Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

30-01-2016

La quercetina è un potente antiossidante che si trova in numerosi cibi, tra cui il cappero, l’uva rossa e il vino rosso, la cipolla rossa, il tè verde, il mirtillo, la mela e il sedano. Assumendola si possono risolvere vari problemi come i disturbi cardiaci e vascolari, le infezioni della prostata e le allergie. La quercetina, inoltre, previene i danni del colesterolo, riduce la pressione sanguigna nelle persone che hanno l’ipertensione e alcuni studi sembrano confermare la sua importanza nella prevenzione del cancro. Secondo uno studio del Cnr di Avellino pubblicato on line sulla rivista Leukemia, la quercetina può migliorare l’efficacia dei farmaci antitumorali nella cura della leucemia: “Mele, cipolle, tè e vino rosso: sono alimenti o farmaci?”
Alimenti con effetti salutistici potrebbero essere la risposta e, questo, grazie alla presenza di una piccola molecola ad attività antiossidante, la quercetina, che secondo uno studio dei ricercatori dell’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino potrebbe essere utilizzata nella terapia delle leucemie. Questa molecola ha una potenziale attività chemiopreventiva, cioè la capacità che hanno le molecole naturali o sintetiche di bloccare il processo di trasformazione di una cellula normale in tumorale. “Molte sostanze ad attività chemiopreventiva sono presenti in alimenti di origine vegetale, come frutta e verdure e in bevande come tè e vino rosso”, sottolinea Gian Luigi Russo, ricercatore presso l’Isa-Cnr e responsabile della ricerca. “Queste sostanze agiscono per lo più da antiossidanti, contrastando gli effetti deleteri dei radicali liberi sulle cellule dell’organismo e modulando l’attività di numerosi enzimi responsabili della detossificazione da sostanze cancerogene assunte dall’esterno (nell’ambiente, attraverso l’alimentazione ecc.)”. Uno dei sistemi che gli organismi viventi hanno messo in atto nel corso dell’evoluzione per liberarsi di cellule danneggiate, quali quelle pre-cancerose, che si generano all’inizio del processo di trasformazione tumorale, è il “suicidio cellulare” programmato, comunemente noto come apoptosi. In altre parole, l’organismo si attiva per liberarsi di cellule proprie irreversibilmente danneggiate, a vantaggio della sopravvivenza dell’intero organo o individuo. Questo spiega come molti farmaci antitumorali di nuova generazione agiscano su meccanismi che attivino l’apoptosi cellulare. Tuttavia, alcuni tumori, e tra questi diverse leucemie, sono resistenti sia alla normale chemioterapia sia a farmaci pro-apoptotici in fase sperimentale (ad esempio TRAIL, un ligando per un recettore apoptotico presente sulla membrana cellulare).
“Noi abbiamo dimostrato su un ampio spettro di linee cellulari derivate da leucemie umane”, spiega Gian Luigi Russo, “che la quercetina è in grado di sensibilizzare tali cellule all’azione di farmaci pro-apoptotici”. “Più in dettaglio”, aggiunge Maria Russo, partecipante alla ricerca, “la quercetina predispone al suicidio indotto da farmaci pro-apoptotici, che in assenza di questa molecola sono assolutamente inefficaci nei confronti delle stesse cellule”. “Sebbene lo studio abbia fornito dati incoraggianti”, fa notare il ricercatore dell’Isa-Cnr, “è stato eseguito su linee cellulari, mentre un lavoro parallelo, condotto in collaborazione con Silvestro Volpe del Reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di Avellino, su cellule di pazienti affetti da leucemie mieloidi e linfoidi conferma l’attività sinergizzante della quercetina quando è associata a farmaci antitumorali”. “Le concentrazioni di quercetina utilizzate nel nostro studio”, conclude Gian Luigi Russo, “sono compatibili con l’assunzione dietetica giornaliera della molecola nell’ambito di un regime alimentare ricco di frutta e verdura. Inoltre, la scarsa tossicità della quercetina anche quando somministrata a elevati dosaggi lascia ben sperare per la progettazione di test clinici sia per l’utilizzo della molecola come farmaco sia come agente chemiopreventivo”.

 

http://www.nature.com/leu/journal/v21/n5/full/2404610a.html

Sabato, 20 Ottobre 2018 06:26

BOSWELLIA: UN ANALGESICO NATURALE.

13-01-2016

Attenua il dolore, migliora la rigidità e la mobilità articolare e potrebbe ridurre il bisogno di farmaci. È la boswellia (Boswellia serrata), una pianta appartenente alla famiglia delle Burseracee originaria di India e Cina, a dare questi risultati. In un recente studio la somministrazione di estratto di boswellia (125 mg in un unico dosaggio) ha dimostrato la sua attività analgesica in soggetti sottoposti a modello di dolore meccanico. I partecipanti allo studio che avevano assunto l’estratto hanno sperimentato un miglioramento significativo della soglia della tolleranza al dolore rispetto al placebo, dopo 1, 2 e 3 ore dalla somministrazione. L’attività analgesica della boswellia si aggiunge a quella antinfiammatoria che ha fornito ottimi risultati in numerose malattie croniche di natura infiammatoria. La capacità di controllare i processi flogistici, infatti, è stata osservata nell’artrosi in particolare del ginocchio e nell’artrite reumatoide, con ottimi profili di sicurezza. La boswellia ha avuto buoni risultati anche in malattie infiammatorie intestinali come colite ulcerosa e morbo di Crohn, emicrania, cefalea a grappolo e nell’asma. La sua resina, ottenuta per incisione, è utilizzata da secoli come incenso nelle cerimonie culturali e religiose e, in passato dagli egiziani, per l’imbalsamazione dei corpi dei defunti. La frazione terpenoide della resina della boswellia contiene l’AKBA (acido acetil-11-cheto-beta-boswellico), acronimo che raggruppa i nomi degli acidi che sono i principali costituente attivi.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4175880/

21-10-2018

Con il progresso della ricerca scientifica anche le cure mediche hanno fatto grandi passi avanti, ma non tutti sono convinti che queste siano sempre la soluzione ad una malattia. Oggi voglio condividere con voi la riflessione del medico statunitense Ken Murray. La sua testimonianza, che riporto sotto, ruota attorno all'accettazione della morte, all'accanimento terapeutico e alla sua esperienza come medico e professore presso la facoltà di medicina familiare dell’University of Southern California.

Anni fa Charlie, uno stimato ortopedico nonché mio mentore, scoprì di avere un nodulo allo stomaco. Si fece visitare da un chirurgo e gli fu diagnosticato un tumore al pancreas. Il chirurgo era uno dei migliori degli Stati Uniti: per quel tipo di tumore aveva inventato una nuova cura, capace di triplicare (dal 5 al 15%) le probabilità che un paziente sopravvivesse per altri cinque anni, sia pure con un peggioramento della qualità della vita. Charlie, 68 anni, non era interessato. Il giorno dopo tornò a casa, chiuse il suo studio e non rimise più piede in ospedale. Voleva solo passare il tempo con la famiglia e stare il meglio possibile. Dopo pochi mesi morì a casa sua, senza mai essersi sottoposto a cicli di chemioterapia o a interventi chirurgici. Anche i medici muoiono, ma non lo fanno come le altre persone. Non ricevono più cure di altri. Quando tocca a loro, tendono ad affrontare il momento con serenità. Sanno esattamente cosa sta per succedere, sanno quali scelte hanno a disposizione. Di norma possono accedere a tutte le cure mediche che desiderano, ma preferiscono non farlo. Naturalmente neanche i medici vogliono morire. Ma conoscono la medicina moderna abbastanza bene da sapere quali sono i suoi limiti. Conoscono abbastanza bene la morte e sanno di cosa hanno paura le persone: morire soffrendo e morire da sole. Ne hanno parlato con le loro famiglie. Quindi quando arriva il loro momento vogliono essere sicuri che non ci saranno eroismi, che nessuno all'ultimo istante gli fratturi le costole tentando di resuscitarli con la rianimazione cardiopolmonare.
Tutti i professionisti della medicina hanno visto pazienti sottoposti al cosiddetto accanimento terapeutico, l’uso di tecnologie all'avanguardia su persone gravemente malate e in fin di vita. Non si contano le volte in cui un collega medico mi ha detto: “Promettimi che se mi vedi ridotto così mi uccidi”. Dicono sul serio. Ci sono medici che portano dei medaglioni con la scritta “No code” (nessun codice) per non farsi praticare la rianimazione cardiopolmonare. E c’è chi se l’è fatto tatuare. Secondo uno studio il 90% dei medici ha specificato che non vuole sottoporsi a rianimazione cardiopolmonare in caso di coma cronico. Solo il 25% delle persone comuni ha risposto allo stesso modo. I medici conoscono le conseguenze dell’accanimento terapeutico. Tutti più o meno possono trovare un modo di morire in pace a casa e oggi è più facile gestire il dolore. Le case di cura che assistono i malati terminali cercano di offrire ai pazienti agio e dignità invece di terapie inutili, dando più senso ai loro ultimi giorni di vita. Le ricerche dimostrano sorprendentemente che i pazienti delle case di cura per malati terminali vivono più a lungo di coloro che, con le stesse malattie, si sottopongono a terapie attive.

21-10-2018

La vitamina D aumenta la forza muscolare e preserva la massa magra, secondo uno studio apparso sulla rivista scientifica Osteoporosis International. Lo studio aveva lo scopo di osservare l’effetto della somministrazione di vitamina D sulla funzione muscolare in donne 50-65 enni con carenza di vitamina D. È dimostrato che questa vitamina rappresenta un importante fattore protettivo contro la progressiva riduzione della forza muscolare e la perdita della massa magra nelle donne in postmenopausa. In questo studio in doppio cieco 160 donne sono state divise in due gruppi: 80 hanno ricevuto giornalmente 1000 U.I. di vitamina D le altre 80 un placebo per 9 mesi. Dopo tale periodo i valori ematici della vitamina sono aumentati in maniera rilevante nel gruppo che aveva assunto l’integrazione di vitamina D rispetto al placebo. È stato inoltre parallelamente osservato in tale gruppo l’incremento della forza muscolare e il controllo della progressiva perdita di massa magra che normalmente si verifica nelle donne durante la menopausa.
La vitamina D è un nutriente essenziale per la salute dell’osso e la sua carenza può favorire lo sviluppo dell’osteoporosi attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio. Il trattamento combinato della vitamina D con il calcio è in grado di ridurre la perdita dell’osso e il rischio di fratture vertebrali. Ma la vitamina D ha superato i confini del metabolismo del calcio ed è diventata un fattore determinante in numerose altre condizioni. Decine di migliaia di studi negli ultimi anni la definiscono fondamentale nel ridurre il rischio cardiovascolare, endocrino, immunoinfettivo, oncologico, reumatologico e neurodegenerativo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25956283

20-10-2018

Alcuni virus, come ad esempio quello dell’influenza, possono attecchirsi e sopravvivere sui giocattoli di plastica per molte ore, fino a 24, trasmettendo così infezioni che possono far ammalare i piccoli. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori Richard Bearden e Lisa Casanova, della Georgia State University di Atlanta, pubblicata online sulla rivista The Pediatric Infectious Disease Journal. Gli studiosi hanno fatto degli esperimenti “infettando” un giocattolo in plastica, una piccola rana parlante, con un virus, in un ambiente a 22 gradi celsius a due diverse percentuali di umidità relativa del 60% o del 40%. In queste condizioni - simili a quelle presenti nelle abitazioni domestiche - sono stati in grado di recuperare particelle virali infettive fino a 24 ore dopo la contaminazione, nel primo caso, e fino a 10 ore nel secondo. “Le persone non pensano davvero che sia possibile prendere i virus da oggetti inanimati” spiega Richard Bearden. Inoltre, continua il ricercatore, i bambini corrono maggiori rischi di essere colpiti dalle malattie infettive, perché infilano in bocca le mani e i corpi estranei, e perché il loro sistema immunitario non è ancora pienamente sviluppato”. L’esperto, per ridurre al minimo la possibilità che si sviluppino infezioni, consiglia ai genitori e agli educatori una buona decontaminazione, soprattutto dei giochi che vengono condivisi. Ottimo il candeggio di macchinine, bambole e altri giochi che si usano di frequente in casa e nelle scuole materne o la loro eliminazione dalle sale di attesa dei medici. Per evitare che i giocattoli non diventino serbatoi di malattia.

 

http://journals.lww.com/pidj/Citation/2016/08000/Survival_of_an_Enveloped_Virus_on_Toys.22.aspx

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27144972

https://www.researchgate.net/publication/301897324_Survival_of_an_Enveloped_Virus_on_Toys

20-10-2018

La vitamina C può aiutare a contrastare la leucemia. A sostenerlo uno studio condotto dall’Università di Siena, che individua nella salutare sostanza un aiuto naturale nella lotta a questa malattia. Vitamina C utile, secondo lo studio condotto dai ricercatori senesi e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Cancer Therapy, contro la leucemia promielocitica acuta. Come spiega il professor Giovanni Grasso del Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze dell’Università di Siena: “Sebbene questa leucemia sia, oggi, efficacemente trattata con l’arsenico triossido, sostanza non priva di tossicità, la ricerca dimostra che la vitamina C ad alte dosi è significativamente più efficace dell’arsenico triossido nel distruggere le cellule tumorali in vitro. Questa indagine preliminare di laboratorio pone le basi per gli ulteriori e necessari approfondimenti, al fine di poter verificare la reale efficacia della vitamina C ad alte dosi sui pazienti affetti da questa leucemia”. Un’efficacia che si spingerebbe anche oltre, conclude Grasso, coinvolgendo anche le cellule di retinoblastoma: “Abbiamo la dimostrazione inequivocabile che l’acido ascorbico è in grado di distruggere, a dosi elevate, le cellule di retinoblastoma”.

 

http://www.scirp.org/journal/PaperInformation.aspx?PaperID=38668#.VWAi1-9myis

Venerdì, 19 Ottobre 2018 07:56

9 INCREDIBILI PROPRIETA’ DEL POMPELMO.

05-10-2016

Le proprietà del pompelmo lo rendono un vero e proprio super-frutto, uno di quelli che non dovrebbero mai mancare sulle nostre tavole, almeno durante il periodo di maturazione. È ricco di acqua, vitamine e minerali, oltre che antiossidanti e fibre. Da consumare prima dei pasti come succo, o come frutto, i suoi benefici si estendono anche ai semi, da cui si ricava un estratto molto potente. Scopriamo insieme tutti i suoi incredibili benefici.

FONTE DI VITAMINE E MINERALI

La ricchezza di vitamina A e C è una delle principali proprietà del pompelmo. Anche se non può prevenire del tutto malanni stagionali come i raffreddori, può aiutare a ridurne i sintomi e la durata. La vitamina C ha anche un altro effetto: aiuta la riformazione di tessuti e vasi sanguigni in presenza di ferite e cicatrici. In particolare, pare che il pompelmo contenga più vitamina A delle arance. Mezzo frutto, infatti, contiene circa il 28% della dose giornaliera raccomandata di vitamina A, elemento essenziale per la salute di occhi, cuore, polmoni, reni e altri organi. In più, con metà agrume potrai ottenere il 64% della vitamina C necessaria, l’8% di fibre, oltre che un pò di calcio (3%) e di ferro (1%). Ecco perché lo chiamano un super-alimento! Occhio alla scelta del colore: tutti i tipi di pompelmo contengono nutrienti e altri elementi benefici, ma quelli rosa ne hanno di più. Soprattutto quando parliamo di antiossidanti, nello specifico di beta-carotene e licopene.

HA PIU’ ACQUA DI QUASI TUTTI GLI ALTRI FRUTTI 
Tra le principali proprietà del pompelmo, c’è sicuramente questa: il frutto è composto dal 92% d’acqua. Circa il 20% dei fluidi che assumiamo ogni giorno viene dal cibo. Ecco perché scegliere il pompelmo ci avvicinerà alla nostra razione giornaliera necessaria d’acqua.

PUO’ ACCELERARE LA PERDITA DI PESO

Metà pompelmo possiede circa 39 calorie. Questo lo rende un super-frutto dietetico: probabilmente nessun altro offre così tanti elementi nutritivi con un apporto calorico così basso. Esistono poi diversi studi che dimostrano che mangiare pompelmo fresco o berne il succo, prima di ogni pasto, aiuta a velocizzare la perdita di peso. Ovviamente, con una dieta ipocalorica!

ANCHE L’ALBEDO E’ OTTIMO

L’albedo di un agrume è quella parte bianca e spugnosa che si trova sotto la buccia. In genere lo buttiamo, ma forse è meglio di no! Nel pompelmo è ricchissimo di antiossidanti, fibre e altri nutrienti. Vi aiuterà a sentirvi più sazi, anche se ha un sapore un pò amaro.

CONTRO IL COLESTEROLO CATTIVO

Uno studio del 2006, pubblicato sul Journal of Agricutural and Food Chemistry, ha dimostrato che un pompelmo al giorno può aiutare ad abbassare il colesterolo ‘cattivo’ LDL fino al 15%. In particolare, il calo più evidente è stato registrato tra i pazienti che consumavano pompelmo rosa. Come vedremo più avanti, però, è meglio evitarne il consumo per chi assume già farmaci per l’ipercolesterolemia.

ABBASSA I LIVELLI DI TRIGLICERIDI

Lo stesso studio ha dimostrato l’influenza positiva sul livello dei trigliceridi nei pazienti che soffrono di arteriosclerosi. Insieme all’abbassamento del colesterolo LDL, questa è un’altra proprietà del pompelmo che lo rende particolarmente adatto alla protezione del nostro cuore e delle arterie. Non a caso è definito il frutto salva-cuore. L’abbassamento dei trigliceridi registrato è stato fino al 27% in meno. Anche in questo caso, la variante rosa sembra dare risultati migliori.

PUO’ ABBASSARE LA PRESSIONE

Alcuni dati dimostrano che il pompelmo aiuta ad abbassare la pressione sanguigna sistolica. Non di molto, ma è comunque un aiuto. Gli effetti sulla pressione sanguigna del frutto sarebbero collegati ai suoi elevati livelli di potassio. Questo minerale, lo sappiamo, contrasta gli effetti negativi del sodio. Come per il colesterolo, chi assume regolarmente farmaci per abbassare la pressione non dovrebbe mangiare pompelmi.

REGOLARIZZA GLI ZUCCHERI NEL SANGUE

Sempre nel 2006, uno studio pubblicato sul Journal of Medicinal Food, ha riportato gli effetti benefici del pompelmo sulla resistenza all’insulina. Sui 91 pazienti obesi coinvolti nella ricerca, a una parte era dato mezzo frutto o del succo di pompelmo. Al gruppo di controllo veniva somministrato un placebo. Le persone che mangiavano l’agrume prima di un pasto, avevano picchi di insulina più bassi rispetto agli altri, fino a due ore dopo l’assimilazione. Il pompelmo ha anche un indice glicemico abbastanza basso rispetto ad altri alimenti.

PUO’ AIUTARE A PREVENIRE IL CANCRO

Come abbiamo visto, tra le tante proprietà del pompelmo c’è la ricchezza di antiossidanti. Alcuni studi hanno dimostrato che mangiare gli agrumi per tutta la settimana abbassa il rischio di contrarre il cancro, soprattutto al pancreas e alla prostata. In particolare, i ricercatori credono che gli elementi presenti negli agrumi riducano l’infiammazione e rallentino la moltiplicazione delle cellule cancerogene. Potrebbero addirittura essere in grado di riparare il DNA danneggiato che contribuisce allo sviluppo di tumori.

CONTROINDICAZIONI

Come abbiamo accennato, il pompelmo può interferire con alcuni medicinali. Può, infatti, ridurre o aumentare l’efficacia di alcuni farmaci, provocando effetti collaterali anche gravi. In particolare questo agrume interferisce con i farmaci per la disfunzione erettile, antistaminici, medicinali contro i disturbi d’ansia, l’insonnia, le malattie cardiache e le aritmie. E come abbiamo visto, sui farmaci per la pressione e il colesterolo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16506849

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ijc.25203/abstract

02-06-2015

Avete mai sentito parlare della colina? Se la risposta è no e siete anche incinte, meglio iniziare a conoscere questo nutriente fondamentale durante la gravidanza e nei primi anni di vita del neonato. A dover essere aggiunto alla dieta delle donne che aspettano un bebè non è solo l'acido folico, ma anche la colina, nutriente essenziale incluso nelle uova e nella carne e capace di difendere il nascituro da malattie metaboliche e patologie correlate allo stress, come i disturbi mentali. Secondo i ricercatori della Cornell University guidati dalla dottoressa Marie Caudill, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista Faseb Journal, consumare notevoli quantità di colina durante la gravidanza stimolerebbe lo sviluppo cerebrale del feto, migliorandone le capacità cognitive e mnemoniche, oltre che riducendo la possibilità di malattie croniche, metaboliche ed endocrine. E i benefici colpirebbero anche la madre, con la riduzione del rischio di cancro alla mammella e la protezione del cervello. 
Il team ha analizzato 24 donne, tutte al terzo mese di gestazione, che sono state divise in due gruppi: per 12 settimane, il primo ha assunto 480 mg di colina al giorno, il secondo 930 mg. Dopo aver prelevato il sangue delle madri e della placenta, prima, durante e dopo l'assunzione, gli scienziati ne hanno esaminato differenze genetiche, dei livelli di cortisolo e dell'ormone dello stress, scoprendo come le volontarie del gruppo che aveva assunto più colina mostrassero minori livelli di cortisolo nel cordone della placenta e minori variazioni dei geni per la regolazione del cortisolo sia nel tessuto placentare che fetale. Per la dottoressa Caudill, questo significa che "una maggiore assunzione materna di colina può contrastare alcuni degli effetti negativi dello stress prenatale sullo sviluppo comportamentale, neuroendocrino e metabolico nei figli". Per questo sarebbe importante assumere in abbondanza i cibi che contengono la sostanza. E' bene sapere, allora, che le migliori fonti di colina nella dieta umana sono le uova, il manzo e il fegato di pollo e il salmone. Ma, per un'alternativa "animal friendly", anche la quinoa, i cavoli e i cavolfiori. Infine, oltre ad acido folico e colina, ricordatevi anche dell'inositolo, che potrebbe scongiurare il pericolo di spina bifida nel nascituro.

 

http://www.fasebj.org/content/26/8/3563.abstract?sid=7f796516-7fbb-46bc-a4d0-333edd8ebaf5

Mercoledì, 17 Ottobre 2018 17:26

5 MOTIVI PER ASSUMERE MANGANESE.

24-04-2016

Il manganese (Mn) è un minerale-traccia presente in piccole concentrazioni nei tessuti umani ed è principalmente immagazzinato in ossa, fegato, reni e pancreas. Il manganese entra nella costituzione di numerosi enzimi del nostro organismo e serve ad attivarne altri. Partecipa alla formazione di tessuti connettivi, ossa, fattori di coagulazione sanguigna, regolazione del glucosio ed è richiesto per la sintesi di alcuni neurotrasmettitori; favorisce, inoltre, l’utilizzo della colina ed è necessario per l’attivazione di biotina, tiamina e acido ascorbico. Il Mn è un catalizzatore della sintesi degli acidi grassi e del colesterolo e partecipa alla produzione di proteine, carboidrati e grassi e contribuisce a mantenere costante la produzione degli ormoni sessuali. Segni di carenza di manganese, osservati in numerose specie animali, includono scarsa crescita, funzionalità riproduttiva ridotta, intolleranza al glucosio, anomalie scheletriche e metabolismo di carboidrati e lipidi alterato. Alcuni soggetti con epilessia hanno mostrato bassi livelli nel sangue rispetto al gruppo di controllo. In altri studi il manganese ha mostrato effetti benefici in miastenia grave e sclerosi multipla.

ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE

Il manganese superossido dismutasi (MnSOD) è il principale enzima antiossidante del mitocondrio. Poiché i mitocondri consumano oltre il 90% dell’ossigeno utilizzato dalle cellule, sono particolarmente vulnerabili allo stress ossidativo. Il radicale superossido è una delle specie reattive dell’ossigeno prodotto nel mitocondrio durante la sintesi dell’ATP. MnSOD catalizza la conversione di radicali superossidi in perossidi di idrogeno, i quali possono essere ridotti in acqua da altri enzimi antiossidanti.

ATTIVITA’ PROTETTIVA SU CARTILAGINI E ARTICOLAZIONI

La carenza di manganese provoca uno sviluppo anomalo dello scheletro in numerose specie animali. Il manganese è il co-fattore preferito degli enzimi glicosiltransferasi, che sono richiesti per la sintesi dei proteoglicani, necessari per la formazione di ossa e cartilagini. In uno studio in doppio cieco sono stati testati separatamente e in combinazione glucosamina, condroitina e manganese, per verificare la capacità di questi componenti di ritardare la progressione della degenerazione delle cartilagini (osteoartrite). Dopo 16 settimane i risultati mostrarono che l’associazione di glucosamina, condroitina e manganese ha un’azione maggiormente efficace di quella della somministrazione separata degli agenti.

OSTEOPOROSI

In donne con osteoporosi sono stati osservati bassi livelli di manganese plasmatico rispetto a donne senza osteoporosi. L’aumentata risposta plasmatica alla somministrazione orale di Mn, suggerisce che il deficit di manganese potrebbe avere un ruolo nell’osteoporosi.

SINDROME PREMESTRUALE

In uno studio in doppio cieco la somministrazione di Mn, in associazione con il calcio, ha ridotto i sintomi della sindrome premestruale. Ricercatori del Grand Forks Human Nutrition Research Center hanno esaminato l’influenza di calcio e manganese nei sintomi del ciclo mestruale. Dieci donne con ciclo normale furono studiate per 169 giorni, assumendo giornalmente 587 mg o 1.336 mg di calcio, con 1 mg o 5,6 mg di manganese. I sintomi furono monitorati con il Menstrual Distress Questionnaire durante ogni ciclo. I dati ottenuti mostrarono che la somministrazione più alta di calcio aveva migliorato umore, concentrazione e sintomi comportamentali, riducendo dolori e ritenzione idrica associati alla fase premestruale. Anche il ruolo del Mn parve importante. Infatti le donne che avevano assunto minori quantità di Mn sperimentarono più sbalzi d’umore e dolore prima del ciclo.

CICATRIZZAZIONE CUTANEA

La cicatrizzazione è un processo articolato che richiede un aumento della produzione di collagene. Il manganese è richiesto per l'attivazione del prolidasi, un enzima che funziona per fornire l'aminoacido prolina, per la formazione di collagene nelle cellule cutanee umane. Un disturbo genetico conosciuto come "deficienza da prolidasi" provoca una cicatrizzazione anomala ed è caratterizzata, tra l'altro, da un metabolismo anomalo del manganese (Mn). La sintesi dei glicosaminoglicani, che richiede gli glicosiltransferasi attivati dal manganese, può svolgere un ruolo importante nella cicatrizzazione.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10050562

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8498421

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7187192

18-10-2018

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Reviews Neuroscience consumare cibi ricchi di acidi grassi omega-3 aiuta a prevenire l’insorgenza non solo di disturbi come la demenza, ma anche di depressione, disturbi del comportamento e addirittura schizofrenia. Che alcuni cibi stimolassero la produzione di ormoni in grado di influire positivamente sul tono dell’umore, come la serotonina, non è certo una novità, ma questa ricerca, frutto della revisione sistematica di 160 studi sul tema dell’interazione fra cibo e funzionalità cerebrale, va ben oltre affermando che consumare pesce, riso integrale, broccoli e peperoncino (ricchi di acidi grassi omega-3) basterebbe a preservare la salute mentale.

 

http://www.nature.com/nrn/journal/v9/n7/fig_tab/nrn2421_F3.html

http://www.livescience.com/2675-good-diet-exercise-brain-healthy.html

http://www.sciencedaily.com/releases/2008/07/080709161922.htm

http://www.nature.com/nrn/journal/v9/n7/abs/nrn2421.html

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2008-07/uoc--slh070908.php

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