno mostrato un cambiamento così significativo, rafforza l’ipotesi che l’assunzione di omega-3 può aiutare i fumatori a regolare la loro dipendenza e ridurre il fumo. Ulteriori ricerche indicheranno se il supplemento di omega-3 è efficace anche per smettere completamente di fumare.

 

http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0269881114536477

 

25-09-2016

Una compressa di estratti di bacche di ginseng coreano, presa per 8 settimane, è in grado di risolvere le disfunzioni erettili. Lo scrivono, sul "Journal of Impotence Research", gli scienziati coreani del Yonsei University College of Medicine di Seul. Il miglioramento delle performance sessuale avviene grazie alla stimolazione della vasodilatazione che permette l'erezione. La radice delle bacche di ginseng è nota nella medicina cinese proprio per i suoi poteri afrodisiaci, tanto che il suo nome, tradotto, significa "radice virile".

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23254461

http://www.nhs.uk/news/2013/01January/Pages/Ginseng%E2%80%93the-new-Viagra.aspx

 

30-11-2014

La vitamina D è essenziale per una serie di funzioni dell’organismo tra cui la più nota è l’azione sulla formazione e il mantenimento delle ossa. Recenti studi hanno tuttavia messo in evidenza come questa vitamina sia altrettanto importante per altri organi e tessuti: uno di questi è il cervello. E proprio sull’azione della vitamina D sul cervello si è concentrato un nuovo studio dei ricercatori dell’University of Kentucky, i quali hanno scoperto che una carenza di vitamina D può causare seri danni cerebrali. Lo studio è stato condotto su modello animale, utilizzando dei topi a cui è stata fatta seguire una dieta povera di vitamina D per diversi mesi. L’osservazione dei processi innescati dalla carenza di vitamina D ha permesso ai ricercatori di individuare un’azione dannosa sul cervello da parte dei radicali liberi in cui si evidenziavano anche danni a molte delle proteine cerebrali. Non solo i danni alle cellule cerebrali sono stati rilevati per mezzo di strumentazione, ma anche per mezzo di test cognitivi in cui i topi hanno mostrato un significativo calo delle prestazioni, sia cognitive che di apprendimento e memoria. «Dato che la carenza di vitamina D è particolarmente diffusa tra gli anziani, abbiamo studiato come durante la fase d’invecchiamento tra la mezza età e la vecchiaia bassi livelli di vitamina D abbiano influenzato lo stato ossidativo del cervello – ha spiegato il dottor Allan Butterfield, autore principale dello studio –. Livelli sierici adeguati di vitamina D sono necessari per prevenire i danni al cervello da parte dei radicali liberi e le successive conseguenze deleterie».
I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Free Radical Biology and Medicine e dimostrano come una carenza di vitamina D possa dunque essere deleteria non solo per le ossa. Precedenti studi, poi, avevano suggerito come bassi livelli di vitamina D siano associati con la malattia di Alzheimer e lo sviluppo di alcuni tumori e malattie cardiache. Non dimentichiamo pertanto di seguire una dieta che favorisca l’assunzione di questa vitamina e, soprattutto, cerchiamo di esporci di più alla luce solare, possibilmente anche d’inverno.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23872023

 

30-11-2014

Un elevato apporto alimentare di magnesio svolgerebbe, secondo alcuni studi epidemiologici, effetti favorevoli sul rischio cardiovascolare. Un’ipotesi esaminata dagli autori di questo lavoro, basato sul grande studio spagnolo denominato “PrediMed” che hanno indagato, in particolare, se un apporto di magnesio alto, medio o basso si associasse ad una differente probabilità di sviluppare, nel tempo, eventi cardiovascolari, tumori o di incorrere in un decesso per qualunque causa. Il magnesio, è opportuno ricordarlo, è contenuto in molti alimenti di origine vegetale (verdura, frutta, legumi, cereali integrali). Nonostante la procedura adottata dagli autori sia inusuale (Predimed è infatti uno studio randomizzato, nel quale soggetti ad alto rischio cardiovascolare sono stati indirizzati ad una dieta mediterranea arricchita in olio di oliva extravergine, o in frutta secca, o ad una dieta ipolipidica di controllo), i risultati ottenuti combinando i soggetti dei vari gruppi sperimentali sono interessanti. Un elevato apporto di magnesio, infatti, si associa ad una riduzione di un terzo della mortalità per qualunque causa; un effetto favorevole si osserva anche analizzando separatamente il rischio di eventi cardiovascolari o tumorali (lo studio è durato in media circa 5 anni).

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24259558

 

Lunedì, 14 Agosto 2017 10:16

LA VITAMINA C PREVIENE L'ICTUS.

18-12-2014

Mangiare cibi che contengono vitamina C può ridurre il rischio del tipo più comune di ictus emorragico, secondo uno studio presentato al 66° Meeting Annuale di Neurologia a Philadelphia. Lo studio ha coinvolto 65 persone che avevano avuto un ictus emorragico intracerebrale o una rottura dei vasi sanguigni all’interno del cervello. Essi sono stati confrontati con 65 persone sane. I partecipanti sono stati testati per i livelli di vitamina C nel sangue. Il 41% dei casi avevano normali livelli di vitamina C, il 45% ha mostrato bassi livelli di vitamina C, mentre il 14% sono stati considerati carenti di questa vitamina. In media, le persone che hanno avuto un ictus avevano bassi livelli di vitamina C, mentre quelli che non avevano avuto un ictus, avevano normali livelli di vitamina. “I nostri risultati mostrano che la carenza di vitamina C deve essere considerata un fattore di rischio per questo grave tipo di ictus, insieme a pressione alta, alcool e sovrappeso”, ha detto l’autore dello studio Stéphane Vannier, del Pontchaillou University Hospital in Rennes, Francia. ”Più ricerca è necessaria per esplorare in modo specifico come la vitamina C può aiutare a ridurre il rischio di ictus. Ad esempio, la vitamina può regolare la pressione sanguigna”, ha concluso il ricercatore. Vannier aggiunge che la vitamina C sembra avere altri benefici come la creazione di collagene, una proteina che si trova nelle ossa, pelle e tessuti. La carenza di vitamina C è stata anche collegata a malattie cardiache. Lo studio è stato sostenuto dall’Università di Rennes, in Francia.

 

http://www.medicalnewstoday.com/articles/272741.php

 

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