Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

10-03-2019

Basta mangiare 200 grammi al giorno di mirtilli per un mese per tenere a bada la pressione sanguigna. Il merito sarebbe tutto del loro colore blu, dato dalle antocianine, un tipo di fitochimico con preziose proprietà antiossidanti che nel controllo dell’ipertensione potrebbe avere un ruolo pari a quello dei farmaci. A sostenerlo è uno studio del King’s College di Londra in una ricerca pubblicata su Journal of Gerontology Series A, in cui si sottolinea come questi magnifici frutti blu siano un vero toccasana per la salute cardiocircolatoria. 
Per giungere a questi risultati, i ricercatori hanno chiesto a 40 soggetti, tutti in salute, di assumere casualmente per un mese una bevanda contenente 200 grammi di mirtilli oppure un’altra bevanda di controllo abbinata ogni giorno. Il team ha monitorato le sostanze chimiche nel sangue e nelle urine dei volontari così come la pressione arteriosa e la dilatazione flusso-mediata (FMD) dell’arteria brachiale, una misura di come l’arteria si allarghi quando il flusso sanguigno aumenta, considerato un biomarcatore sensibile delle malattie cardiovascolari. In un ulteriore studio, i ricercatori hanno confrontato gli effetti di una bevanda a base di mirtillo con quelli di antociani purificati, la sostanza responsabile del colore blu, rosso, rosa e viola di alcuni tipi di frutta e verdura come bacche e uva rossa. Hanno anche confrontato questi dati con bevande di controllo contenenti livelli simili di fibre, minerali o vitamine presenti nei mirtilli e dall’incrocio dei dati è emerso che gli effetti dell’assunzione della bevanda a base di mirtilli sulla funzione vascolare erano visibili già dopo due ore e che nel corso del mese di esperimento la pressione sanguigna sistolica, quella rilevata quando il cuore si contrae e spinge il sangue nelle arterie, si riduceva di 5 mmHg, un valore più o meno equivalente a quello garantito dai farmaci impiegati per abbassare la pressione.
Anche le bevande contenenti antocianine purificate hanno portato a miglioramenti nella funzione endoteliale. Le cellule endoteliali agiscono come una barriera tra il sangue o la linfa e il tessuto circostante del corpo, oltre a svolgere ruoli chiave nella coagulazione del sangue e nella regolazione della pressione sanguigna. Tutti effetti benefici che invece non sono emersi dall’assunzione della bevanda alternativa a quella a base di mirtilli, né di quelle con livelli di sostanze e nutrienti simili ai mirtilli, a due e sei ore dopo il consumo.
“Sebbene sia meglio mangiare per intero i mirtilli per godere a pieno dei loro benefici, il nostro studio indica che la maggior parte degli effetti possono essere ricondotti alle antocianine - dice la ricercatrice Ana Rodriguez-Mateos. Se le variazioni osservate nella funzione dei vasi sanguigni dopo aver mangiato ogni giorno mirtilli potessero essere prolungate per l’intera vita di una persona si potrebbe ridurre il rischio di sviluppare malattia cardiovascolare del 20%”.

 

https://academic.oup.com/biomedgerontology/advance-article-abstract/doi/10.1093/gerona/glz047/5321875?redirectedFrom=fulltext

https://www.sciencedaily.com/releases/2019/02/190220112211.htm

Venerdì, 08 Marzo 2019 13:16

VITAMINA E: UN PREZIOSO AGENTE ANTIANEMICO.

09-03-2019

Uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition segnala che soltanto la vitamina E può mantenere sani i globuli rossi. La connessione tra la vitamina E e la salute dei globuli rossi fu dimostrata da Patrick Leonard e Monty Losowsky del Department of Medicine, St. James’ Hospital di Leeds (Inghilterra). Essi selezionarono otto pazienti che presentavano una carenza di vitamina E, indicata dal suo basso livello nel plasma e dalla suscettibilità anormale dei globuli rossi all’emolisi (disfacimento) da perossido di idrogeno in provetta (questo test dell’emolisi è un procedimento diagnostico-tipo per individuare una carenza di vitamina E nell’uomo). Per appurare quanto a lungo duravano, i globuli rossi vennero “contrassegnati” con minuscoli quantitativi di cromo radioattivo e iniettati nuovamente nella corrente sanguigna. Poi, misurando il ritmo di scomparsa della radioattività, i ricercatori stabilirono con quale rapidità venivano distrutte le cellule contrassegnate. Dopo un’attesa di tre giorni, vennero prelevati campioni di sangue ad intervalli regolari, misurando la radioattività e riportando i risultati su un grafico. Normalmente, il cromo iniettato avrebbe dovuto perdere, secondo le aspettative, metà della sua radioattività ogni 25 giorni, ma in questo caso la perdeva in media in 19,2 giorni. Ciò poteva significare una cosa sola: i globuli rossi venivano demoliti troppo in fretta. Consapevoli del fatto che “nella carenza vitaminica E, i globuli rossi sono anormalmente fragili nella loro reazione al perossido di idrogeno”, i medici decisero di provare la terapia a base di vitamina E. Dopo un intervallo variabile dai 5 ai 15 giorni, cominciarono a somministrare ai soggetti una dose giornaliera di alfa-tocoferolo in ragione di 200 mg per bocca e 100 per iniezione. Non dovettero attendere a lungo i risultati. In un periodo da 1 a 4 giorni, il livello della vitamina E nel plasma salì rapidamente a quote normali o superiori alla norma in tutti e otto i soggetti. Ma ancora più sorprendente fu il brusco cambiamento nelle curve della caduta di radioattività. Dopo l’inizio della terapia vitaminica E e in coincidenza con i livelli normali di vitamina E nel plasma, il ritmo di perdita di radioattività in cinque su otto soggetti presentò un calo notevole (i globuli rossi contrassegnati col cromo radioattivo non scomparivano più tanto rapidamente). Infatti, il cromo radioattivo perdeva metà della radioattività mediamente in 24,9 giorni, cioè entro i limiti della più assoluta normalità. La vitamina E proteggeva in qualche maniera i globuli rossi, permettendo loro di sopravvivere più a lungo. 
Come agisce la vitamina E per favorire la salute e la longevità dei globuli rossi? Molti scienziati sono dell’avviso che, essendo questa vitamina un antiossidante naturale, essa protegge le cellule prevenendo la formazione del perossido di idrogeno. In assenza di vitamina E, essi spiegano, ad alcuni degli acidi grassi essenziali della nostra dieta - soprattutto l’acido linoleico - si permette di combinarsi con l’ossigeno formando perossido di idrogeno, noto distruttore dei globuli rossi. Altri ricercatori hanno ipotizzato che senza una quantità sufficiente di vitamina E possa esservi una maggiore fragilità della membrana esterna dei globuli rossi, che provoca rotture più frequenti e il versamento della preziosa emoglobina. O forse certi enzimi intracellulari necessari all’integrità della membrana sono più prontamente ossidati in assenza di vitamina E. Comunque sia, l’effetto protettivo della vitamina E sui globuli rossi è ovvio, anche se sull’esatto meccanismo gli scienziati devono ancora mettersi d’accordo. Particolarmente nel caso di neonati prematuri, con una carenza vitaminica E e concomitante anemia, i medici hanno impiegato con successo la terapia a base di vitamina E, anche dopo il fallimento di aggiunta di ferro. Sul New England Journal of Medicine, quattro ricercatori californiani, Ritchie, Fish, McMasters e Grossman, riferirono di aver somministrato da 75 a 100 UI di vitamina E a cinque neonati prematuri su sette. Benchè i bambini venissero alimentati con un preparato commerciale con aggiunta di 15-30 mg di ferro al giorno, la loro anemia non accennò a migliorare finchè, non si addizionò alla dieta la vitamina E. Dopo qualche giorno, aumentò il livello del tocoferolo nel plasma, il periodo di sopravvivenza dei globuli rossi si allungò e l’anemia venne scongiurata. Sia in provetta che, in seguito, negli stessi neonati, la vitamina E aveva arrestato la distruzione accelerata dei globuli rossi. I medici conclusero che “il fattore decisivo in entrambe le circostanze è che deve esistere, nel fluido che bagna gli eritrociti (globuli rossi), un livello di tocoferolo adeguato a proteggere i globuli rossi dal danno ossidativo e dalla conseguente emolisi”. Ma quanto è comune quest’anemia da carenza vitaminica E? A quel che sembra, è molto più diffusa di quanto generalmente non si sospetti. Secondo l’avvertimento dei quattro ricercatori sopra citati “la frequenza con cui la sindrome viene osservata dipenderà da quanto ci si rende conto della sua esistenza e dalla cura con cui si cerca di scoprirla. Alcune manifestazioni come anemia, occhi gonfi e indurimento delle gambe con epidermide lucida, non insolite in neonati prematuri e spesso definite “fisiologiche” o “caratteristiche dei prematuri”, possono dimostrarsi in molti casi segni di carenza vitaminica E”.
Scoperte simili erano state comunicate tre anni prima da due pediatri dell’University of Pennsylvania Hospital di Filadelphia. I dottori Lewis Barness e Frank Oski riferirono al Congresso dell’American Pediatric Society che "La carenza di vitamina E sembra essere un comune disturbo della nutrizione che si manifesta come anemia emolitica nell’infante prematuro di scarso peso corporeo alla nascita". I due medici curarono con successo otto neonati presso il suddetto ospedale in un tempo medio di 10 giorni, con vitamina E per bocca. "La vitamina E, a differenza di altre sostanze nutritive, non attraversa prontamente la barriera placentare per nutrire il feto", affermò il dottor Oski. Per questo motivo, vi sono neonati che vengono alla luce con scarse riserve di questa vitamina: i livelli del tocoferolo nel siero dei neonati sono appena un quinto dei livelli nel sangue materno. In tale situazione, alla gestante dovrebbe essere opportunamente consigliato di aumentare l’assunzione di questa sostanza per assicurarsi che il bambino ne riceva a sufficienza. Per evitare il rischio di battersi in un’anemia emolitica da carenza di vitamina E possiamo ricavare questa sostanza dagli alimenti come l’olio di germe di grano, semi di girasole e dalla frutta secca in generale. I globuli rossi muoiono ogni minuto. E’ una cosa naturale e non possiamo farci niente. In condizioni normali il midollo osseo continuerà a produrre abbastanza cellule sostitutive da mantenere fornite le linee di riserva. Ma la vitamina E può servire ad assicurare che questi “lavoratori” vitali non siano distrutti prima di aver avuto la possibilità di portare a termine il lavoro intrapreso.

07-11-2018

Vi sono milioni di persone che si svegliano la mattina con le mascelle indolenzite dopo aver digrignato i denti nel sonno per un'intera notte. Vi sono numerosi casi di mogli che hanno minacciato (e qualche volta ottenuto) il divorzio come reazione a troppe notti insonni e rumorose. In certe persone, l'abitudine è tanto incontrollabile da continuare a intermittenze anche durante il giorno. Il bruxismo (digrignamento dei denti) è più che un'abitudine spiacevole: è una causa primaria di perdita dei denti e recessione delle gengive, entrambe dovute all'allentamento del dente nel suo alveolo, conseguenza del digrignamento. Chi soffre di questo disturbo ha provato di tutto, dalle cure dentistiche alla psicoterapia, e per disperazione ha anche tentato d'imbottirsi la bocca con un panno bagnato. Tuttavia, vi sono prove evidenti che il bruxismo è collegato con la nutrizione, e che coloro che ne soffrono non hanno tanto bisogno di psichiatri o di dentisti, ma piuttosto di maggiori dosi di calcio e acido pantotenico. Anche se molti genitori tendono a considerare il bruxismo come una fase passeggera (qualcosa che passerà col crescere), questo difetto non andrebbe sottovalutato e trascurato. Un odontoiatra, Peter Schaerer di Berna, ha riferito sul Journal of American Dental Association, che le persone che digrignano i denti durante il sonno o durante momenti di tensione possono causare danni ai propri denti, alle gengive, alle articolazioni mascellari ed ai muscoli. Anche se questa abitudine è generalmente associata ai bambini, pure gli adulti contribuiscono a questa cacofonia notturna ed hanno i loro problemi particolari di gengive e malassorbimento. Difatti, la percentuale degli adulti che digrignano i denti, che è del 59%, è uguale a quella dei bambini che presentano lo stesso difetto.
Queste statistiche sono state rivelate da George Reding, assistente di psichiatria presso L'università di Chicago, e da John Robinson, professore associato presso la Walter T. Zoller Dental Memorial Clinic della stessa Università. Questi due sanitari condussero ricerche sul bruxismo attraverso visite odontoiatriche, colloqui con pazienti e tecniche sperimentate nei laboratori del sonno, e riferirono le loro scoperte in una relazione sull'University of Chicago News Release. Mentre psichiatri, psicologi e dentisti che hanno osservato il fenomeno del digrignamento notturno dei denti spesso ne avevano concluso che dovesse venire collegato con malattie mentali o turbe emotive, secondo il dottor Reding non vi sono prove dimostrabili di questa correlazione. Test psicologici di gruppi di "digrignatori" e "non digrignatori" reclutati tra gli studenti dell'Università di Chicago, non hanno dato alcuna indicazione che i primi fossero più disturbati emotivamente dei secondi. Secondo una comunicazione su Dental Survey di Emanuel Cheraskin e Marshall Ringsdorf, il bruxismo è un problema di nutrizione, che può venir in gran parte risolto con l'aumento delle dosi di calcio e acido pantotenico, la vitamina antistress. Allo scopo di esplorare la relazione tra dieta e digrignamento notturno dei denti, i due ricercatori delinearono un programma multiplo di test, servendosi di un gruppo di dentisti e delle loro mogli. Ciascuno accettò di compilare un "indice della salute orale", sotto forma di questionario, di cui una delle domande era: "Stringete o digrignate i denti, o siete consapevoli di come chiudono i vostri denti, da sveglio o nel sonno?". Ciascuno fu invitato anche a completare un questionario destinato a rivelare il contenuto nutritivo della sua dieta. Quindi il gruppo assistette a lezioni di dietetica. Un anno più tardi, ciascun partecipante riempì nuovamente il primo e il secondo questionario. Mediante questa tecnica fu possibile mettere in relazione le abitudini dietetiche con quella di digrignare i denti. Delle 94 persone osservate, 58 (primo gruppo) non presentavano sintomi di bruxismo alla prima visita. Alla seconda visita, riferirono un'assunzione più alta di proteine, calcio, vitamine A, B1, B2, niacina, C, B6, acido pantotenico, iodio e vitamina E. Neppure alla seconda visita, un anno più tardi, venne riscontrato alcun caso di bruxismo. Vi furono cinque persone del secondo gruppo che non avevano migliorato minimamente la propria dieta e avevano preso l'abitudine di digrignare i denti durante il periodo dell'esperimento. Sedici persone del terzo gruppo erano "digrignatori" già all'inizio del periodo di osservazione. Questi 16 volontari avevano aumentato l'assunzione di calcio, vitamina A e C, acido pantotenico, iodio e vitamina E. Senza altri mutamenti nella loro situazione, alla fine di un anno erano riusciti a dormire tranquillamente senza più disturbare il sonno dei propri familiari col rumore di un'impastatrice di cemento notturna. Fatto ancora più importante, i loro denti non si erano allentati negli alveoli e non erano caduti. Le 15 persone del quarto gruppo, che erano "digrignatori" prima dell'esperimento e rimasero "digrignatori" anche dopo, avevano aumentato l'assunzione della vitamina A e C, di iodio e di vitamina E. Quali erano dunque le sostanze nutritive utilizzate dal terzo gruppo e non dal quarto? Il calcio e l'acido pantotenico. Ma perchè queste due sostanze dovrebbero essere implicate in un fenomeno che disturba i sonni di milioni di persone durante ogni notte dell'anno?
E' ben noto che il calcio è di vitale importanza per dare forza alle ossa. Ma i nervi, i muscoli e vari organi del corpo abbisognano anch'essi di una razione regolare di calcio per la loro salute. Il calcio è utilizzato dai nervi ed è l'elemento chiave per trasportare impulsi lungo i nervi da una parte all'altra del corpo. Il calcio è urgentemente richiesto dai muscoli; la sua mancanza causerà crampi e convulsioni. Che cos'è una convulsione? Una violenta e involontaria serie di contrazioni dei muscoli volontari. E che cos'è, il bruxismo? Un movimento involontario dei muscoli della bocca che porta i denti ad unirsi in un movimento di macinazione. E per quel che riguarda l'acido pantotenico? Quando venne indotta in soggetti volontari una carenza di questa vitamina del gruppo B, tra i sintomi si annoveravano mal di testa, stanchezza, disturbi gastrointestinali, torpore alle estremità e anche crampi muscolari e ridotta coordinazione motoria. "Così, notarono Cheraskin e Ringsdorf, sembrerebbe degno di nota il fatto che nei soggetti che cessarono di presentare il bruxismo, aveva avuto luogo un aumento di apporto di acido pantotenico". L'acido pantotenico è conosciuto come la vitamina antistress, essenziale al buon funzionamento delle ghiandole surrenali. Quando l'apporto di acido pantotenico è scarso, le surrenali non funzionano a dovere e non possono produrre cortisone e altri ormoni importanti. La mancanza di questi ormoni tenderà vulnerabili a situazioni stressanti. Tali situazioni consumano le riserve corporee di acido pantotenico che è parte della complessa molecola del coenzima A, la sostanza essenziale per la produzione di acetilcolina. L'acetilcolina è il trasmittente chimico nelle terminazioni nervose autonome che regolano l'attività motoria. I digrignatori dunque non sono candidati al lettino dello psichiatra a causa dell'irritabilità e della tensione nervosa causata da questa malattia. Una buona cura di acido pantotenico può essere proprio ciò di cui hanno bisogno per risolvere il bruxismo e i conseguenti sintomi di instabilità nervosa e comportamentale.

Venerdì, 08 Marzo 2019 13:05

PROPRIETA’ CURATIVE DELLA PILOSELLA.

07-02-2017

La pilosella venne segnalata per la prima volta dalla Badessa di Bingen, Santa Hildegarda nel XII secolo e da allora viene utilizzata per le sue proprietà diuretiche. Da segnalare che solamente la pianta fresca esplica al massimo l’attività diuretica (raddoppia il volume di urina). All’attività diuretica si associa inoltre un’azione antiurica, declorurante ed antisettica e, in particolare, vengono favoriti i processi riparativi a livello della mucosa vescicale. Parte delle proprietà sono dovute all’umbelliferone, un’idrossicumarina dotata di reale attività antibiotica, soprattutto nei confronti della Brucella. Trova pertanto indicazione nel trattamento di cistiti ricorrenti, colibacillosi, litiasi urinaria, ma anche cellulite e sovrappeso. La pilosella esercita inoltre un’azione coleretica e colagoga che sostiene e favorisce l’attività antitossica del fegato.

08-03-2019

Due sono le vie attraverso cui ricaviamo energia dal cibo. Una è quella dei carboidrati, sempre più incoraggiata dall’industria alimentare, l’altra è quella dei grassi saturi, scoraggiata dalle linee guida nutrizionali, divulgate da media ed enti governativi. Le direttive emanate nel 2016 dal Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) consigliano agli americani di consumare grassi saturi in quantità inferiori al 10% delle calorie quotidiane, nonostante gli studi clinici effettuati a supporto di questa affermazione risalgono agli anni Cinquanta e siano stati da tempo ampiamente smentiti dalla scienza. In questo articolo metteremo a confronto cosa realmente succede al corpo quando brucia e ricava energia dai carboidrati e cosa succede quando brucia e ricava energia dai grassi. Per farlo, abbiamo bisogno di capire come questo processo avviene. La trasformazione “alchemica” che ci permette di convertire in energia il cibo che mangiamo e l’ossigeno che è nell’aria che respiriamo, avviene nei mitocondri, milioni di organelli situati all’interno delle cellule. Si stima che una persona adulta ne possieda 10 milioni di miliardi. Distribuiti in maniera diversa, sono più numerosi nelle cellule degli organi che sono sottoposti ad una maggiore attività metabolica: cervello, fegato, reni, muscoli e non ultimo il cuore, dove ogni sua cellula contiene più di cinquemila mitocondri.
Non stupisce quindi l’affermazione del Dottor Joseph Mercola nel suo libro “Trasforma il grasso in energia”, secondo cui, “quando grandi quantità di mitocondri smettono di funzionare come dovrebbero, è impossibile restare in salute”. Studi recenti sembrano infatti confermare due punti fondamentali:

1. il ruolo cruciale dei mitocondri nelle disfunzioni del metabolismo che ci rendono vulnerabili alle svariate malattie croniche nonché al cancro;

2. il cibo che ingeriamo ogni giorno ha un effetto diretto sulla salute dei mitocondri.

Meritano dunque di essere conosciuti un pò più da vicino.

• I mitocondri sono responsabili del 90% dell’energia quotidiana che ci serve per vivere. Generano ogni giorno, attraverso il processo della respirazione cellulare, quasi 50 chili di molecole di energia, le ATP (adenosina trifosfato).

• Controllano la naturale morte delle cellule (apoptosi) affinché vengano correttamente eliminate prima che contribuiscano allo sviluppo di malattie croniche.

• Riparano danni nel DNA provenienti da fonti di radiazioni esterne.

• Producono radicali liberi. Durante il processo di sintesi delle ATP, nei mitocondri si liberano il 90% dei radicali liberi (ROS), presenti nell’organismo. Vedremo più avanti quanti, in che modo e come limitare il più possibile questa produzione.

Dato che la presenza di mitocondri nel nostro organismo cala con l’avanzare dell’età è bene mettere in atto tutte le strategie possibili per far in modo che il corretto funzionamento, la riproduzione e l’eliminazione di quelli danneggiati, sia sempre ottimale. Qual è la via giusta per prendersi cura dei propri mitocondri? La domanda ha una risposta molto semplice: fornire loro il miglior carburante. Un’alimentazione ricca di carboidrati e povera di grassi stimola il corpo a produrre più radicali liberi. I radicali liberi sono importanti al fine della nostra salute a patto che vengono prodotti nel giusto equilibrio. Un’alimentazione a base di carboidrati crea radicali liberi in eccesso con potenziale danno ai tessuti, alle membrane cellulari, alla struttura del DNA e creando un’impennata del livello di infiammazione, madre di tutte le malattie. Quando, al contrario, l’organismo e in modo particolare le cellule ricavano energia dalla combustione di grassi, la produzione di radicali liberi si riduce del 30-40%. Un modo per garantire alle cellule minore stress ossidativo e ridurre di conseguenza il livello di infiammazione.
Oltre un eccesso di radicali liberi, l’infiammazione aumenta a seguito della perdita della sensibilità all’insulina da parte dei recettori delle cellule: è il fenomeno dell’insulino-resistenza, anticamera del diabete. Ogni tipo di zucchero o carboidrato che ingeriamo, si trasforma attraverso il processo della glicolisi, in glucosio che crea un rapido aumento della glicemia nel sangue. Il pancreas secerne allora l’ormone dell’insulina che ristabilisce l’equilibrio, togliendo lo zucchero dal flusso sanguigno e consegnandolo alle cellule. Le uniche cellule che usano come carburante il glucosio sono i neuroni, le cellule della fibra bianca dei muscoli e i globuli rossi. Tutte le altre cellule ricavano energia dalla combustione dei grassi.
Come gestisce il corpo un’alimentazione basata sul 60% di carboidrati, qual è attualmente quella occidentale? Costringe l’insulina ad un super lavoro, ma essendo un ormone pro-infiammatorio, averla continuamente in circolo, significa favorire l’infiammazione sistemica e cronica. L’insulina, dopo aver consegnato il glucosio alle cellule dei muscoli e ai neuroni, per stoccare il surplus, obbliga le altre cellule a ricavare energia attraverso la glicolisi anziché attraverso i grassi e forza il fegato ad incamerare lo zucchero in eccesso. Il fegato è costretto così a convertire il glucosio in trigliceridi e particelle di colesterolo piccole, dense e facilmente ossidabili (LDL).
Tutti gli zuccheri che non servono al corpo vengono quindi continuamente immagazzinati sotto forma di grasso visibile nella pancia, nei fianchi e nelle cosce. Ciò impedisce la naturale capacità dell’organismo di bruciare grassi svuotando le sue riserve, nonché di perdere i chili in eccesso. Non è solo una questione estetica: questo meccanismo ci espone al rischio di malattie cardiache, diabete, obesità, infiammazione cronica e a molto altro. Al contrario, adottando un regime alimentare povero di carboidrati e ricco di grassi sani, il fegato è stimolato a produrre particelle di colesterolo grandi e soffici (HDL) per produrre gli acidi biliari necessari per digerirli. I chetoni derivati dalla combustione dei grassi sani e non utilizzati non vengono immagazzinati dalle cellule con il risultato di farci ingrassare, ma espulsi attraverso le urine.
Il passaggio da una dieta che brucia zuccheri ad una dieta che brucia grassi comporta il rilascio nel sangue di chetoni o corpi chetonici. Queste molecole vengono prodotte dai mitocondri del fegato ed essendo idrosolubili, attraversano con facilità le membrane delle cellule e oltrepassano anche la barriera emato-encefalica portando nutrimento al cervello. Il nostro organismo è una macchina chimica perfetta e i chetoni dovevano poter garantire al corpo e al cervello dell’uomo un carburante di riserva nei vari periodi di carestia che si è trovato a vivere durante tutta la sua evoluzione. Senza chetoni nel sangue potremo sopravvivere in assenza di cibo solo un paio di settimane, mentre quando il corpo attinge energia dalla combustione di grassi, la possibilità di sopravvivenza passa a più di un mese.
Quando si parla di chetoni è bene fare una precisazione: la chetosi nutrizionale di cui stiamo discutendo non è da confondere con la chetoacidosi diabetica, seria complicazione metabolica del diabete 1. Nella chetosi nutrizionale i chetoni:

• Svolgono un ruolo importante nel contenere l’infiammazione. Riducono le citochine proinfiammatorie ed aumentano quelle antinfiammatorie.

• Consentono di consumare meno proteine grazie alla loro somiglianza con gli aminoacidi a catena ramificata.

• Hanno una funzione protettiva sulle cellule cerebrali prevenendo malattie neurodegenerative.

• Aumentano la produzione di mitocondri nel cervello aiutando l’organismo a migliorare la sua capacità di produrre energia.

IN CONCLUSIONE

Nonostante sia radicata la credenza secondo cui senza carboidrati non riusciremmo a stare in piedi, in realtà non ne abbiamo un eccessivo bisogno. Non sono essenziali per il nostro organismo. Per milioni di anni il consumo di grassi ha rappresentato il 75% della dieta dell’Homo Sapiens. Solo il 5% era costituito da carboidrati provenienti soprattutto da frutta e bacche e limitato ad un breve periodo dell’anno. Oggigiorno grassi e carboidrati si sono scambiati di posto: consumiamo carboidrati per un 60% e grassi per un 20%. I grassi più salutari sono addirittura, lo abbiamo visto, relegati al 10% a seguito della demonizzazione perpetrata nei decenni scorsi. 
L’effetto di tutto questo? È sotto gli occhi di tutti: un aumento dell’obesità pari al 500%, casi di diabete quadruplicati, malattie cardiovascolari che hanno raggiunto un’incidenza del 40%. In poche parole, come afferma il Dottor Mercola, “stiamo assistendo al fallimento delle linee guida e al tracollo della salute pubblica”.

08-03-2019

Insalata in busta, un alimento tutt'altro che salutare, anzi, addirittura pericoloso. Uno studio, condotto dall'Università di Torino, ha rivelato che nelle insalate già tagliate e confezionate sono presenti tanti microrganismi e batteri. Oltre a essere decisamente poco amiche dell'ambiente visto l'imballaggio in plastica, le insalate confezionate sono anche ricettacolo di batteri. Inoltre, secondo lo studio, si deteriorano facilmente, anche prima della data di scadenza indicata sulla confezione. Ciò avviene perché non essendoci conservanti, la freschezza è garantita solo dalle basse temperature e dalla busta stessa. Peccato però che dal confezionamento al consumo possano trascorrere anche diversi giorni.
"Durante tutto il percorso dal confezionamento alla vendita nei supermercati, l’insalata dovrebbe essere sempre conservata ad una temperatura costante e al di sotto degli 8°. Una condizione non sempre facile, visto che i banchi refrigerati dei supermercati non hanno una temperatura uniforme, come i frigoriferi domestici", riporta NotizieBenessere. Inoltre, secondo lo studio, anche se prima di essere confezionate le insalate vengano lavate due volte in speciali vasche a ricambio d’acqua continuo, ciò non basta a eliminare tutti i batteri. Questi ultimi, anche se presenti in piccole quantità, al minimo innalzamento della temperatura si moltiplicano, attivando un processo di fermentazione che fa gonfiare i sacchetti. Per questo, se vediamo delle buste gonfie dobbiamo assolutamente evitare di acquistarle, pur non essendo scadute. Va detto però che non tutti i batteri e microrganismi riscontrati nelle insalate confezionate sono pericolosi ma uno dei potenziali rischi è costituito dal Toxoplasma gondii, responsabile della toxoplasmosi, particolarmente dannoso per le donne in gravidanza. Il consiglio è quello di lavare molto bene l'insalata, sia quella pronta che quella che prepariamo noi, aggiungendo all’acqua un pò di bicarbonato di sodio ma soprattutto, cerchiamo di acquistare prodotti a km0 al mercato, e spendiamo due minuti in più a farla da noi, evitando di produrre rifiuti in plastica.

Mercoledì, 06 Marzo 2019 19:10

LATTE, LATTICINI E LE SOFFERENZE DELL’UOMO.

07-03-2019

CALCOLI RENALI E LATTICINI

I calcoli renali dipendono principalmente dall’eccesso di calcio nel latte. I calcoli renali sono così comuni nel mondo occidentale, che si stima che 12 persone su 100 avranno almeno un calcolo nella loro vita. Invece un africano che vive in condizioni tribali raramente ne è affetto e la malattia è quasi sconosciuta nella tribù Bantù. Se l’urina è sovrassatura di sali di calcio, provoca precipitazioni e cristallizzazioni. Questi cristalli possono rimanere intrappolati negli stretti tubuli renali e, di conseguenza, crescono fino a formare calcoli.
Il dottor Philip Henneman ha notato che i calcoli ai reni si presentano spesso in persone che bevono un quarto di litro di latte al giorno e ha inoltre trovato che queste stesse persone non hanno più avuto calcoli dopo avere smesso il consumo di latte. Il dottor Prein, professore di urologia alla famosa Università di medicina di Boston, ha fatto un esame completo di 1.000 calcoli renali, scoprendo che il 90% conteneva calcio. Il dottor Prein ritiene che l’assunzione di troppo calcio, cioè di cibi che contengono quantità elevate di calcio come il latte e i formaggio, possa essere una delle cause dei calcoli renali.
Ci sono diversi fattori dietetici che contribuiscono alla formazione di calcoli: le proteine animali, i carboidrati raffinati, il legumi (se mangiati in eccesso), diete con poche fibre, l’acqua, l’alcol, ma il latte è il principale responsabile. Inoltre, i calcoli renali vecchi inevitabilmente favoriscono le insufficienze renali e il cancro.

CALCOLI ALLA CISTIFELLEA

I calcoli alla cistifellea sono fondamentalmente causati da un alto consumo di grassi, soprattutto grassi riscaldati come il burro, grassi idrogenati (margarina) e oli fritti. Un’alta percentuale di persone con calcoli alla cistifellea non ha dolori. Di solito, i calcoli si scoprono durante l’autopsia o le analisi. Per le donne è maggiore la probabilità di avere dei calcoli alla cistifellea. Nella maggior parte dei paesi occidentali, circa una donna su 8 ha questi calcoli, che si formano silenziosamente e vengono scoperti accidentalmente. Spesso li si diagnosticano molto tardi, perché sopraggiungono un ittero, un cancro alla cistifellea o al fegato o delle coliche molto dolorose. Il tipo più comune di calcoli è costituito per la maggior parte di colesterolo. Più colesterolo c’è nella bile, più alta è la tendenza a formare calcoli alla cistifellea.

LATTE E ASMA

Un bevitore di latte non potrà mai riuscire a guarire dall’asma. Gli asmatici di solito sono dei grandi bevitori di latte. Né i pazienti né i medici hanno saputo riconoscere i dannosi effetti del latte sull’asma e muoiono di asma pensando che non c’è una cura per l’asma e senza capire qual è il vero colpevole. I casi di asma possono migliorare immediatamente escludendo il latte o i latticini dalla dieta. È la capacità del latte di produrre allergie e muco che causa lo sviluppo dell’asma. Il latte è, notoriamente, un cibo altamente allergenico.
I medici allopatici e ayurvedici inducono i loro pazienti malati di asma a drogarsi con alte dosi di latte e in questo modo li spingono nella tomba invece di curarli. Molti pazienti, escludendo i latticini dalla loro dieta, o sono guariti completamente o hanno tratto un certo sollievo, dopo tanti anni di problemi respiratori.
Quando hanno seguito delle pratiche che giovano alla salute, come respirare aria fresca, fare esercizio fisico, rilassamento e un semplice regime dietetico naturale, il loro corpo ha eliminato degli spessi e collosi depositi di muco per alcuni giorni. Tale eliminazione libera il petto e l’affanno sparisce, ma l’asma può ritornare se si torna ai latticini e a uno stile di vita errato.

LATTE E MALATTIE GASTROINTESTINALI

I danni arrecati all’apparato digerente dal latte vanno al di là del riparabile. Alcune delle più comuni malattie digestive provocate dal latte sono:

- FLATULENZA: la presenza di gas è molto comune tra i consumatori di latticini. Questi gas hanno un odore ripugnante. Errate combinazioni di cibo accentuano il problema. Spesso i gas si formano silenziosamente e possono essere notati dall’addome gonfio e tirato e la pressione del gas è così forte che possono esserci degli infarti. I gas sono dovuti fondamentalmente all’intolleranza al lattosio o ad altri alimenti e a combinazioni errate.

- STITICHEZZA GRAVE: il latte è un cibo estremamente costipante a causa del suo basso contenuto di fibre. È impossibile curare la stitichezza senza togliere i latticini dalla dieta. La stitichezza del latte è difficile da curare, e in alcuni casi impossibile. Per quanta frutta e verdura si possono mangiare, nessun trattamento può ripristinare un movimento normale dell’intestino. Intendo non solo il passaggio delle feci, ma una loro fuoriuscita idonea, cioè una defecazione soddisfacente. Le emorroidi sono quasi sempre il prodotto della stitichezza cronica.

- DISSENTERIA: i latticini non digeriti e la putrefazione delle proteine irritano costantemente l’intestino, creando catarro intestinale; l’infiammazione così fornisce un buon terreno per lo sviluppo di infezioni e di parassiti che danneggiano la mucosa intestinale. Il ritardo nella diagnosi porta a una cattiva assimilazione degli elementi nutritivi e dei minerali, perdita di peso, deficienze nella crescita, steatorrea (perdita di proteine a livello intestinale) ed emorragie evidenti o, più frequentemente nascoste, che conducono all’anemia. Sono state notate anche enterocoliti e coliti ulcerative.

IL LATTE FA PEGGIORARE TUTTE LE ULCERE

Vari studi hanno recentemente dimostrato che il latte, una volta considerato il rimedio per le ulcere, è un ulteriore agente deteriorante e sicuramente pericoloso. I pazienti di ulcera, nonostante un forte consumo di latte, peggiorano costantemente giorno dopo giorno, anno dopo anno. Il forte consumo di latte spinge i pazienti di ulcera verso gravi malattie come problemi di cuore, calcoli renali, artriti, tumori e cancro.
Il latte è usato nella cura dell’ulcera principalmente a causa della sua capacità di neutralizzare l’acido, il basso contenuto di fibre e la sua grassa morbidezza. Sebbene sia usato per trarre sollievo, il suo uso porta a terribili conseguenze e alla fine si dimostra dannoso, essendo un fattore che aggrava le condizioni dell’ulcera.

LATTE E CATARATTE

L’epidemiologo Paul Jacques del Centro di ricerca sulla nutrizione umana nell’invecchiamento (USDA) di Boston, ha mostrato nei suoi studi che il galattosio (uno zucchero contenuto nel latte), che normalmente è metabolizzato velocemente da un enzima, distrugge il cristallino dell’occhio nelle persone che hanno deficienza di questo enzima, in modo da portare alla cataratta.

07-03-2019

La piroluria è una disfunzione metabolica, la conseguenza di un difetto genetico che provoca, in persone predisposte, l’aumento spropositato di una certa sostanza nel sangue chiamata criptopirrolo. Questa sostanza viene prodotta di solito in conseguenza ad uno stato di stress, principalmente emotivo. I criptopirroli (KP) hanno la caratteristica di legarsi alle molecole di vitamina B6 e zinco che si trovano nel sangue ed essere espulsi attraverso le urine. Quando i KP sono in quantità abnorme, è abnorme anche l’espulsione di queste due sostanze vitali. Da qui nasce la miriade di sintomi che la deficienza di queste due sostanze provoca. L’incidenza di piroluria è alta in alcune categorie di persone: schizofrenici (27%), depressi (20%), autistici (20%), affetti da sindrome bipolare (20%), popolazione generica (10%). Anche alcolisti e persone generalmente dipendenti da sostanze varie quali droghe, sonniferi e tranquillanti sembrano avere un’alta incidenza di piroluria.
La piroluria è una “malattia” molto controversa. Questo deriva dal fatto che il medico convenzionale, nella maggior parte dei casi, non ne ha mai sentito parlare, mentre al tempo stesso è ben nota a professionisti orientati alla medicina complementare. Visto che le metodologie di queste due pratiche mediche sono spesso diametralmente opposte troveremo, nella maggior parte dei casi, i medici tradizionali negare l’esistenza della piroluria e affermare che, siccome non ci sono dimostrazioni scientifiche a tal riguardo, essa non esiste. I medici complementari (naturopati, medici ortomolecolari, nutrizionisti ecc.) invece spesso la conoscono e trattano con risultati sorprendenti.
Da ricerche da me eseguite si è riscontrato che effettivamente la piroluria non è menzionata come “malattia” nelle liste ufficiali delle malattie e disfunzioni usate dai medici convenzionali italiani. Per questo motivo è comprensibile la "diffidenza" dei medici convenzionali. Quello che non è comprensibile, dal mio punto di vista, è la negazione dell’esistenza di qualcosa dimostrabile e curabile, anche se non rientra nelle liste e nelle metodologie ufficiali. Ritengo che un buon medico dovrebbe prendere atto e accettare ciò che fa star meglio il suo paziente, anche se questo rimedio non rientra nelle sue pratiche di routine, soprattutto se questo rimedio non implica l’uso di farmaci, ma bensì semplici supplementi nutritivi. Sono sicuro che qualche dottore certamente sarebbe felice di impiegare una metodologia che, seppur diversa dalla sua normale pratica, faccia star meglio il paziente, ma l’esperienza di molte persone è stata di negazione e ostruzione, pur mettendo di fronte a loro risultati di laboratorio e netti miglioramenti delle condizioni di salute.
Scoprii che era correlata in qualche modo all’autismo e alla schizofrenia, che poteva provocare sintomi davvero seri. Che una delle caratteristiche principali delle persone che soffrono di questa disfunzione è l’estrema difficoltà a gestire lo stress, soprattutto emotivo. Tentai di mettermi in contatto il più possibile con persone che potessero darmi informazioni al riguardo e ho usato soprattutto Internet a questo scopo. 
Ma neanche farlo apposta, mi capitò dopo qualche giorno una paziente che aveva questo tipo di disturbo. Durante le mie ricerche mi accorsi che questa malattia poteva essere migliorata attraverso l’assunzione di semplici supplementi nutritivi. Consigliai a questa paziente l’assunzione di alcune sostanze, nello specifico vitamina B6, zinco e degli oli omega-6 (olio di enotera). Il giorno successivo la paziente mi chiamò riferendomi di essersi svegliata il giorno successivo sentendosi molto più riposata, rilassata, mentalmente leggera ed energica. Non potete immaginare la mia contentezza per averla aiutata dopo anni di sofferenza.
La semplice terapia supplementativa varia a seconda dei singoli casi per quanto riguarda dosaggi, tipologia e modalità di somministrazione. I fattori di cui tenere conto sono di solito età, peso corporeo, caratteristiche fisiche, interazioni con altri supplementi o medicinali ecc. Si sconsiglia di tentare la via dell’auto-terapia soprattutto se si è in cura farmacologica o se si soffre di altri problemi fisico-psichici, ed è sempre meglio farsi seguire da un esperto capace e al corrente delle tecniche di somministrazione di supplementi e soprattutto che non neghi l’utilità di queste pratiche. La paziente da circa due anni ha cominciato la terapia supplementativa e la sua salute è migliorata di settimana in settimana fino a stabilizzarsi ad un livello ottimale.

Mercoledì, 06 Marzo 2019 14:57

RIMEDI NATURALI PER LA CURA DELLA BRONCHITE.

07-03-2019

• Mescolare mezzo cucchiaino di zenzero con mezzo cucchiaino di pepe e chiodi di garofano. Questa combinazione può essere mescolata con un pò di miele per renderla più appetibile. Ci sono composti nello zenzero, pepe e chiodi di garofano che aiutano a ridurre la febbre e migliorare l’immunità della persona che soffre di bronchite.

• Aggiungere mezzo cucchiaino di curcuma in un bicchiere di bevanda vegetale e bere tre volte al giorno. Questo rimedio naturale per la bronchite nei bambini è più efficace quando assunto a stomaco vuoto.

• Tritare le mandorle e mescolare questa polvere in un bicchiere di succo d’arancia. Bere ogni sera prima di dormire.

• Gargarismi di acqua salata possono aiutare a sciogliere il catarro e ridurre la costrizione che si può sentire nel petto.

 

18-12-2016

Il selenio è un minerale-traccia essenziale per la salute, e ancora oggi, purtroppo, poche persone sono consapevoli della sua importanza. Recentemente, è stato confermato uno studio iniziato nel 2005 condotto dai ricercatori dell’University of North Carolina (UNC) in cui è stato confermato che i soggetti con artrosi del ginocchio avevano bassi livelli di selenio nel sangue. Dai risultati della ricerca, che ha coinvolto 940 persone, è stato rilevato che un aumento di selenio nell’organismo portava a un netto miglioramento della condizione. Mentre i soggetti con livelli più bassi del normale di selenio avevano un rischio più elevato di osteoartrite in una o entrambe le ginocchia.
"Siamo molto entusiasti di questi risultati, perché nessuno aveva mai misurato il selenio nel corpo in questo modo in relazione all'artrosi, "ha dichiarato l’autore dello studio, il Dr. Joanne Jordan. "I nostri risultati suggeriscono che potremmo essere in grado di prevenire o ritardare l'artrosi del ginocchio, e possibilmente anche altre condizioni simili, aumentando la quantità di selenio nell’organismo. Questo è importante perché questa condizione causa dolori nel camminare, ed è la principale causa di limitazione di attività tra gli adulti nei paesi sviluppati", conclude l’autore.

 

http://www.nutraingredients.com/Research/Low-selenium-linked-to-higher-risk-of-osteoarthritis

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