Angelo Ortisi
RIMEDIO NATURALE PER LA PULIZIA DELLE PIASTRELLE.
16-04-2019
Un rimedio naturale eccellente per la pulizia delle piastrelle del bagno è rappresentato dal bicarbonato. Spesso capita che le piastrelle abbiano un velo di calcare su di esse, al posto di usare i classici prodotti per la pulizia del bagno, utilizzeremo il bicarbonato. Come procedere: prendete un catino d’acqua tiepida, con una spugnetta lavate le piastrelle da pulire. Una volta che le piastrelle sono bagnate, prendete il bicarbonato, e con un’altra spugnetta laviamo le piastrelle e lasciamo agire il bicarbonato per circa 5 minuti. Una volta trascorsi i 5 minuti, sciacquiamo con cura tutte le piastrelle e asciughiamole con un panno. In alternativa potete creare in una scodella il composto bicarbonato-acqua, così da aver già pronto il tutto per lavare al meglio le vostre piastrelle.
STORIA DI CENTO RAFFREDDORI.
16-04-2019
Cento persone sono raffreddate. Io le ho conosciute tutte, come anche voi le conoscete. Il 1° raffreddato pensa di guarirsi prendendo un’aspirina, poiché crede nella medicina allopatica. Il 2°, meno informato e più “all’antica”, ingoia del tè addizionato con del cognac. Il 3°, che crede nelle erbe, prende una tisana o ne respira i vapori, sino a soffocare. Il 4°, che è un culturista fanatico, si mette sotto una doccia fredda. Il 5°, per spirito di contraddizione, fa un bagno caldo. Il 6° che è il più furbo mette il posteriore a bagno nell’acqua fredda e chiama ciò, gonfiando le gote, semicupio. Il 7° ricorre al fluido magnetico di un guaritore anch’esso raffreddato. L’8° crede nelle dosi infinitesimali, lascia cadere in gola qualche piccola pillola omeopatica. Il 9° ha letto nei giornali qualche cosa a proposito di un vaccino miracoloso che guarisce il raffreddore, e va dal medico per farsi pungere. Il 10° che ha delle tendenze esotiche va a farsi solleticare il fondo del naso con l’agopuntura cinese. L’11° ha le tasche colme di tubetti e di pomate con i quali ogni tanto si spennella il naso ostruito. Il 12° preferisce farsi manipolare la trentaseiesima vertebra…il 100° lascia fare alla natura e non applica alcun rimedio per guarire il suo raffreddore. Egli lascia riposare semplicemente il corpo e lo stomaco.
Risultato sbalorditivo ed incredibile, a prima vista: tutti si rimettono dopo qualche tempo. Tutti si liberano dal raffreddore e si ristabiliscono. Anche l’ultimo, che non adopera alcun rimedio e che, logicamente, non avrebbe potuto “guarire”, anche quest’ultimo è “guarito”. Allora il 1° vi dirà: è stata l’aspirina a guarirmi. Il 2°: è stato il tè con il cognac. Il 3°: è stata la tisana. Il 4°: è stata la doccia fredda che mi ha guarito, fate come me. Il 5°: macchè è il bagno caldo ecc. Tutti possono provarlo, poiché sono guariti: tutti anche chi ha usato il peggior rimedio. Ecco come si può provare che tutti i rimedi guariscono il raffreddore: l’acqua, sia essa fredda o calda, l’aspirina, le tisane, le pomate… Ma, allora, come mai anche colui che non è ricorso ad alcun rimedio s’è ripreso ugualmente? Cos’è dunque ciò che guarisce il raffreddore? In verità, tutti questi rimedi sono “ostacoli” e tutti i raffreddati si rimettono proprio ad onta di questi ostacoli. Chi non pone ostacoli – il centesimo – è colui che si rimette per primo!
RIMEDI NATURALI PER COMBATTERE LE INFEZIONI VIRALI.
16-04-2019
Le infezioni di cui ci ammaliamo più spesso sono di natura virale. Ne sono esempi tipici il raffreddore, l'influenza, l'herpes, le verruche, la gastroenterite, l'epatite e la meningite. La maggior parte delle infezioni virali sono lievi e si risolvono in pochi giorni, soprattutto se il sistema immunitario è in buone condizioni, ma qualsiasi infezione che duri più a lungo o vada progressivamente peggiorando richiede l'intervento immediato di un medico. I farmaci antivirali efficaci sono pochi, ma nel mondo della fitomedicina esistono molte sostanze capaci di combattere i virus senza effetti collaterali. Persino il raffreddore è curabile! Il prodotto antivirale clinicamente più affidabile e che io prescrivo più spesso è la radice di liquirizia. Questa meravigliosa pianta è in grado di distruggere i seguenti virus:
- Virus dell'epatite;
- Herpes simplex tipo 1 e 2;
- Virus del vaiolo;
- Virus della stomatite vescicolare.
RADICE DI LIQUIRIZIA
La radice di liquirizia agisce sia rinforzando il sistema immunitario sia inibendo direttamente vari virus. La glicirrizina e l'acido glicirretinico, due dei principi attivi in essa contenuti, hanno dimostrato la capacità di indurre la sintesi di interferone, che ha una notevole attività antivirale, perchè si lega alla superficie delle cellule e provoca la sintesi di proteine che impediscono ai virus di aderire alle cellule, bloccando così la produzione di DNA virale nelle cellule infette. L'interferone stimola inoltre l'attività dei macrofagi e delle cellule natural killer. E' dimostrato che la glicirrizina inibisce in maniera diretta la crescita di vari DNA e RNA virus in coltura e rende irreversibilmente inattivo il virus dell'Herpex simplex. La glicirrizina limita inoltre l'effetto di immunosoppressione e i danni al timo indotti dal cortisone. Va però usata con cautela, perchè se presa in alte dosi per lunghi periodi in alcuni soggetti determina un aumento della pressione sanguigna. L'effetto ipertensivo tuttavia si può evitare assumendo glicina insieme alla radice di liquirizia.
MELISSA
L'uso della melissa come rimedio antipiretico che spesso accompagna le infezioni virali è documentato da molto tempo. Rigorosi studi clinici in doppio cieco hanno dimostrato che la somministrazione orale di estratto di melissa è efficace in varie infezioni virali. Tali effetti antivirali sono dovuti a polifenoli e tannini. I virus in grado di inibire sono:
- Herpes simplex;
- Parotite epidemica;
- Virus del vaiolo.
ALOE VERA
L'acemannano, il polisaccaride che si estrae dalla pianta dell'Aloe vera, oltre a stimolare le difese immunitarie è dotato di proprietà antivirali e agisce contro molti virus, tra cui il virus dell'influenza e quello del morbillo. L'acemannano in forma iniettabile viene utilizzato in veterinaria per trattare i fibrosarcomi e la leucemia dei felini. In quest'ultima patologia dà risultati notevolissimi. La leucemia dei felini è provocata da un retrovirus (il virus della leucemia dei felini o FeLV) talmente letale che di solito, quando compaiono i sintomi clinici, ai gatti viene praticata l'eutanasia. Normalmente oltre il 70% degli animali colpiti muore entro otto settimane dalla comparsa dei sintomi. In uno studio su 44 gatti affetti da leucemia felina clinicamente confermata l'acemannano è stato iniettato nella dose di 2 mg/kg alla settimana per sei settimane e gli animali sono stati riesaminati sei settimane dopo la sospensione del trattamento. Alla fine delle dodici settimane di studio, il 71% degli animali erano vivi e in buona salute.
ASTRAGALO
L'astragalo è un'erba cinese tradizionalmente usata per curare le infezioni, la cui efficacia è confermata da vari studi. In uno di essi sono stati trattati con astragalo dieci pazienti affetti da una malattia molto grave, la miocardite virale da Coxsackie B, che presentavano una riduzione dell'attività delle cellule natural killer. Dopo tre o quattro mesi di iniezioni intramuscolari, l'attività delle cellule natural killer era aumentata del 12-45%, mentre nei pazienti non trattati rimaneva molto bassa.
AGLIO
L'effetto antivirale in vitro di varie forme di aglio e sostanze in esso contenute è stato dimostrato contro molti virus. Il grado di efficacia è massimo per l'ajoene e progressivamente decrescente per allicina e allil-metil-tiosulfinato. L'ajoene si trova negli estratti oleosi, ma non in quelli di aglio fresco. L'estratto di aglio fresco, tuttavia, è risultato in grado di neutralizzare tutti i virus sui quali è stato sperimentato.
ECHINACEA ANGUSTIFOLIA
Puer essendo utile soprattutto per stimolare il sistema immunitario, l'echinacea agisce anche direttamente contro alcuni virus, tra cui quello dell'influenza, dell'herpes e della stomatite vescicolare.
ZINCO
In vitro lo zinco inibisce lo sviluppo di vari virus, tra cui rhinovirus (raffreddore), picornavirus e togavirus (encefalite, rosolia), herpes simplex (herpes labiale e genitale) e virus del vaiolo vaccino. Uno studio clinico in doppio cieco ha dimostrato che con pasticche di gluconato di zinco è possibile ridurre di sette giorni la durata media del raffreddore. Ai pazienti è stato consigliato di far sciogliere in bocca una pastiglia ogni due ore di veglia, dopo una doppia dose iniziale. Sette giorni dopo, l'86% dei 37 soggetti trattati con lo zinco erano asintomatici, contro il 46% dei 28 soggetti trattati con placebo. Gli autori hanno ipotizzato che la concentrazione locale di zinco raggiunta grazie alle pastiglie fosse abbastanza alta da inibire la replicazione del virus del raffreddore.
7 ALIMENTI CHE CONTENGONO SOSTANZE VELENOSE.
15-04-2019
Alcuni alimenti di consumo piuttosto comune, variabile a seconda delle zone del mondo, contengono, spesso a nostra insaputa, delle sostanze velenose, talvolta così tossiche da poter causare la morte, se assunte in eccesso. Esistono dunque cibi di cui sarebbe bene evitare il consumo, mentre altri andrebbero limitati, o assunti ricorrendo ad alcune precauzioni. Ve ne indico sette.
1. FAGIOLI DI SPAGNA
I fagioli di Spagna, noti Oltreoceano come "lima beans", possono contenere un alto livello di cianuro, presente nella pianta come sostanza difensiva. Negli Stati Uniti vi sono delle restrizioni sui livelli di cianuro contenuto nei fagioli di Spagna coltivati per la vendita. Viene consigliato di cuocere completamente questi legumi, senza coperchio, in modo tale da permettere alla sostanza velenosa di evaporare. Per una maggiore sicurezza, l'acqua di cottura deve essere scolata.
2. MANIOCA
La manioca è anche nota come cassava o yucca. Dalla manioca si ottiene un amido, commercializzato come farina di tapioca. La manioca, contiene cianuro. Deve essere consumata con alcune precauzioni, che ne prevedono l'ammollo e l'essiccazione. In Africa, dove la manioca è diventata un alimento di sussistenza fondamentale, molte persone soffrono di una forma cronica di avvelenamento da cianuro, conosciuta come "konzo".
3. RABARBARO
Le foglie di rabarbaro contengono acido ossalico, un composto chimico che può essere presente nei prodotti anti-ruggine. Presentano inoltre sostanze che possono provocare una sensazione di bruciore a livello della bocca e della gola, nausea e vomito, dolori gastrici e convulsioni. Il rabarbaro è uno dei vegetali di cui si sconsiglia dunque di consumare le foglie.
4. POMODORI
Le foglie e gli steli dei pomodori, oltre ai frutti stessi, contengono solanina, un alcaloide considerato tossico. Prima del 1820, gli americani credevano che i pomodori fossero velenosi, ma le possibilità di soffrire di sintomi di avvelenamento da solanina per via del consumo di pomodori risultano piuttosto scarse. Nei soggetti più sensibili possono provocare allergie e intolleranze.
5. FUNGHI
I funghi rappresentano una delle più comuni cause di avvelenamento e di intossicazione da cibo. La famiglia dei funghi comprende esemplari velenosi che vanno ben oltre la ben nota Amanita phalloides. Per questo motivo è bene non improvvisarsi raccoglitori di funghi e rivolgersi ad esperti in caso di dubbio ed alle Asl per un riconoscimento sicuro di quanto raccolto.
6. CICERCHIE
Le cicerchie, legumi coltivati in Asia, Africa ed Europa, contengono, oltre a proteine, una neurotossina sotto forma di amminoacido, conosciuta come ODAP. La sostanza è considerata la causa della malattia detta neurolatirismo, una patologia neurodegenerativa che provoca la paralisi degli arti inferiori del corpo. Al momento si trovano in corso dei programmi per la coltivazione che permettano la produzione di cicerchie con minore contenuto di ODAP.
7. PATATE
Le patate, come i pomodori, contengono solanina. La presenza di solanina nelle patate aumenta quando esse germogliano e, ancora di più, quando la loro buccia diventa verde. Ecco perché si dovrebbe evitare di consumare patate verdi e limitare il consumo di patate germogliate. Per via della presenza di solanina, le patate non possono essere consumate crude. La solanina assunta in eccesso può provocare nausea, vomito e irritazioni della mucosa gastrica.
COSA OCCORRE SAPERE SUL DIGIUNO.
15-04-2019
Il digiuno è un metodo potente e molto rapido per eliminare le tossine sul quale, tuttavia, io non ho un parere definitivo; oggi non sono più favorevole ai digiuni di oltre due settimane, per esempio. Per secoli il digiuno è stato usato in tutto il mondo come strumento terapeutico, ma le ricerche più recenti insegnano che le tossine liberate durante il digiuno esauriscono rapidamente i nutrienti di cui il fegato ha bisogno per la detossificazione di fase II e questo comporta un aumento della tossicità durante la fase di liberazione delle tossine. A questo inconveniente si può ovviare usando prodotti che sostengano il fegato durante digiuni di minore durata.
Sebbene nella nostra cultura il digiuno sia assai temuto e molti pensino che in pochi giorni possa portare alla morte, l'adulto medio può resistere senza mangiare per periodi piuttosto lunghi, purchè beva acqua a sufficienza. Il corpo dispone di varie fonti di energia di riserva, prevalentemente sotto forma di proteine e grassi. In circostanze estreme, l'adulto medio può sopravvivere senza mangiare per oltre due mesi. Ciò ovviamente è sconsigliato, ma io stesso ho conosciuto persone che hanno digiunato fino a 30 giorni bevendo solo acqua. Adesso sono convinto che un digiuno così lungo non faccia bene.
NUOVA CONFERMA SCIENTIFICA: LE NOCI RIDUCONO IL CANCRO AL SENO.
15-04-2019
Una piccola quantità di noci ogni giorno ci protegge dal cancro al seno. Secondo una nuova ricerca, infatti, il consumo di noci rallenta la crescita del cancro al seno e riduce il rischio di tumore mammario. Si tratta di uno studio che conferma altre evidenze scientifiche che già hanno attribuito a questo particolare frutto un ruolo essenziale nella protezione contro i carcinomi. A dare ulteriore prova della potenza benefica delle noci sono questa volta i ricercatori americani dell’Università di Marshall, secondo cui bastano 57 grammi di noci al giorno per circa due settimane per cambiare significativamente l’espressione genica nei tumori già confermati. Si tratta di un trial clinico pilota, l’ultimo di una serie di studi correlati presso la Marshall University e relativi alla presenza delle noci nella dieta per la crescita del tumore, la sopravvivenza e le metastasi nel cancro al seno. Il lavoro è descritto in un documento pubblicato sulla rivista Nutrition Research.
Per il primo studio clinico pilota, sono state reclutate donne con grumi mammari abbastanza grandi da eseguire le biopsie e divise in gruppi che consumavano noci e in gruppi di controllo. Dopo la biopsia, le donne del gruppo di noci hanno iniziato a consumare 57 grammi al giorno fino al giorno del loro intervento chirurgico. Durante l’intervento eseguito circa due settimane dopo la biopsia, sono stati prelevati ulteriori campioni di tumori e il profilo del sequenziamento dell’RNA ha mostrato che circa 456 geni erano significativamente modificati nel tumore dopo il consumo di noci.
“Questi risultati supportano l’ipotesi che, negli esseri umani, il consumo di noci potrebbe sopprimere la crescita e la sopravvivenza dei tumori al seno. Ulteriori ricerche sarebbero necessarie attraverso uno studio su larga scala per confermare clinicamente che il suo consumo riduca effettivamente il rischio di cancro al seno o di recidiva”, rivela Elaine Hardman del Dipartimento di Scienze Biomediche della Facoltà di Medicina dell’Università di Marshall. Sempre la Marshall University aveva condotto un altro studio, sui topi però, in cui aveva dimostrato come il consumo di noci riducesse la dimensione dei tumori alla mammella. Anche altri studi che riguardano il consumo di noci individuano meravigliosi benefici per la salute: ad esempio, una revisione sistematica di 26 studi clinici dell’Università di Harvard suggerisce che le diete che comprendono le noci potrebbero ridurre il colesterolo totale, l’apolipoproteina B e i trigliceridi. Così come uno studio pubblicato sul Journal of American Heart Association dimostra che le noci aiutano a controllare il peso per il loro alto contenuto di grassi insaturi. Seguire una dieta che contiene grassi insaturi, come le noci, ha effetti di perdita di peso simili a quelli di una dieta povera di grassi e ricca di carboidrati. D’altra parte, secondo un articolo dell’Università della California a Los Angeles, coloro che consumano frutta secca potrebbero dimezzare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a coloro che non ne mangiano. Dopo aver valutato più di 34 mila adulti, il consumo di 3 cucchiai di frutta secca al giorno è stato associato a una diminuzione della prevalenza del diabete di tipo 2 del 47%.
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0271531718311904?via=ihub
https://www.sciencedaily.com/releases/2019/03/190328112514.htm
https://www.health.harvard.edu/blog/health-benefits-of-walnuts-2018081314526
CIMICIFUGA RACEMOSA: UNA VALIDA ALTERNATIVA AL TRATTAMENTO ORMONALE SOSTITUTIVO.
14-04-2019
La cimicifuga occupa un posto intermedio nel trattamento della menopausa e rappresenta un’alternativa al trattamento ormonale sostitutivo in caso di controindicazione o rifiuto di questo. In virtù della sua azione estrogenica e anti-LH si dimostra efficace nella terapeutica di quelle fastidiose manifestazioni che la caratterizzano quali vampate di calore, turbe d’umore e secchezza della mucosa vaginale. Risulta, tuttavia, senza azione nella prevenzione dell’osteoporosi e della patologia cardiovascolare. Per quanto riguarda le vampate di calore si sa che la loro comparsa nella donna in menopausa coincide esattamente con un episodio di secrezione pulsatile di LH. Questa stretta relazione con l’ormone ipofisario e l’azione elettiva su di esso spiegano l’efficacia della pianta. Le turbe dell’umore, la secchezza vaginale e le sue manifestazioni concomitanti (prurito, infiammazione pelvica) legate alla caduta del tasso ematico di estrogeni, sono migliorate dall’azione estrogenica della pianta.
Studi clinici sperimentali hanno dimostrato, infatti, tramite la comparazione in doppio cieco contro placebo, che ha permesso di osservare una diminuzione assai netta delle turbe neurovegetative, psichiche e somatiche nelle donne trattate con la droga vegetale, come l’effetto terapeutico risulti significativamente superiore al placebo. Senza rimettere in causa il senso e il valore di una terapeutica ormonale, la fitoterapia rappresenta un’alternativa attiva, valida e/o complementare a questo tipo di trattamento. Per comprendere il meccanismo d’azione della pianta occorre considerare il fitocomplesso.
La formononetina, un isoflavone, si lega, secondo prove di laboratorio ai recettori estrogenici senza tuttavia esercitare influenza sulla secrezione dell’LH. Tre frazioni differenti, tutte di natura lipofila, si mostrano attive sulla secrezione di LH e/o sui legami ai recettori estrogenici. Da ciò deriva che numerosi componenti della pianta, agendo in sinergia, contribuiscono a sopprimere la secrezione dell’LH: quelli che, per la loro struttura molecolare simile a quella degli estrogeni, sono capaci di legarsi ai loro recettori e quelli che non legandovisi potrebbero acquistare proprietà estrogeniche dopo metabolizzazione o esercitare un effetto sulla secrezione di LH per l’intermediazione del SNC come certi agonisti alfa-2-adrenergici (clonidina).
I livelli dell’FSH non risultano influenzati e ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che la secrezione di FSH è meno sensibile al feedback negativo estrogenico rispetto all’LH. E’ per questo che in premenopausa l’aumento del tasso di FSH precede quello di LH. Si sa che la liberazione di FSH è controllata no solamente dagli steroidi ma anche dall’inibina mentre solo gli steroidi di origine ovarica sono responsabili del feedback negativo sulla secrezione di LH. Il fatto che la pianta non eserciti alcun effetto sui livelli di FSH può allora essere spiegato dalle concentrazioni troppo deboli in principi attivi. In fitoterapia, pertanto, può essere prescritta nel trattamento delle turbe legate ad un’insufficienza ovarica e, in particolare, nella carenza estrogenica: manifestazioni funzionali della menopausa; sindromi deficitarie dopo ovariectomia o isterectomia, anche a supporto della terapia farmacologica; turbe mestruali della pubertà.
LA FALSA SCIENZA.
14-04-2019
Già nel 1978, l'Office of Technology Assessment, l'organismo del Congresso americano per la valutazione e per l'approvazione delle tecnologie, pubblicò un importante studio sulla medicina scientifica le cui conclusioni furono che dall'80 al 90% delle terapie e dei protocolli utilizzati non erano provati da studi clinici controllati, cioè venivano ampiamente utilizzati pur non essendo affatto dimostrati scientificamente!
MANGIARE MALE UCCIDE PIU’ DEL FUMO.
14-04-2019
Nel mondo ogni anno un decesso su cinque si riconduce a uno stile alimentare scorretto, in cui abbondano sale e bevande zuccherate e scarseggiano vegetali e cereali integrali. Indipendentemente da un eventuale eccesso di peso, insomma, mangiare male sviluppa patologie croniche, soprattutto malattie cardiovascolari e diabete, e può portare anche alla morte. È la sentenza che arriva da ben 130 scienziati di quasi 40 Paesi del mondo che, coordinati da Ashkan Afshin dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) dell’Università di Washington, sono arrivati alla conclusione che un quinto dei decessi potrebbe essere evitato adottando semplicemente una dieta salutare.
Definita “l’analisi più completa degli effetti della dieta sulla salute”, la ricerca pubblicata su The Lancet non riguarda l’obesità, dicono gli studiosi, ma diete di “scarsa qualità” che danneggiano il cuore e causano il cancro, facendo della nostra dieta quotidiana un killer più pericoloso del fumo. Nello specifico, le diete considerate pericolose analizzate sono quelle che contengono:
• troppo sale (tre milioni di morti);
• pochi cereali integrali (tre milioni di morti);
• poca frutta (due milioni di morti);
• bassi livelli di noci, semi, verdure, omega-3 e fibre.
“Riteniamo che la dieta sia uno dei principali motori della salute in tutto il mondo”, afferma Christopher Murray, direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington.
Già nel 2017, Ashkan Afshin condusse un report mondiale sull’obesità. Ora, dal nuovo lavoro - concentrato sui legami tra alimentazione e patologie croniche - emerge che un regime alimentare sbagliato è stato responsabile proprio nel 2017 di 10,9 milioni di morti (contro gli 8 milioni di decessi associati al tabacco e i 10,4 milioni da ipertensione), pari al 22% delle morti registrate tra gli adulti. Prima causa sono le malattie cardiovascolari, seguite da tumori e diabete. Non solo: una dieta scorretta è risultata complessivamente responsabile di 255 milioni di anni persi per morte prematura determinata da una patologia o perché vissuti con disabilità (Dalys). In particolare, secondo lo studio, nel 2017 le malattie cardiovascolari sono state la prima causa di morte dovuta a una dieta sbagliata (circa 9,5 milioni di decessi) e di Dalys (207,2 milioni), seguite da cancro (oltre 900 mila morti e 20,2 mln di Dalys), diabete (più di 330 mila decessi e 23,7 mln di Dalys) e patologie renali (oltre 130 mila morti e 3,4 mln di Dalys). Tra i 20 Paesi più popolosi del pianeta, sempre nel 2017 l’Egitto ha riportato il più alto tasso di decessi legati alla dieta e il numero maggiore di Dalys, mentre all’opposto si piazza il Giappone.
L’effetto dei singoli fattori dietetici è certamente variabile da Paese a Paese, ma per tutti ci sono abitudini sbagliate che riguardano più della metà dei decessi: basso apporto di cereali integrali, poca frutta, alto consumo di sale. Un’altra metà delle morti e il 34% dei Dalys vengono invece ricondotti a un elevato consumo di carne rossa, carni lavorate, bibite zuccherate e acidi grassi trans. “L’adozione di diete che privilegiano cibi a base di soia, fagioli e altre fonti di proteine vegetali potranno avere importanti benefici per la salute sia umana sia dell'ambiente”, sostiene Walter Willett, docente di Harvard e co-autore del nuovo lavoro. Mentre sale, zuccheri e grassi sono stati al centro del dibattito sulle politiche alimentari negli ultimi anni”. Insomma, l’analisi indica che i fattori dietetici che più mettono a rischio di morte sono sì “un alto apporto di sodio”, ma anche un basso consumo di cereali integrali, frutta, verdura, noci e semi.
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)30041-8/fulltext
LA VITAMINA A ACCELERA LA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE.
21-01-2017
Applicata direttamente alle ferite aperte, la vitamina A ne accelera il processo di cicatrizzazione in quei casi in cui è stato rallentato dall’uso di ormoni steroidi, in particolare cortisone. Le ricerche indicanti l’efficacia della vitamina A nel risarcire le ferite, esposte dal dottor Thomas Hunt e dai suoi collaboratori dell’Università della California (centro medico di San Francisco) a un convegno dell’American Surgical Association, possono contribuire a risolvere un diffuso problema chirurgico, secondo un rapporto pubblicato sulla Medical Tribune. Da quando il cortisone e l’ormone adrenocorticotropo dell’ipofisi (ACTH) hanno trovato sempre più ampia applicazione nel trattamento delle malattie infiammatorie e allergiche acute, si è osservato che questi ormoni predispongono i pazienti all’infezione; ostacolano inoltre la rimarginazione delle ferite, accrescendo così il rischio di infezioni e prolungando il periodo di convalescenza post-operatoria. La scoperta del dottor Hunt che la vitamina A combatte efficacemente e in modo innocuo questo problema, senza costringere a sospendere il trattamento farmacologico o ridurne il dosaggio, dovrebbe migliorare le prospettive di ripresa post-operatoria per quei milioni di soggetti che possono aver fatto uso di ormoni steroidi nei due anni precedenti un intervento operatorio o un incidente. Le ferite trattate dal dottor Hunt e dai suoi collaboratori andavano da ampie ulcerazioni degli arti a gravi lesioni infette del torace. In vari casi, ferite che avevano per settimane resistito ostinatamente al processo di rimarginazione si sono chiuse in qualche giorno dopo l’applicazione di vitamina A. Il dottor Hunt riferisce che anche per via orale questa vitamina stimola il processo di rimarginazione nei pazienti trattati con cortisone, ma con efficacia minore rispetto all’applicazione diretta. L’èquipe di San Francisco ha usato la vitamina A nel trattamento di dieci casi di ferite aperte, in pazienti che venivano curati con steroidi per combattere malattie autoimmunitarie o il rigetto di trapianti, le ferite si sono risarcite in capo a tre settimane, benchè alcune resistessero da tre mesi. Nel corso di esperimenti per scoprire dove esattamente agisca la sostanza, si sono praticate in un gruppo di ratti ferite di 4 cm, dividendo poi gli animali in due gruppi: un odei due è stato sottoposto a iniezioni quotidiane di cortisone e, durante la seconda settimana, metà dei ratti di entrambi i gruppi sono stati trattati localmente con una pomata a base di vitamina A. Come riferisce un articolo sul Medical Tribune, gli animali senza cortisone sono guariti con la stessa rapidità (16 giorni) sia che fossero trattati con vitamina A, sia in assenza di questa. Nel gruppo sottoposto a iniezioni di steroidi, le ferite trattate con vitamina A si sono risarcite entro 25 giorni, mentre quelle non trattate non erano ancora risarcite a distanza di un mese. Il cortisone, secondo la spiegazione del dottor Hunt, sopprime la risposta infiammatoria iniziale della ferita e ne inibisce la crescita del tessuto connettivo. Mentre l’aggiunta di vitamina A favorisce la crescita dell’epitelio, il rivestimento delle superfici interne ed esterne, compreso quello dei vasi sanguigni e di altre piccole cavità. Il dottor Hunt ritiene che l’effetto cicatrizzante derivi unicamente dall’interazione fra cortisone e vitamina A in qualche punto ancora ignoto entro la ferita stessa. E’ questa una nuova funzione della vitamina A, di cui già si conosceva la necessità per molte funzioni dell’organismo. La vitamina A aiuta l’organismo a resistere alle infezioni, mantenendo in buona salute i tessuti membranosi che impediscono agli agenti infettivi di raggiungere le cellule. Quello però che non è altrettanto noto è che la maggior parte delle medicine, come il cortisone, esauriscono rapidamente le scorte di vitamina A dell’organismo, mentre nello stesso tempo ne accrescono il bisogno, come rilevano Clark e i suoi collaboratori in un articolo su Endocrinology. Il paziente sotto cortisone, quindi, si trova di fronte a un doppio rischio, specialmente in caso di lesioni o interventi operatori: non solo il cortisone presente nel suo organismo ostacola il processo di cicatrizzazione, ma a causa del cortisone si trova anche privo di quelle riserve di vitamina A che stimolerebbero difese naturali dell’organismo a combattere le infezioni.