Angelo Ortisi
EMICRANIA: UN DISTURBO SEMPLICE DA RISOLVERE.
20-06-2016
Le cefalee figurano tra le prime dieci ragioni per cui la gente va dal medico. L'emicrania, in particolare, prima o poi nella vita colpisce il 17% delle donne e il 5% degli uomini. Spesso comincia nell'infanzia, ma inizialmente non si manifesta come cefalea, bensì con sintomi non specifici quali coliche, dolori addominali periodici con vomito, vertigini o cinetosi particolarmente grave. L'incidenza massima si ha tra i 20 e i 35 anni di età, dopodichè si assiste a un calo. In più della metà dei casi si constata la familiarità del disturbo. L'approccio medico tipico consiste nell'alleviare i sintomi ricorrendo a farmaci come sumatriptan ed ergotamina. Il sumatriptan è efficace e migliora i sintomi nel 70% dei casi, con effetti collaterali molto lievi, tranne nel 5% di soggetti che accusa dolore toracico. Tuttavia non influisce sulla frequenza degli attacchi ed è molto costoso. E' molto meglio perciò affrontare la causa remota, ovvero le intolleranze alimentari.
Numerose ricerche hanno documentato l'efficacia del controllo delle intolleranze alimentari nel trattamento dell'emicrania, sia nei bambini sia negli adulti. In uno studio controllato in doppio cieco su 88 bambini con emicranie frequenti e gravi, il 93% ha avuto un miglioramento notevole dopo l'eliminazione dalla dieta degli alimenti intolleranti. Anche gli altri sintomi, quali dolore addominale, disturbi comportamentali, crisi, asma ed eczema, sono migliorati nei bambini trattati. In altre parole, il risultato è stato un miglioramento generale delle condizioni di salute. In uno studio su pazienti adulti sofferenti di emicrania, il 66% ha ottenuto la guarigione completa entro due settimane dall'eliminazione degli alimenti responsabili (in media sei prodotti diversi per ciascun soggetto). I sei alimenti intolleranti più comuni sono risultati essere il latte vaccino, il frumento, il cioccolato, le uova, le arance e l'acido benzoico, un diffuso additivo alimentare.
PERCHE' GLI INTEGRATORI NATURALI SONO NECESSARI?
20-06-2016
• I farmaci hanno l'effetto collaterale di provocare carenze alimentari cliniche.
• 95 milioni di persone seguono diete dimagranti inadeguate.
• Le donne che soffrono di sindrome premestruale presentano carenze di ferro (a seguito delle emorragie), carenze di calcio e di magnesio che provocano meteorismo.
• 54 milioni di fumatori perdono 25 mg di vitamina C con ogni sigaretta.
• 40 milioni di individui soffrono di disturbi gastrointestinali che comportano un assorbimento insufficiente di elementi nutritivi.
• Gli anziani perdono il calcio delle ossa.
• 25 milioni di alcolisti presentano carenze di vitamina A, zinco, magnesio, vitamina B1 e selenio.
• I contraccettivi orali provocano carenze di vitamina B6 e zinco.
• Chi segue un regime strettamente vegetariano soffre di carenze di vitamina B12, vitamina D e alcuni aminoacidi.
• I fitati e gli ossalati contenuti nei cereali e nelle verdure crude comportano una carenza nell'assorbimento dei minerali e sono troppo alcalini.
• Le donne che allattano perdono vitamine e minerali.
LO SCARAFAGGIO CHE FA BENE.
20-06-2016
La prossima volta che inorridite scoprendo uno scarafaggio in cucina, pensateci bene prima di schiacciarlo: un giorno potrebbe salvarvi la vita. Secondo uno studio presentato a un incontro della Society for General Microbiology, il sistema nervoso centrale della blatta americana produce degli antibiotici naturali capaci di uccidere batteri potenzialmente letali per l'uomo, come lo stafilococco aureo resistente alla meticillina (MRSA) e alcuni ceppi tossici di Escherichia coli. Anche tre specie di locuste sono risultate portatrici di queste molecole killer. Secondo Simon Lee dell'Università di Nottingham, in Inghilterra, co-autore dello studio, gli antibiotici potrebbero essere diffusi in tutta la classe degli insetti, che da sola comprende l'80 per cento degli animali esistenti. Una scoperta fondamentale, visto che da tempo gli scienziati sono alla ricerca di medicine contro i microrganismi che hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici tradizionali.
"È un inizio promettente", dice Lee. "Stiamo cercando là dove nessuno aveva cercato prima, visto che le fonti consuete di antibiotici - microrganismi del suolo, funghi, molecole sintetiche - sono esaurite". In laboratorio, Lee e i suoi colleghi hanno sezionato tessuti e cervelli di blatte ("l'odore è cattivo quanto l'aspetto", sostiene lo scienziato) e locuste, rintracciando e sperimentando nove tipi di molecole antibatteriche, ciascuno specializzato nell'uccidere un microrganismo diverso. Questo meccanismo difensivo "molto ingegnoso", dice Lee, permette agli insetti di sopravvivere nei territori più sporchi. Gli antibiotici sono concentrati solo nei tessuti del cervello, organo essenziale per gli insetti, che possono vivere a lungo con una zampa malata ma quasi sempre soccombono alle infezioni cerebrali. Lo scienziato precisa che passeranno ancora anni prima che dal cervello degli insetti possano essere tratte medicine per l'uomo, ma l'esperimento ha già dato un risultato positivo: messi alla prova su cellule umane, gli antibiotici non hanno provocato effetti tossici.
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2010-09/sfgm-iba090210.php
https://www.sciencedaily.com/releases/2010/09/100906202901.htm
I DOLCIFICANTI ARTIFICIALI AUMENTANO IL RISCHIO DI DIABETE DI TIPO 2.
20-06-2016
Dolcificanti artificiali? Fanno solo male. In particolare aspartame e saccarina non sono né una buona soluzione per evitare problemi di peso né un modo per tenere a bada la glicemia. Anzi: questi edulcoranti sarebbero in grado di alterare il metabolismo con un conseguente aumento di rischio di diabete tipo 2. Secondo una ricerca condotta dalla canadese York University, i dolcificanti di sintesi aiutano a limitare l’assunzione di calorie, però fanno aumentare la glicemia. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Applied Physiology, Nutrition and Metabolism. Per questo studio sono stati analizzati i dati di 2.856 adulti che hanno preso parte alla “Third National Health and Nutrition Survey”. I partecipanti sono stati sottoposti a un test per individuare l’intolleranza al glucosio che predispone al diabete ed è emerso che l’aspartame contenuto nei dolcificanti aumenta il rischio di sviluppare un’intolleranza al glucosio e, di conseguenza, accresce la possibilità di sviluppare un diabete di tipo 2.
Non è la prima volta che i dolcificanti vengono tirati in ballo nella questione del rialzo della glicemia. Già un altro studio aveva evidenziato che i dolcificanti sono in grado di alterare il normale metabolismo innalzando la glicemia e in alcuni casi, arrivando a sviluppare una condizione pre-diabete. In più, un’altra ricerca di poche settimane fa ha puntato il dito contro il dolcificante sucralosio, che sarebbe associato all'aumento del rischio di ammalarsi di leucemia. Insomma, credere di poter sostituire senza rischi lo zucchero raffinato con i dolcificanti artificiali è in realtà un’idea sbagliata, tanto più che è ormai assodato che non aiutano a dimagrire, nemmeno se sono a zero calorie, e non proteggono – ormai è chiaro – da malattie come l’obesità o il diabete. Si tratta, quindi, solo di un inganno: chi soffre di problemi di obesità o di diabete o chi sperava di dimagrire grazie a questi surrogati, in realtà dovrebbe rivolgersi ad altro. È il caso, per esempio, della frutta fresca o essiccata e della stevia, oltre, ovviamente, alla necessità di rivedere probabilmente tutta la propria alimentazione.
http://www.nrcresearchpress.com/doi/abs/10.1139/apnm-2015-0675#.V09MJVSLTcu
http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature13752.html
http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10773525.2015.1106075?journalCode=yjoh20&
LA CALVIZIE AUMENTA IL RISCHIO DI MALATTIE CARDIACHE.
20-06-2016
Un tempo si riteneva che la calvizie maschile fosse simbolo di virilità. Forse perché associata alla presenza di testosterone, forse perché era un modo per consolare chi era afflitto dalla perdita dei capelli. Ma, credenze a parte, la calvizie è un serio problema che affligge sempre più maschi ed è in costante, preoccupante, aumento. E, come se non bastasse, a far aumentare le preoccupazioni potrebbe essere uno studio, pubblicato sul British Medical Journal, che suggerisce come calvizie maschile aumenti il rischio di malattie coronariche e cardiache. La revisione, basata su dati Medline e Cochrane Library, si è avvalsa di 6 studi scelti tra quelli che soddisfacevano tutti i criteri di ammissibilità. Gli studi, sono stati sottoposti alla lente dei ricercatori dell’Università di Tokyo. Il primo dato che è emerso nella revisione è la maggiore probabilità di sviluppare malattie dell’apparato cardiovascolare da parte di coloro che hanno perso gran parte dei capelli, rispetto a coloro che invece ancora li conservano. Nello specifico, a essere più a rischio sarebbero coloro che presentano un maggiore diradamento dei capelli “a corona”, piuttosto che coloro che sono stempiati: per cui è peggio perdere i capelli nella parte superiore della testa che non nella parte anteriore.
Gli studi analizzati sono stati pubblicati tra il 1993 e il 2008, e hanno visto il coinvolgimento di circa 40.000 uomini. La media di durata degli studi era 11 anni e ci si è concentrati in particolare su uomini di età inferiore ai 55 anni. Tirando le somme finali, i ricercatori hanno stabilito che gli uomini del tutto calvi o ampiamente calvi hanno il 44 per cento di maggiori probabilità di sviluppare una malattia coronarica – secondo i primi tre studi. Secondo invece gli altri tre, gli uomini calvi hanno un rischio del 70 per cento di malattia cardiaca nella fascia di età media; nella fascia di età più giovane il rischio, poi, aumentava dell’84 per cento. Tra le diverse possibili spiegazioni all'aumentato rischio di malattie cardiovascolari, i ricercatori citano una possibile resistenza all'insulina (precursore del diabete), un possibile stato d’infiammazione cronica dell’organismo, l’aumento alla sensibilità al testosterone. Tutti questi, e possibili altri, sono noti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.
http://bmjopen.bmj.com/content/3/4/e002537.full?sid=19404ef2-891e-47ae-a1bb-58f3c70bbb09
ATTACCHI DI PANICO E ANSIA LEGATI A BASSI LIVELLI DI FERRO E VITAMINE B.
19-06-2016
Se si soffre di ansia o di attacchi di panico occasionali, segnati da attacchi di iperventilazione, si potrebbe semplicemente trattare di effetti collaterali di una carenza di nutrienti fondamentali facilmente correggibili. Questo sicuramente sembra essere stato il caso di 21 persone che hanno partecipato ad uno studio condotto in Giappone. Lo studio ha individuato una mancanza sia di vitamina B6 che di ferro tra i partecipanti che hanno avuto attacchi di panico o iperventilazione. La ricerca si è basata sulla valutazione dei livelli di nutrienti di un gruppo di partecipanti con diversi gradi di ansia e frequenze di attacchi di panico e iperventilazione. E’ stato valutato anche un gruppo di controllo i cui livelli di nutrienti sono stati confrontati con quelli del gruppo primario. Dopo la valutazione, i ricercatori hanno notato che sia la vitamina B6 che il ferro erano carenti nei soggetti con problemi di ansia e iperventilazione, mentre il gruppo di controllo aveva livelli adeguati di questi importanti nutrienti. Vitamine del gruppo B e ferro sono particolarmente importanti per la sintesi del triptofano in serotonina, un neurotrasmettitore che regola non solo l’umore e stabilità mentale, ma anche il sonno e la funzione cardiovascolare.
“Questi risultati suggeriscono che basse concentrazioni sieriche di vitamina B6 e ferro sono coinvolte in PA (attacchi di panico) e HVA (iperventilazione), anche se sono necessari ulteriori studi per chiarire i meccanismi alla base di tali differenze”, hanno scritto gli autori a conclusione del loro studio. Anche se questo particolare studio non ha identificato un legame tra carenze generali di altre vitamine B, come B2 e B12 e la frequenza o l’intensità di attacchi di panico, tutte le vitamine del gruppo B sono importanti per un cervello sano. Una carenza di qualsiasi vitamina del gruppo B, in altre parole, può portare a problemi di salute mentale ed è per questo che è importante mantenere i livelli di vitamine B sotto controllo. “Lo stress cronico, dieta povera e alcune condizioni mediche possono esaurire i depositi del corpo di nutrienti vitali“, spiega una fonte sull'importanza delle vitamine B. ”Molti di coloro che soffrono di agorafobia (paura degli spazi affollati o nei locali pubblici) sono carenti di alcune vitamine del complesso B e questo può essere il caso anche di altre condizioni di ansia". Sintomi di carenza di vitamine B possono comprendere ansietà, irrequietezza, stanchezza, irritabilità e instabilità emotiva.
CONOSCERE IL RISCHIO D'INFARTO ATTRAVERSO LE ANALISI DEL SANGUE.
19-06-2016
L'omocisteina è un aminoacido che circola nel sangue, ma presenta la caratteristica di non formare parte di alcuna proteina. Recenti ricerche hanno rivelato che più elevato è il livello di omocisteina nel sangue, maggiore è il rischio di soffrire di un infarto del miocardio o di una malattia vascolare cerebrale (apoplessia, trombosi cerebrale o ictus). Un'analisi del sangue permette di determinare il livello di omocisteina e sapere così se esiste un rischio d'infarto. Il valore normale è di 10 micromoli di omocisteina per litro di sangue. A partire da 14 o 15 micromoli per litro, il rischio di affezione cardiovascolare aumenta notevolmente.
I FOLATI RIDUCONO IL LIVELLO DI OMOCISTEINA
E' scientificamente dimostrato che una carenza di folati, anche lieve, nel sangue provoca un aumento del livello di omocisteina e aumenta il rischio di infarto e di apoplessia. I folati o l'acido folico presi come integratori possono abbassare il livello di omocisteina e ridurre così il rischio d'infarto. La dose giornaliera consigliata di acido folico è di 400-800 microgrammi. Anche gli alimenti ricchi di folati o di acido folico sono efficaci per abbassare il livello di omocisteina e ridurre il rischio di affezioni cardiovascolari:
- I legumi sono ricchi di folati: 100 g ne apportano più di 400 mg.
- Anche le verdure, le alghe e la frutta secca oleaginosa sono una notevole fonte di folati: 100 g ne contengono da 60 mg a 200 mg.
- La carne, il pesce, il latte e le uova contengono pochi folati: meno di 50 mg in 100 g di prodotto.
STOP AI LIEVITI CON LO YOGURT.
19-06-2016
Se avete mai avuto un'infezione da lieviti, non vorrete certo ripetere l'esperienza. E mangiando più yogurt dovreste riuscire a evitare le ricadute. Le infezioni da lieviti si manifestano quando un fungo che normalmente vive nella vagina improvvisamente comincia a moltiplicarsi, provocando prurito, bruciore e altri sintomi fastidiosi. Da uno studio condotto al Long Island Jewish Medical Center è risultato che lo yogurt con fermenti lattici vivi,soprattutto del genere Lactobacillus acidophilus, può aiutare a tenere sotto controllo questo fungo. Nello studio alcune donne soggette a frequenti infezioni da lieviti sono state invitate a mangiare 240 grammi di yogurt al giorno per 6 mesi. Al termine dell'esperimento, la percentuale delle infezioni era scesa in maniera significativa e le donne erano così soddisfatte che, quando i ricercatori hanno chiesto loro di sospendere la cura di yogurt, molte si sono rifiutate.
L'ipotesi avanzata dai ricercatori è che lo yogurt aiuti a mantenere il naturale equilibrio della flora batterica vaginale, ostacolando così la riproduzione dei lieviti. Saranno necessari studi più approfonditi per confermarlo, ma nel frattempo le donne che desiderano evitare le infezioni da lieviti possono comunque provare a mangiare 1 tazza di yogurt al giorno, cioè la stessa quantità usata nello studio. E' importante però che lo yogurt contenga fermenti lattici vivi, perchè se ha subìto trattamenti termici e non contiene più lattobacilli non sarà efficace. Leggete attentamente l'etichetta, quindi, per accettarvi che lo yogurt che comprate non sia pastorizzato.
TI SEI AMMALATO? E' COLPA TUA! I NUOVI ORIZZONTI DELLA BIG PHARMA.
19-06-2016
Buongiorno dottore, allora come vado? Non va tanto bene sig. Rossi, c’è un inizio di cirrosi; lei beve? No dottore, sono astemio!
Ah, poi la situazione respiratoria non è affatto buona. Lei fuma? Mai fumato una sigaretta in vita mia! Ah, ha anche il colesterolo molto elevato, forse mangia troppi grassi? Mah, lei cosa dice dottore? Sono alto 1.78 e peso 70 Kg! Vede dottore, il problema è che 15 anni fa mi hanno sbagliato una trasfusione e mi hanno fatto venire l’epatite C. I polmoni forse non stanno tanto bene perché di mestiere faccio il vigile urbano. Mentre sul colesterolo, sa, ho letto qualcosa su internet, dove si diceva che il colesterolo aumenta perché viene prodotto dal fegato quando ci sono microlesioni alle arterie prodotte da una carenza cronica di vitamina C a scopo riparativo. E in effetti, l’altro giorno sono andato in Cardiologia a trovare un mio amico e, devo dire, mi sembrava che i pazienti fossero tutti magri! E adesso che mi dice dottore? Ha ancora qualche colpa da imputarmi?
Proprio così. Dovrebbe essere abbastanza evidente. Ormai, in medicina si cerca sempre di dare la colpa al paziente su tutto. Nella nostra vita siamo bersagliati da additivi e sostanze tossiche negli alimenti, ormoni e antibiotici nella dieta, OGM, aspartame, ancora nanoparticelle, onde elettromagnetiche, scie chimiche. Forse in qualcuna di queste possiamo fare qualcosa, ma nella maggior parte dei casi siamo completamente in balìa dei veleni. Ma siccome la colpa di queste va data alle lobby alimentari, farmaceutiche, petrolifere, ai banchieri internazionali o ai governi, è molto più semplice dare la colpa ai singoli individui. E allora vai: il fumo fa venire il cancro, scritto sulle sigarette. Bere fa male, scritto sui tabelloni nelle strade. Bevi un bicchiere di vino e ti ritirano la patente. Una specie di guerra, anche mediatica, contro gli untori, responsabili di tutti i mali dell’umanità. E se non fumi, potrebbe fumare tua moglie e ti fa ancora più male (meccanismo divide et impera delle multinazionali!).
Quanto incidono alcool e tabacco rispetto a tutto il resto Assolutamente poco: la maggior parte dei casi di cirrosi epatica e di cancro del fegato è dovuta all’epatite C che uccide più dell’alcool. Mentre se tu fumi tre pacchetti al giorno e ti viene un cancro al polmone sono probabilmente le sigarette. Ma se il pacchetto è “solo” uno al giorno, potrebbe essere più facilmente qualcos’altro. Questo non significa che le sigarette non facciano male, ma che di cose che facciano male ce ne sono tante…troppe! Di cancro muore un terzo della popolazione e nel 90% dei casi la colpa non è tua. E se poi escludiamo fegato e polmoni; alcool e tabacco nelle patologie degli altri organi hanno un incidenza piuttosto scarsa rispetto a tutto il resto. Allora la Big Pharma ha pensato bene di allargare anche un pò gli orizzonti delle colpe da dare alla gente: stare troppe ore fermi senza fare attività fisica favorisce il cancro del colon; e aggiungono che, dopo essere stati 8 ore seduti, potrebbe non essere nemmeno sufficiente un ora di jogging; cioè, in pratica, anche sul lavoro dovresti ogni tanto gironzolare un pò per l’ufficio e rompere le scatole ai colleghi.
All’alimentazione bisogna stare attenti! La carne fa male. Peccato che nel passato (e ancora oggi) ci sono state antiche tribù che vivevano di caccia e a nessuno veniva né il cancro né le malattie cardiovascolari: la carne fa male adesso, che è piena di ormoni e antibiotici somministrati negli allevamenti intensivi. Stesso discorso per altri alimenti. Ma qualcosa dovremmo pur mangiare. Dare la colpa a se stessi per i malanni fa parte della nostra cultura, che le multinazionali ci hanno sagacemente inculcato, a partire dall’infanzia, quando la mamma ci diceva di metterci il golfino che altrimenti ci veniva l’influenza. Nella mia esperienza posso dire che i luoghi dove è più facile beccarsi l’influenza sono i locali pubblici chiusi dove d’inverno ci sono 25° (e se in tutti i locali e le abitazioni d’inverno ci sono 25° vuol dire che probabilmente questo serve a qualcuno!).
E come s’incolpano i bambini, s’incolpano i vecchi, che non hanno preso i medicinali prescritti dal medico. E, seppur disdicevoli, anche sugli episodi di bambini dimenticati nelle auto, ci sarebbe da obiettare, visto che quando leggi: intossicazioni da mercurio (nei vaccini), alluminio (nelle scie chimiche), nanoparticelle (scie chimiche e altro), leggi sempre: turbe della concentrazione, turbe della memoria, morbo di Alzheimer precoce. E una volta i bambini nelle auto non se dimenticava nessuno! Care mogli, non date la colpa ai mariti; cari mariti, non date la colpa alle mogli; cari genitori, non date la colpa ai figli. Figli, non date la colpa ai genitori! Impariamo a dare la colpa a chi ce l’ha. Capisco che è più difficile, ma, forse, è più utile!
FEGATO A RISCHIO CON ELEVATI LIVELLI DI CADMIO.
15-06-2016
Il cadmio fa parte dei metalli pesanti ed è tra i più inquinanti insieme a piombo e mercurio. Secondo uno studio condotto alla Johns Hopkins University School of Medicine elevati livelli di cadmio nell’organismo può favorire l’insorgenza di malattie del fegato e esporre ad un maggiore rischio di morte. Vediamo insieme perché. Il cadmio è un metallo altamente tossico (più del mercurio e del piombo) e fino a qualche anno fa (prima del divieto da parte dell’Unione Europea a maggio del 2011) veniva utilizzato per gli articoli di gioielleria, i prodotti di plastica, la produzione di pile ecc. È presente nell'ambiente nel fumo di sigaretta, nei prodotti cosmetici e nelle zone inquinate come quelle in prossimità delle fabbriche di zinco. Il cadmio, inoltre si trova nell’acqua (in particolare in quella dolce, soprattutto se acida) e negli alimenti raffinati come la farina, il riso e lo zucchero bianco.
Il fegato e i reni sono gli organi in cui il cadmio si deposita. In circostanze normali questo metallo pesante non rappresenta un problema, tuttavia quando si viene a creare uno squilibrio, ad esempio una carenza di zinco, l’organismo può reagire accumulando il cadmio al suo posto e se l’assunzione giornaliera supera un certo livello (oltre i 13-24 microgrammi) si va incontro ad un'intossicazione. Spesso si tratta di un processo impercettibile, ma i danni nel tempo si vedono: problemi renali, ipertensione, arteriosclerosi e secondo gli esperti della Johns Hopkins University School of Medicine anche steatosi epatica e steatoepatite (non alcoliche). A detta del dottor Hyder, coordinatore dello studio che ha preso in esame i dati relativi ai 12.732 partecipanti al National Health and Nutrition Examination Survey, sebbene l’esposizione professionale al cadmio sia diminuita, l’esposizione ambientale continua ad essere presente ed è un problema da affrontare. Come ha dichiarato l’esperto: "Conosciamo già i rischi per la salute dei metalli pesanti come il piombo, l’arsenico e il mercurio, ma non sappiamo molto di quello che il cadmio fa al corpo". Per prevenire l’intossicazione da cadmio è bene integrare l’alimentazione con lo zinco (qualora risulti carente) il selenio e gli alginati (si trovano nelle alghe).
http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs11605-013-2210-9