Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Lunedì, 21 Aprile 2014 09:54

RISCHIO FOSFATI NEI CIBI.

21-04-2014

Una ricerca tedesca rilancia l'allarme sui fosfati e sugli additivi in genere, sostanze chimiche utilizzate dall'industria alimentare per la produzione dei cibi. Secondo i ricercatori guidati da Eberhard Ritz, che hanno pubblicato il loro studio su Deutsches Ärzteblatt International, gli alimenti contenenti queste sostanze andrebbero evidenziati al pubblico tramite l'applicazione di etichette apposite. I ricercatori hanno preso in esame una serie di ricerche sull'argomento, che sottolineano il nesso fra eccessivo consumo di fosfati e aumento della mortalità nei pazienti con patologie renali. I fosfati hanno effetti nocivi sull'apparato cardiovascolare e stimolano il processo di invecchiamento. Negli ultimi anni il loro uso e consumo è aumentato sensibilmente sotto varie forme: coloranti, conservanti, antimicrobici e antiossidanti, esaltatori di sapore, agenti di rivestimento, aromi naturali e artificiali, stabilizzanti, gelificanti, lievitanti, emulsionanti e acidificanti.
Il potenziale effetto dannoso è in rapporto alla dose e al peso del consumatore e i primi a soffrirne sono di conseguenza i bambini. Qualche esempio serve a dare la dimensione del fenomeno: i nitrati e nitriti di sodio e potassio, contenuti nelle carni preparate (salumi, prosciutti ecc.), interferiscono con la presenza di vitamina A e B1 e possono modificare il funzionamento della tiroide; in particolare i nitriti possono trasformarsi in nitrosammine, composti cancerogeni. I solfiti, contenuti nei crostacei, nel vino, nella frutta secca e candita, funghi secchi ecc., possono dar luogo a reazioni allergiche come l’asma bronchiale e l'orticaria. I fosfati, contenuti in budini, gelati, latte concentrato, prosciutto cotto, possono determinare una insufficiente calcificazione delle ossa. Si potrebbe continuare per un bel pò e il consiglio che posso dare ai consumatori è sempre lo stesso: consumare prodotti freschi e che non contengano additivi. In linea di principio, meno la lista degli ingredienti è lunga e meglio è.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22334826

Lunedì, 21 Aprile 2014 09:45

IL VACCINO ANTI-HPV NON PREVIENE IL CANCRO.

21-04-2014

Prima obiezione: il vaccino anti-HPV protegge solo da due ceppi del virus, mentre sono almeno 15 quelli che provocano il cancro. Infatti a leggere per bene le raccomandazioni si vede che “anche dopo aver fatto il vaccino una donna deve comunque sottoporsi a pap test periodici”. E allora perchè farlo?

Seconda domanda: quanto è diffuso il cancro al collo dell’utero?
I dati OMS dicono che questo tumore in un anno uccide 275.000 donne nel mondo, 90 in Italia, insomma non è un flagello tale da giustificare una simile vaccinazione a tappeto. Oltretutto sappiamo che se una donna fa un pap test all’anno riesce a individuare le cellule malate sul nascere e la sua guarigione è del 100%. Non solo: altri dati OMS rivelano che l’80 per cento delle donne nel corso della vita contrae uno o più virus HPV (in tutto sono 150, una trentina si trasmettono per via sessuale, di questi 15 sono considerati ad alto rischio) ma nella maggioranza dei casi il sistema immunitario li combatte. Solo quando l’infezione persiste negli anni si possono alterare le cellule ma con il pap test questa situazione balza subito all’occhio.

Terzo quesito: non si capisce quanto può durare la protezione di questo vaccino, nessuno lo dice (forse perché nessuno lo sa). Tralascio di parlarvi degli effetti collaterali, delle morti e delle malattie autoimmuni attribuite al farmaco. I medici affermano che l’efficacia del rimedio è del 20 per cento…un pò pochino o no?

20-04-2014

Dott. Roberto Santi.

Lui è di quei medici che non perdono occasione per criticare «Big Pharma» (definizione dello strapotere dei grandi gruppi farmaceutici). In una conferenza, ha offerto molti dati sconosciuti e per alcuni versi inquietanti alla platea. Questi fanno pensare, immaginare e anche intuire quanto la medicina sia troppo intrisa di interessi economici fino ad arrivare in più di qualche caso a «prendere in giro i cittadini e in particolare quelli malati» Il dottor Santi ha detto in una breve intervista «che lui, come medico, ha giurato fedeltà ai pazienti e non ai potenti e per questo se trova farmaci o prassi della medicina inutili, dannose o scorrette sente il dovere di comunicarlo ai pazienti e per questo lo fa» Per il suo atteggiamento di denuncia il dottor Santi è stato portato davanti al giudice da alcuni suoi colleghi per aver denunciato gli atteggiamenti «mafiosi» di cui è intrisa l'organizzazione sanitaria. I giudici - PM prima e GIP poi - lo hanno assolto perché lui si riferiva a quel tipo di atteggiamento, appunto mafioso, che ormai è nel costume della società e non solo della criminalità. Per dare corpo e forza alla sua tesi il dottor Santi nell'intervista ha spiegato alcuni fatti precisi che danno il senso di come la medicina, dalle case farmaceutiche ad alcuni dei suoi colleghi medici, è in molti casi a dir poco scarsamente chiara. E fa riferimento a studi e a gruppi che verificano gli studi «C'è - ha detto Santi - uno studio riportato su un sito di una Asl della regione Emilia Romagna curato dal dottor Danilo Di Diodoro che racconta di quante sono le ricerche efficaci. Bene - ha continuato Santi - solo il 3,5 per cento dei farmaci messi in commercio negli ultimi 15 anni sono veramente efficaci» E poi si «scaglia» contro l'informazione delle riviste scientifiche. Per Santi sono troppo attente a filtrare accuratamente quali informazioni e quali risultati delle ricerche far arrivare alla portata dei medici. Sono circa 1500 gli articoli che ogni giorno nel mondo vengono pubblicati sule riviste specializzate. In genere favorevoli agli imprenditori del farmaco. E anche qui porta una cifra ad avvalorare la sua affermazione: «Big Pharma» - ha detto - spende 320 miliardi di dollari l'anno per promuovere i farmaci. Fra pubblictà, gadget, viaggi per i medici, congressi eccetera. Cose delle quali spesso la cronaca ha reso conto ai cittadini». Poi racconta di alcuni farmaci che vengono somministrati per una grave malattia. «È stato dimostrato – ha detto il medico ligure – con uno studio di 15 anni su 35.000 pazienti, che il farmaco, dal costo di 1.700 euro a fiala per il totale annuo di 85.000 euro per ogni paziente, malato cronico, non porta migliorie. E si continua a somministrarlo nonostante lo sappiano tutti nel mondo scientifico - poi ha detto – erano in via di definizione, per la stessa malattia, studi con la vitamina D3, dal bassissimo costo, meno di 2 euro a fiala, che stava dando buone speranze. È stato sospeso non si capisce bene perchè» Anche qui fa un esempio pratico che può aiutare a capire il meccanismo: «Per un noto farmaco per il cuore, dimostratosi più dannoso che utile, il presidente dell'associazione americana dei cardiologi del tempo, che era stato fra i promotori e fra quelli che ne hanno avvalorato e validato la bontà, si è scoperto che era uno dei maggiori azionisti della casa farmaceutica che lo produceva. Era quindi evidente il conflitto d'interessi» Poi lamenta di un farmaco molto importante, la famosa Penicillina, fatta sparire dal mercato per un pò di tempo per essere venduta a 24 euro perchè preconfezionata nelle siringhe. Nel flacone classico invece costa circa 0,76 centesimi ma è disponibile soltanto per gli ospedali. Tutto questo è noto a l'Aifa (agenzia del farmaco) che con disarmante semplicità ha risposto, in sostanza, all'interrogazione di Santi che «non può farci nulla» E Santi suggerisse che siano gli assessorati regionali alla salute a comprarla in confezione ospedaliera che costa il 3% di quella venduta in farmacia, per distribuirla a chi ne ha bisogno. Un altro esempio che porta il dottore riguarda i farmaci contro il colesterolo e i livelli indicati nei quali si dovrebbe stare. Quelli che oggi sono considerati soglia massima sarebbero la normalità; secondo Santi è un modo per aumentare la vendita di quei prodotti e farmaci per farlo abbassare. Poi svela un dato eclatante: «L'80% della mortalità per infarto è nei soggetti con colesterolo normale» A dimostrare che su questo tema ci sarebbe una sorta di «terrorismo» che porta poi a far consumare gli specifici farmaci anche se presi in condizioni che non li richiedono e in qualche modo dannosi per gli immancabili effetti collaterali. Una battaglia a tutto campo quella del dottor Santi contro l'abuso delle case farmaceutiche scorrette che approfittano della salute della gente per trarre profitti ingiustificati.

20-04-2014

Dermatiti: negli Stati Uniti è boom tra le bambine e nelle pre-adolescenti a causa dei trucchi che utilizzano per il make-up. Parliamo di un vero e proprio fenomeno, sia a livello medico che sociale. Oltreoceano, infatti, complici spesso dei programmi televisivi che mettono la bellezza delle bambine al centro dell’attenzione, è in aumento il numero delle bambine che fin dai 7 anni fanno ampio uso di cosmetici. La situazione, secondo i pediatri della Fimp, Federazione italiana medici pediatri, è da monitorare anche in Italia. Pur volendo non pensare al fenomeno dal punto di vista etico e sociale, è necessario sottolineare come i pediatri stiano segnalando la questione a causa delle conseguenze che l’utilizzo di make-up sta apportando alle bambine. Gli specialisti hanno registrato un incremento esponenziale delle dermatiti da contatto ed allergiche nei minori di età compresa tra gli 8 e i 12 anni in una misura pari al 16,7%. Un dato incredibile e soprattutto impensabile fino a qualche tempo fa.
La causa di questo è riscontrata in una sorta di “insicurezza psicologica” tipica dei nuovi genitori, i quali trasformano i figli in accessori viventi chiamati a raggiungere quei traguardi che per motivazioni differenti loro non hanno potuto raggiungere da bambini o non possono raggiungere da adulti. La classica proiezione dei propri desideri sui figli. Alla quale si aggiunge il comportamento della società, la quale mira ad aprire il mercato di specifici accessori verso i minori anche quando gli stessi non sono adatti alla loro età. E’ il caso del make-up, che come la letteratura medica ci sta dimostrando, sta portando conseguenze sulla salute dei bambini, la cui pelle dovrebbe avere il diritto di “respirare” senza essere coperta da qualsiasi tipo di maquillage. Non sempre queste dermatiti scompaiono da sole una volta fermato l’atto del truccarsi: molte bambine si sono dovute sottoporre a delle terapie topiche. E tutto questo per la costruzione di modelli non adatti alla loro età dai quali vengono bombardati. Che sia necessaria una legge per mettere fine a questo fenomeno?

Domenica, 20 Aprile 2014 14:07

DANNI AL CERVELLO CON IL CIBO SPAZZATURA.

20-04-2014

Secondo una ricerca condotta dalla Brown University il cibo spazzatura, il cosiddetto junk food, può agire direttamente sulle cellule del cervello contribuendo ad aumentare il rischio di demenza. Era già stato dimostrato che il junk food fosse in relazione con obesità e diabete e conseguentemente con la qualità dell’afflusso del sangue al cervello e quindi con sintomi di demenza. In questo caso la ricerca dimostra che il junk food, se consumato in maniera prolungata, può avere effetti direttamente sulle cellule del cervello in quanto inibirebbe la loro capacità di rispondere in maniera adeguata all’insulina. Tutti gli organi interni reagiscono con dei malfunzionamenti ad una quantità di cibi grassi e di dolci.
Secondo i ricercatori della Brown University la stessa cosa accade al cervello per cui se investito da un eccessiva quantità di insulina, il cervello smette di reagire alla sostanza, limitando la propria capacità di pensare e creare ricordi. I ricercatori della Brown University, guidati dal dottor Suzanne del Monte hanno eseguito un esperimento su modelli murini diminuendo la quantità di insulina che arriva al cervello. I topi sono apparsi confusi e incapaci di trovare l’uscita dal labirinto. Un analisi dei cervelli dei topi ha potuto individuare modelli simili alla malattia di Alzheimer, tra cui alti livelli di placca amiloide, che è uno dei componenti chiave della malattia.

20-04-2014

Stilata la classifica della frutta e della verdura più contaminata dai pesticidi. A metterla a punto sono stati gli esperti dell'Environmental Working Group (EWG), organizzazione non profit di Washington che ha rilasciato negli scorsi giorni l'ottava edizione della sua Shopper’s Guide to Pesticides in Produce, contenente tutte le informazioni sui livelli di composti chimici tossici presenti nei prodotti dell'orto. La guida contiene due classifiche. Da un lato, la Dirty Dozen Plus™, vale a dire la “sporca dozzina” di frutta e verdura più contaminata, dall'altro la Clean Fifteen™, cioè i 15 prodotti più sicuri in quanto a contenuto di pesticidi. In totale, l'EWG ha analizzato i livelli di sostanze tossiche nei 45 frutti o verdure più consumati.
Lo studio si è basato sui dati ottenuti nei test condotti ogni anno, dal 2000 al 2010, dall'USDA (il dipartimento dell'agricoltura statunitense) e dalla Food and Drug Administration. Prima delle analisi frutta e verdura è stata lavata o sbucciata. Questo, spiegano dall'EWG, significa che i livelli di pesticidi rilevati sono quelli effettivamente ingeriti dai consumatori. Il podio più alto della Dirty Dozen Plus™ è occupato dalle mele, il frutto simbolo della salute per eccellenza. Il 98% delle varietà di mele vendute sul mercato statunitense contiene livelli significativi di pesticidi. Il secondo e il terzo posto sono occupati, rispettivamente, dal sedano e dai peperoni rossi. Seguono pesche, fragole, pescanoci, uva – contaminata addirittura da 64 sostanze diverse -, spinaci, lattuga, cetrioli, mirtilli e patate. A questi vanno aggiunti i fagiolini e i cavoli, spesso contaminati dagli organofosfati, insetticidi tossici per il sistema nervoso. La classifica dei prodotti più sicuri è formata, invece, da cipolle, mais dolce, ananas, avocado, cavoli, piselli, asparagi, mango, melanzane, kiwi, melone, patate dolci, pompelmo, anguria e funghi. Classifiche alla mano, i consumatori possono fare due scelte: non mangiare più i prodotti elencati nella Dirty Dozen Plus™ o comprarli solo se provenienti da agricoltura biologica. Nel prendere una decisione è bene, però, tenere conto del fatto che questi dati riguardano frutta e verdura proveniente dagli Stati Uniti, dove le regole sull'uso dei pesticidi sono meno restrittive che in Europa. In ogni caso, meglio lavare sempre accuratamente o sbucciare ciò che si sta per mangiare.

20-04-2014

Un acido contenuto nelle foglie d'ulivo mostra grande potenziale terapeutico per malattie come la sclerosi multipla. E' quanto è emerso da uno studio dell'Instituto de Biologi'a y Gene'tica Molecular (IBGM) della città spagnola di Valladolid, pubblicato su Biochemical Pharmacology: con questo principio attivo alcune patologie sembrano progredire più lentamente. Per lo studio sono stati utilizzati modelli animali affetti da sclerosi multipla e da encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE), malattia del sistema nervoso centrale.
"Lo sviluppo della malattia è notevolmente più lento negli animali quando viene loro somministrato il principio attivo - ha spiegato Maria Luisa Nieto, della Unidad de Inmunidad Innata e Inflamacio'n - e in alcuni casi siamo riusciti a ridurre significativamente e addirittura eliminare tutti i processi infiammatori associati con la malattia". L'acido oleanolico sembra così in grado di attenuare in modo significativo i segni clinici (controllo muscolare, peso, sopravvivenza) e le alterazioni immuno-infiammatorie (impermeabilità vascolare, infiltrazione leucociti, presenza di citochine) della encefalomielite autoimmune sperimentale. Grazie ai buoni rapporti con l'Instituto de Ciencias del Corazo'n (Icicor) dell'ospedale clinico universitario di Valladolid, la ricerca sarà presto spostata anche su altre patologie, in particolare del miocardio.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19679109

Domenica, 20 Aprile 2014 13:46

PRUGNE SECCHE CONTRO L'OSTEOPOROSI.

20-04-2014

Le prugne secche sembrerebbero avere un effetto estremamente positivo per la salute delle ossa, secondo un ricercatore della Florida State University, che ha aggiunto che mangiarne tutti i giorni potrebbe aiutare a prevenire le fratture e l’osteoporosi nelle donne. Hanno condotto la ricerca Bahram H. Arjmandi, professore della Florida State University e un gruppo di ricercatori della Florida State e dell’Oklahoma State University. “Nel corso della mia carriera, ho sperimentato numerosi frutti, tra cui fichi, datteri, fragole e uva passita, e nessuno di loro si avvicina neanche lontanamente all’effetto sulla densità ossea delle prugne secche” ha detto Arjmandi. “Tutta la frutta e la verdura hanno un effetto positivo, ma in termini di salute delle ossa, questo alimento è particolarmente eccezionale,” ha rivelato Arjmandi.
Il team ha testato due gruppi di donne in postmenopausa nel corso di un periodo di 12 mesi. Al primo gruppo, composto da 55 donne, è stato chiesto di consumare 100 grammi di prugne secche (circa 10 prugne) ogni giorno, mentre al secondo – un gruppo di controllo comparativo di 45 donne – è stato detto di consumare 100 grammi di mele essiccate. Tutti i partecipanti dello studio hanno ricevuto dosi giornaliere di calcio (500 milligrammi) e vitamina D (400 unità internazionali). Il gruppo che ha consumato le prugne secche aveva una densità minerale ossea dell’ulna (uno dei due ossa lunghe dell’avambraccio) e della colonna vertebrale significativamente più alta rispetto al gruppo che ha mangiato le mele essiccate.
Questo, secondo Arjmandi, è dovuto in parte alla capacità delle prugne secche di sopprimere il tasso di riassorbimento osseo, che tende a superare il tasso di crescita di nuovo tessuto osseo mano a mano che le persone invecchiano. Arjmandi incoraggia le persone interessate a mantenere o migliorare la salute delle loro ossa a prendere atto degli effetti straordinariamente positivi che le prugne secche hanno sulla densità ossea. “Non aspettate di fratturarvi oppure che il medico vi dica che avete l’osteoporosi. Fate subito qualcosa di significativo e concreto in anticipo”, ha detto Arjmandi. "La gente potrebbe iniziare a mangiare 2-3 prugne secche al giorno e aumentare gradualmente magari fino a 6 – 10 al giorno. Le prugne secche possono essere consumate in tutte le forme e possono essere incluse in una varietà di ricette,” ha aggiunto Arjmandi. La ricerca, ”Comparative Effects of Dried Plum and Dried Apple on Bone in Post Menopausal Women” (Effetti comparativi tra prugne secche e mele secche sulle ossa di donne post-menopausa) è stata pubblicata sulla rivista scientifica British Journal of Nutrition.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21736808

 

 

19-04-2014

Qualche anno fa abbiamo saputo che per produrre il parmigiano reggiano, noto prodotto sinonimo di qualità alimentare, viene utilizzato il latte di mucche alimentate con soia e mais transgenici. Ma immaginate cosa succederebbe se cominciassimo a far girare la voce che il parmigiano reggiano è un "formaggio ogm"? Eppure è quello che sta succedendo in Germania, con la Müller, noto marchio di yogurt e altri prodotti caseari. Secondo l'Alta Corte Federale di Giustizia, Greenpeace ha tutto il diritto di continuare a denominare i latticini del noto marchio tedesco come "Latte OGM". Una locuzione corretta, su cui non si può obiettare, in osservanza alla libertà di espressione dei cittadini. Chi definisce "Gen Milch" il latte proveniente da animali, a cui vengono somministrati mangimi ogm non affermerebbe dunque il falso. La causa andava avanti dal 2004, ma già la prima sentenza aveva segnato un successo di Greenpeace contro l'accusa di diffamazione dell'impresa.
Greenpeace da anni segnala che Müller per i suoi prodotti utilizza latte da mucche alimentate con foraggio proveniente da colture transgeniche. La locuzione "Latte ogm" secondo l'interpretazione del tribunale è legittima e deve essere accettata in quanto tale. "La libertà di espressione e la trasparenza rimangono più importanti del profitto di impresa, che tende a mascherare l'utilizzo di ogm" ha commentato la portavoce Ulrike Brendel. Di segno opposto la valutazione del gruppo economico. "La denominazione induce a credere il consumatore che il nostro latte sia geneticamente modificato, ma secondo le conoscenze odierne un dna modificato non può creare delle trasformazioni nel latte. E se da domani in Italia ci mettessimo ad urlare: boicotta il "parmigiano ogm", cosa potrebbe succedere?

Sabato, 19 Aprile 2014 13:11

UN PRODOTTO SU 10 INQUINATO DA OGM.

19-04-2014

Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha reso noto i risultati del 2012 dell'attuazione del "Piano nazionale di controllo ufficiale sulla presenza di organismi geneticamente modificati negli alimenti". Per i prodotti convenzionali i campioni prelevati sono stati 698. "In quest'ambito - si legge nel rapporto - le positività riscontrate, relative ad OGM autorizzati sul territorio comunitario, sono state 65 ossia il 9,3%. Il 25% delle contaminazioni ha interessato la farina di mais, il 10% bevande di soia, il 9% fiocchi di cereali, l'8% biscotti, il 6% mais dolce, il 5% granella di mais fino ad arrivare all'1-2% di diverse matrici quali amido di mais, snacks dolci o crackers. Per i prodotti biologici i campioni prelevati sono stati 97 con una percentuale di positività del 3% dovuta alla presenza di soia Roundup Ready, in due campioni di farina di soia e in un prodotto dolciario da forno.

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