Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

09-03-2016

Molte donne provano abitualmente i trucchi con i tester appositamente disposti sugli scaffali di profumerie, farmacie e grandi magazzini prima di procedere all'acquisto. Senz’altro ne guadagnerà l’estetica, ma non certo la salute. Una ricerca del Jefferson Medical College della Pennsylvania durata due anni ha infatti evidenziato che i campioncini di prova per il make up sono in grado di provocare infezioni di vario genere. In un elevato numero di tester (dal 67% al 100% di quelli analizzati) i ricercatori hanno rilevato una carica variabile di microrganismi patogeni di diverso tipo, tra cui innanzitutto batteri quali Escherichia coli e virus come Herpes simplex. Mentre per Herpes simplex il contagio si diffonde da pelle a pelle con il tramite del trucco, Escherichia coli, un germe responsabile di infezioni alimentari, proviene dall'intestino. Sì, avete intuito bene: chi ha provato il trucco prima di voi è andata in bagno, non si è lavata le mani e ha contaminato il tester. Se volete essere belle senza rischiare la salute, meglio allora comprare rossetti e mascara senza provarli. O, se proprio non riuscite a resistere alla tentazione, fatelo nei primi giorni della settimana: i ricercatori hanno scoperto che i campioni di prova per il trucco sono più contaminati il sabato, ovvero il giorno in cui un maggior numero di donne entra nei negozi a fare shopping. E poi comunque lavatevi subito e accuratamente il viso, magari aggiungendo al sapone qualche goccia di olio essenziale di tea tree (evitando però gli occhi).

 

http://articles.latimes.com/2010/apr/18/image/la-ig-testers-20100418

http://www.telegraph.co.uk/news/health/news/7624374/Women-testing-make-up-at-risk-of-infections.html

09-03-2016

Gli strumenti tecnologici che utilizziamo ogni giorno per fotografare i più svariati momenti potrebbero mettere a rischio la nostra memoria, facendola atrofizzare tanto da doverci poi affidare a delle “memorie esterne”. E’ quanto emerge da un recente studio condotto negli USA dalla psicologa Linda Henkel, della Fairfield University del Connecticut, secondo la quale scattare troppe foto, alla lunga, potrebbe danneggiare la nostra capacità di ricordare i dettagli. “Credo che stia succedendo questo – spiega la ricercatrice – stiamo utilizzando le nostre fotocamere come memorie esterne. Ci aspettiamo che ricordino le cose al posto nostro, così non dobbiamo perdere tempo a concentrarci troppo su di esse per focalizzare i particolari da ricordare”. La nostra memoria, a quel punto, non avrà la necessità di sforzarsi di ricordare, e si affiderà semplicemente a un supporto esterno.
Per dimostrare la sua teoria, la Henkel ha condotto una serie di esperimenti, chiedendo ad alcuni studenti di scattare foto ad alcune opere esposte in un museo e ad altri di osservarle senza immortalarle. Il giorno successivo, interrogandoli su ciò che ricordavano, i ricercatori si sono resi conto di come i giovani che avevano scattato foto fossero in grado di ricordare con più difficoltà i dettagli. Secondo la psicologa che ha condotto la ricerca, le persone fotografano soprattutto per comunicare agli altri il proprio stato d’animo e la propria condizione, e non più per ricordare. Sarebbe dunque cambiata la motivazione per cui scattare foto: in passato lo si faceva per rendere “eterno” un momento memorabile; ora invece lo si fa, sotto l’influenza dei social network, per raccontare la propria vita e affermare la propria identità. Anche in questo caso, come sempre accade quando si abusa di qualcosa, il continuo voler fotografare ogni momento della propria vita sta assumendo connotazioni negative, influenzando soprattutto la personalità dei più giovani. Sarebbe dunque opportuno tornare ad essere più selettivi e provare a godersi i momenti, piuttosto che volerli condividere immediatamente con chi è a chilometri di distanza da noi. E soprattutto, come consiglia la Henkel, bisognerebbe scattare le foto con la macchina fotografica e poi riporla. Solo in un secondo momento sarebbe opportuno, per mantenere viva la memoria, riguardarle e condividerne il ricordo con altre persone.

 

http://pss.sagepub.com/content/early/2013/12/04/0956797613504438.abstract

http://www.psychologicalscience.org/index.php/news/releases/no-pictures-please-taking-photos-may-impede-memory-of-museum-tour.html

http://www.telegraph.co.uk/news/science/science-news/10507146/Taking-photographs-ruins-the-memory-research-finds.html

Mercoledì, 09 Marzo 2016 08:11

ASPIRINA E FANS FANNO PERDERE L’UDITO.

09-03-2016

Sono ormai noti da tempo i molti possibili effetti collaterali di aspirina e altri FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), tra cui danni allo stomaco, rischio di emorragie, complicazioni renali. Qualche anno fa, inoltre, al convegno della Società Europea di Cardiologia a Barcellona è stata presentata una ricerca che ha evidenziato come l’aspirina sarebbe inutile nella prevenzione di infarti e ictus nel soggetto sano. Già dal 2010 uno studio pubblicato sull'American Journal of Medicine ha messo in luce un preoccupante aspetto di questa categoria di farmaci antinfiammatori e analgesici: i loro effetti ototossici e la perdita dell’udito che possono provocare negli uomini che li consumano abitualmente. I ricercatori di alcune università statunitensi, tra cui la prestigiosa Harvard, hanno monitorato più di ventiseimila soggetti in un arco di tempo di diciotto anni, scoprendo che l’assunzione cronica di aspirina aumenta del 33% il rischio di subire danni all'udito nei maschi al di sotto i 60 anni, mentre quella di altri FANS incrementa il rischio del 61% sotto i 50 anni, del 32% sotto i 60 e del 16% negli altri. Per quel che riguarda nello specifico il paracetamolo (principio attivo di medicinali di uso comune, come Tachipirina ed Efferalgan), i consumatori abituali hanno manifestato ben il 99% di probabilità in più di perdita dell’udito sotto i 50 anni, il 38% in più tra i 50 e i 59 e il 16% oltre i 60.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2831770/

http://www.amjmed.com/article/S0002-9343(09)00795-5/abstract

08-03-2016

Una manciata di noci al giorno per perdere peso e migliorare i livelli di colesterolo nel sangue. La conferma arriva da un nuovo studio condotto dai ricercatori della San Diego School of Medicine presso l’University of California. Gli studiosi hanno scoperto che una dieta ricca di grassi insaturi, come quelli presenti nella frutta a guscio, in particolare nelle noci, e nell’olio d’oliva, potrebbe aiutare le persone a perdere peso. Aggiungere le noci alla propria dieta, però, ha anche un altro potere: abbassare i livelli di colesterolo nel sangue. Per condurre lo studio, il team californiano ha coinvolto un gruppo di 245 donne obese o in sovrappeso, con un’età compresa tra i 22 e i 72 anni. Il gruppo è stato inserito in un programma di dimagrimento della durata di un anno, diviso in tre diete diverse. Le donne sono state assegnate in modo casuale a uno dei tre regimi alimentari. Il primo prevedeva un’alimentazione a basso contenuto di grassi e ad alto contenuto di carboidrati; il secondo a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi; e il terzo ad alto contenuto di grassi, un buon quantitativo di noci e pochi carboidrati. Alle donne assegnate a quest’ultima dieta è stato chiesto di consumare 43 grammi di noci al giorno. Sei mesi più tardi, i ricercatori hanno pesato le donne e hanno scoperto che tutte avevano perso peso. Quelle che avevano seguito la dieta ricca di noci avevano perso una quantità di peso simile a quelle provenienti dagli altri gruppi con una differenza: livelli di colesterolo nel sangue più bassi.
In questo gruppo, infatti, i ricercatori sono riusciti a registrare una diminuzione significativa del colesterolo LDL (noto anche come il colesterolo “cattivo”) e un aumento del colesterolo HDL (il colesterolo “buono”). Cosa che non si è invece verificata all’interno degli altri gruppi. I ricercatori si sono detti sorpresi dai risultati ottenuti, considerato il quantitativo di grassi e calorie contenuto nelle noci. Le loro conclusioni attribuiscono il merito dei risultati alla quantità di grassi buoni assunti durante la dieta. Chi ha beneficiato maggiormente dell’assunzione di noci è stata comunque una porzione di donne insulino-resistente, condizione che può anticipare l’insorgere del diabete. Secondo gli esperti, comunque, consumare alimenti ricchi di acidi grassi monoinsaturi migliora i livelli di colesterolo nel sangue e diminuisce il rischio di malattie cardiache. Tuttavia, i ricercatori hanno ammesso l’esistenza di alcuni limiti nello studio, come ad esempio il fatto di aver incluso nel programma di dieta solo le donne. Inoltre, la ricerca non ha monitorato l’effettivo attaccamento alla dieta delle partecipanti. Oltre a possedere sostanze utili come grassi, proteine e fibre, le noci sono un’ottima riserva di vitamine e minerali. Non solo. Le noci contengono anche elevate quantità di acido alfa linoleico (ALA). Uno studio spagnolo condotto dal dottor Emilio Ros nel 2006 ha suggerito che l’ALA può aiutare le aritmie cardiache e che le noci sono efficaci per ridurre l’infiammazione e l’ossidazione nelle arterie dopo aver mangiato un pasto grasso. Gli autori di questo studio consigliano circa otto noci al giorno per ottenere benefici simili.

 

http://www.huffingtonpost.co.uk/2016/02/10/walnut-health-benefits-improve-cholesterol_n_9200118.html

http://www.dailymail.co.uk/health/article-3439155/Want-lose-weight-lower-cholesterol-Eat-WALNUTS-Handful-day-effective-low-fat-diet.html

08-03-2016

Una ricerca della National University di Singapore, pubblicata su “Proceedings of the National Academy of Sciences”, suggerisce che l’impazienza, la collera e la smania sono stati d’animo che potrebbero portare ad un invecchiamento precoce rispetto a chi invece è più calmo e quieto. “L’impazienza è negativamente associata ad un ampio spettro di attività che danneggiano la qualità della vita, dall'abuso di sostanze ad un eccesso di attività fisica, che possono consumare l’organismo“, suggeriscono i ricercatori. Gli scienziati si sono affidati ad una prova nota come “Marshmallow Test”, usata con i bambini a cui viene chiesto se vogliono un dolcetto subito o due più tardi: chi sceglie la seconda opzione in genere ha maggiori possibilità di fare bene nella vita. I ricercatori hanno chiesto a 1.100 studenti di partecipare ad un gioco in cui potevano scegliere un premio in denaro immediato o attendere ed avere più soldi in futuro. Allo stesso tempo ai partecipanti sono state fatte analisi del sangue ed è stata misurata la lunghezza dei loro telomeri, spia dell’invecchiamento. Gli studenti che avevano scelto la ricompensa immediata avevano anche telomeri più corti, il che suggerisce che l’impazienza è in qualche modo scritta nel DNA ed è legata ad una diminuzione della durata della vita. “Non siamo in grado di dare ancora una risposta certa ai meccanismi di base che legano i telomeri all'impazienza, se infatti quest’ultima è la causa dell’accorciamento dei telomeri o, in alternativa, i telomeri più corti portano ad essere maggiormente impazienti“, spiegano i ricercatori.

 

http://www.pnas.org/content/early/2016/02/17/1514351113.abstract

http://medicalxpress.com/news/2016-02-link-impatience-faster-aging.html

08-03-2016

Ore ed ore davanti al PC, stress quotidiano, poco sonno e i risultati sono questi: occhi pesanti e testa in procinto di scoppiare. Un tremendo mal di testa attanaglia le tempie e a nulla valgono i medicinali a base di ibuprofene. Spesso, i rimedi della nonna sono quelli più efficaci. In questo caso, la patata, con la sua freschezza, è un valido aiuto per combattere e debellare il mal di testa.

ECCO COSA FARE

Prendete due patate belle grosse e pulitele (senza lavarle) con uno strofinaccio fresco di bucato; sbucciatele e tagliatele a fette alte circa mezzo centimetro. Fatto questo, stendetevi sul letto, fate in modo che nella stanza filtri pochissima luce (meglio ancora se la vostra camera sarà illuminata da qualche candela naturale profumata e qualche bastoncino di incenso alla rosa) e ponete le fette di patata sulla fronte, sulle tempie e sugli occhi, fermandole con una fascia elastica piuttosto spessa. In alternativa stringetele con una bandana, un foulard oppure una cuffietta da doccia, purché aderisca bene alla testa. Trascorrete almeno 30 minuti così, distesi e al buio. La patata assorbirà lentamente il calore che avrete accumulato e sentirete gradualmente sparire il dolore. Anche gli occhi saranno più leggeri e potrete dire addio a medicinali e tempie che pulsano.

07-03-2016

I fibromi penduli sono delle escrescenze peduncolate e benigne della pelle, molto comuni. Possono comparire in diverse zone del corpo: ascelle, collo, inguine e persino sul viso. In genere hanno lo stesso colore della pelle, o leggermente più scuro, si presentano singolarmente o come escrescenze multiple, nella stessa area. Il fibroma pendulo è benigno e non è contagioso. È un’escrescenza che non desta preoccupazioni da un punto di vista clinico. Non si conosce ancora la causa particolare che porta alla formazione dei fibromi penduli. Si pensa che siano ricollegati a una componente genetica, visto che nella stessa famiglia più soggetti hanno la tendenza a veder sviluppare queste escrescenze benigne. Al tempo stesso, c’è chi sostiene che tra le cause della loro comparsa possa anche esserci il virus del papilloma umano (HPV), composto da oltre cento varietà diverse di virus. La maggior parte degli HPV causa lesioni benigne, come le verruche, che colpiscono viso, piedi o mani, o i papillomi che interessano le mucose genitali e orali. In base alla loro localizzazione, alla grandezza, al numero, il dermatologo decide il metodo migliore per eliminare i fibromi penduli. Tra i trattamenti più diffusi ci sono: l’asportazione tramite laser, la crioterapia, l’elettrocoagulazione. Uno dei metodi più semplici può essere anche la rimozione con forbici o bisturi effettuata dal medico. È molto comune che il fibroma pendulo si stacchi, del tutto o in parte, a seguito di un trauma o uno sfregamento. Questo crea una ferita che è meglio disinfettare, per evitare l’insorgenza di un’infezione batterica. Oltre ai metodi più comuni proposti dalla medicina tradizionale, esistono anche alcuni rimedi naturali che possono aiutare a eliminare questo problema prettamente estetico.

FILO DI SETA O DI COTONE

Le nostre nonne, ad esempio, usavano legare i fibromi penduli con un filo di seta. Questo consente di strozzare il capillare che nutre l’escrescenza. Privato dell’irrorazione e dell’ossigenazione garantite dal circolo del sangue, il fibroma pendulo si secca e dopo un pò di tempo cade. Se l’escrescenza è di grosse dimensioni, però, strozzarla con il filo può essere complicato, lungo e doloroso.

ACETO DI MELE

Un altro rimedio naturale che può venire in nostro aiuto allora è quello di adoperare l’aceto di mele. L’aceto di mele è conosciuto per le sue importanti proprietà antibatteriche e antinfiammatorie. Non solo. Ha infiniti campi di applicazione ed è utile a trattare anche i problemi cutanei. Per i fibromi penduli, c’è chi consiglia di immergere un batuffolo di cotone nell’aceto di mele e applicarlo sulla zona interessata circa due volte al giorno. Il fibroma inizierà a diventare scuro, per poi seccarsi e staccarsi completamente dalla pelle. Ci vogliono tra le 2 e le 4 settimane per completare il trattamento. Naturalmente, non versate aceto di mele sui fibromi che si trovano vicino agli occhi o in bocca. In linea generale, comunque, per le escrescenze che si formano sul viso, contattate sempre uno specialista.

OLIO ESSENZIALE DI TEA TREE

Un altro rimedio naturale ricco di proprietà benefiche è l’olio essenziale di tea tree. Quest’olio miracoloso è indicato nel trattamento di tantissimi disturbi, tra cui anche diverse problematiche della pelle. Nel caso dei fibromi penduli, procedete come avete fatto con l’aceto di mele, imbevendo un batuffolo di cotone di olio e applicando l’impacco tra le 2 e le 3 volte al giorno, fino a quando il fibroma non si seccherà e non verrà via.

07-03-2016

Il cioccolato fa bene, ormai è stato più volte accertato. Adesso una nuova ricerca aggiunge un tassello in più ai già tanti benefici assodati del consumo del cacao: chi lo ama e lo mangia almeno una volta a settimana ha un cervello più attivo e funzionante. Lo studio arriva dall’altra parte del mondo e più precisamente dall’University of South Australia e ha dimostrato come un consumo moderato ma costante di cioccolato sia utile a potenziare le funzioni cognitive, in particolare memoria e apprendimento. La ricerca si è svolta su un campione di 968 consumatori di cioccolato di età compresa tra i 23 e i 98 anni monitorati per 30 anni. Le funzioni cerebrali delle persone analizzate sono state messe alla prova grazie ad una serie di test che miravano a valutarne la memoria visiva, di lavoro e le capacità verbali. Si è potuto vedere così un effetto decisamente positivo del consumo di cioccolato in particolare in quelle persone che lo consumavano settimanalmente almeno una volta. Le funzioni che miglioravano era soprattutto quella della memoria spazio-visuale e organizzativa e del ragionamento astratto.
I benefici del cioccolato sono da imputare soprattutto alla presenza di flavonoidi, antiossidanti particolarmente utili per la salute cardiovascolare e quindi anche per ossigenare il cervello. L’assunzione regolare di queste sostanze presenti nella pianta di cacao, come hanno sottolineato i ricercatori: “può rallentare il declino cognitivo legato all'età”. Nonostante il cioccolato migliore e più salutare rimanga sempre quello fondente, in questo caso la ricerca non fa troppa distinzione con la tipologia di cioccolato al latte. Anche chi consumava questa variante, infatti, ha riscontrato benefici nelle sue funzioni cerebrali. La cosa importante, però, è non esagerare con la quantità, anche se prenderci la mano è davvero molto semplice per i più golosi!

 

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0195666316300459

https://www.washingtonpost.com/news/wonk/wp/2016/03/04/the-magical-thing-eating-chocolate-does-to-your-brain/

http://www.telegraph.co.uk/news/health/news/12187042/Chocolate-makes-you-smarter-study-suggests.html

 

07-03-2016

Già andare dal dentista per molti di noi è un incubo, ma sapere, grazie a una recente scoperta scientifica, che può trasmettere facilmente il morbo di Alzheimer rende il tutto ancora più difficile. Ebbene si, la malattia cerebrale che annichilisce la capacità di ragionare e ricordare, quel male che in poco tempo distrugge memoria e deteriora l’essere umano fino alla morte può essere provocata anche da una banale cura della carie. Ed allora addio controllo dei denti, meglio tenersi il dolore? Forse si anche perchè non si tratta di una delle solite “bufale” che circolano sul web. La scoperta è infatti appurata da studi specifici e mirati dal professor John Collinge, neurologo presso l’University College di Londra. Lo scienziato ha evidenziato come il beta-amiloide, una proteina che costituisce uno dei componenti critici della malattia cerebrale letale possa essere trasmessa con una certa facilità attraverso strumenti odontoiatrici non sterilizzati in modo opportuno. Si, ma che fa questa proteina di così pericoloso? Il beta-amiloide, una parola assurda per chi non è del campo medico, tende ad accumularsi in piccoli ciuffi, come di solito fa la polvere, bloccando lo spazio tra le cellule cerebrali e dando origine così al morbo di Alzheimer.
Non sarebbe però il primo studio a collegare questa proteina al materiale metallico, infatti uno studio condotto dall'Università di Southampton, pubblicato sulla rivista Neurology nel 2011, ha suggerito che la contaminazione di strumenti chirurgici potrebbero accelerare il progresso del morbo di Alzheimer nelle persone che hanno già avuto la malattia nelle sue fasi iniziali. Le cellule cerebrali di chi è affetto da questa patologia sono molto più sensibili e un’infezione non farebbe altro che attivare una produzione consistente di globuli bianchi. Spesso la sonnolenza e la mancanza di concentrazione in tali soggetti è il primo campanello d’allarme. La gengivite e tutte le altre affezioni del cavo orale non si devono sottovalutare proprio perché possono innescare le proteine alla base del morbo di Alzheimer. La salute dell’uomo parte dai denti e non basta solo una buona igiene orale, ma è necessaria anche la perfetta sterilizzazione degli strumenti chirurgici adoperati dai dentisti. I batteri di malattie parodontali possono sopravvivere nel nostro organismo per decenni e sviluppare negli anni il morbo letale delle demenza cerebrale. Le indagini scientifiche sono ancora in corso.

 

http://www.telegraph.co.uk/news/science/science-news/11853619/Alzheimers-disease-may-be-caught-through-medical-accidents.html

Domenica, 06 Marzo 2016 08:19

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