Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

16-12-2017

Fino ad oggi sono state fatte varie ipotesi sulle reali cause della comparsa di dislessia. Adesso una nuova ricerca francese è convinta di aver trovato negli occhi una potenziale causa fisiologica di questo disturbo del neurosviluppo. Secondo il team di ricerca la dislessia sarebbe legata ad alcune anomalie dell’occhio, in particolare a delle piccole cellule recettoriali in grado di confondere il cervello e far comparire i sintomi legati a questo disturbo. Ricordiamo che le persone che soffrono di dislessia hanno difficoltà a leggere, fare la divisione in sillabe, scrivere e studiare la matematica nonostante siano dotate di una normale intelligenza.
Il piccolo studio, realizzato presso l'Università di Rennes e pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, ha preso in esame gli occhi di 30 dislessici e di 30 persone senza questo problema. Quello che si è notato sono delle differenze nella disposizione delle cellule della retina dove si trovano i coni (fotorecettori) responsabili della visione dei colori (esistono coni per il rosso, per il verde e per il blu). Nelle persone non dislessiche si è evidenziato che il punto senza cono blu in un occhio era rotondo e nell'altro occhio era oblungo o irregolare. Ma nelle persone dislessiche entrambi gli occhi avevano lo stesso punto a forma rotonda. Ciò comporterebbe che il cervello venga facilmente confuso dalla visione di “immagini specchio” uguali tra cui non riesce a decidere.
Non tutti sanno che gli esseri umani hanno non solo un braccio e una mano dominante (destra o sinistra, tranne rari casi) ma anche un occhio dominante. La ricerca ha sostanzialmente scoperto che la maggior parte dei dislessici aveva entrambi gli occhi dominanti piuttosto che uno solo e questo porterebbe ad una visione sfocata e alla confusione durante la lettura e la scrittura. Sarebbe questa correlazione con la vista a creare disagio facendo apparire le lettere in movimento o disposte nell’ordine sbagliato, la confusione può impedire anche di distinguere correttamente tra destra e sinistra.
Si sottolinea però che probabilmente questa è solo una delle possibili cause e non tutti i dislessici vedono l’origine del loro problema proprio nella vista. Il professor John Stein, esperto di dislessia e professore emerito in neuroscienze presso l'Università di Oxford, ha dichiarato che la ricerca è davvero interessante perché ha sottolineato l’importanza del dominio dell’occhio nella lettura ma che è improbabile che questa scoperta possa spiegare tutti i casi di dislessia. Questa condizione, infatti, è ereditaria e colpisce il 10% della popolazione. Si pensa però che anche fattori ambientali possano in qualche modo essere responsabili della sua comparsa. Gli scienziati si augurano che presto questa scoperta possa portare ad un potenziale trattamento che agisca proprio sulla vista per risolvere i sintomi legati a questo disturbo del neurosviluppo.

 

http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/284/1865/20171380

http://www.bbc.com/news/health-41666320

16-12-2017

I conservanti alimentari che vengono aggiunti ai cereali per la prima colazione e ad altri prodotti quotidiani, possono causare l’obesità secondo una crescente evidenza degli esperimenti sugli animali. Un nuovo studio pubblicato in “Nature Communications” spiega come i ricercatori del Cedars-Sinai hanno sviluppato una nuova piattaforma e un protocollo per testare gli effetti delle sostanze chimiche note come disgregatori endocrini sugli esseri umani. Le tre sostanze chimiche testate in questo studio, presenti in abbondanza nella vita moderna, sono il butilidrossitoluene (BHT) che è un antiossidante comunemente aggiunto ai cereali per la prima colazione e ad altri alimenti, al fine di proteggere le sostanze nutritive e conservare i grassi; l’acido perfluorooctanoico (PFOA) che è un polimero presente in alcune pentole, moquette e altri prodotti e la tributiltina (TBT) che è un composto presente nelle vernici che può entrare nell’acqua e accumularsi nei frutti di mare.
I ricercatori hanno utilizzato tessuti che producono ormoni, coltivati da cellule staminali umane per dimostrare come l’esposizione cronica a queste sostanze chimiche può interferire con i segnali inviati dal sistema digestivo al cervello per indicare che siamo “sazi” dopo i pasti. Quando questo sistema di segnalazione si interrompe, le persone spesso continuano a mangiare e aumentano di peso. “Abbiamo scoperto che ognuno di questi prodotti chimici hanno danneggiato gli ormoni responsabili della comunicazione tra l’intestino e cervello”, ha dichiarato Dhruv Sareen, Professore ordinario di scienze biomediche e Direttore dell’Induced Pluripotent Stem Cell Core Facility al the Cedars-Sinai Board of Governors Regenerative Medicine Institute. “Quando abbiamo testato i tre additivi insieme, lo stress causato era molto più grave”. “Tra le tre sostanze chimiche testate, il butilidrossitoluene ha prodotto effetti più dannosi rispetto alle altre. Inoltre, altri scienziati hanno dimostrato che questi composti possono distruggere i sistemi ormonali negli animali da laboratorio, ma il nuovo studio è il primo ad utilizzare le cellule staminali pluripotenti e i tessuti umani per documentare come i composti possono disturbare gli ormoni critici per la segnalazione intestinale e prevenire l’obesità nelle persone”, ha detto Sareen. “Questo studio migliora notevolmente la nostra comprensione di come i disgregatori endocrini possono danneggiare i sistemi ormonali umani e contribuire all’epidemia di obesità”, ha dichiarato Clive Svendsen, Direttore dell’Institute and the Kerry and Simone Vickar Family Foundation Distinguished Chair in Regenerative Medicine. Più di un terzo degli adulti statunitensi sono considerati obesi, secondo statistiche federali.
Il nuovo sistema di test sviluppato per lo studio ha il potenziale di fornire un metodo necessario, sicuro e conveniente che può essere utilizzato per valutare gli effetti sulla salute di migliaia di sostanze chimiche esistenti e nuove nell’ambiente. Per i loro esperimenti, Sareen e il suo team hanno utilizzato per primi i campioni di sangue prelevati dagli adulti e poi, attraverso la riprogrammazione dei geni, hanno convertito le cellule in cellule staminali pluripotenti indotte. Quindi, utilizzando queste cellule staminali, i ricercatori hanno sviluppato il tessuto epiteliale umano e tessuti neuronali della regione dell’ipotalamo del cervello, la regione che regola l’appetito e il metabolismo. I ricercatori hanno poi esposto i tessuti a BHT, PFOA e TBT, uno per uno e anche in combinazione e osservato che le sostanze chimiche hanno interrotto reti che consentono agli ormoni di segnalazione di mantenere la loro struttura ed essere trasportati fuori dalle cellule, rendendoli inefficaci. Le sostanze chimiche hanno anche danneggiato i mitocondri - strutture cellulari che trasformano cibo e ossigeno in energia e guidano il metabolismo del corpo.
“Poiché i danni chimici si sono verificati nelle “giovani” cellule, i risultati suggeriscono che un sistema ormonale difettoso potenzialmente potrebbe influenzare una madre incinta e il feto nel grembo materno”, ha detto Sareen. ”Anche se altri scienziati hanno dimostrato negli studi sugli animali che gli effetti dei disgregatori endocrini possono essere tramandati alle generazioni future, questo processo non è stato ancora dimostrato nell’uomo”, ha spiegato il ricercatore.
Più di 80.000 sostanze chimiche sono registrate per essere utilizzate negli Stati Uniti, negli alimenti, prodotti per la cura personale, detergenti per la casa e prodotti per la cura del giardino, secondo il National Toxicology Program del Dipartimento di Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti. Mentre il programma afferma sul suo sito web che relativamente pochi prodotti chimici sono considerati come un rischio significativo per la salute umana, afferma anche: “Non conosciamo gli effetti di molti di questi prodotti chimici sulla nostra salute”.
I costi e le questioni etiche, incluso il rischio per la salute di esporre i soggetti umani a sostanze eventualmente dannose, sono tra le barriere per testare la sicurezza di molte sostanze chimiche. Di conseguenza, numerosi composti ampiamente utilizzati rimangono non valutati negli esseri umani per i loro effetti sulla salute, in particolare sul sistema ormonale.

 

https://www.cedars-sinai.edu/About-Us/News/News-Releases-2017/Study-Shows-How-Food-Preservatives-May-Disrupt-Human-Hormones-and-Promote-Obesity.aspx

16-12-2017

Uno studio giapponese rivela gli effetti benefici del consumo di yogurt in caso di problemi intestinali. Nello specifico, la ricerca, coordinata dal prof. Suzuki del Tokai University Tokyo Hospital, ha valutato gli effetti indotti dal Lactobacillus gasseri OLL2716 (LG) su piccole lesioni intestinali, ulcere, erosioni e sanguinamenti causati dal consumo di aspirina. Lo studio, pubblicato sulla rivista Digestion, ha dimostrato la capacità di LG di ridurre i sintomi gastrointestinali associati alle lesioni. Per farlo, sono stati coinvolti 64 pazienti che hanno assunto aspirina per oltre un mese e 112 ml di Lactobacillus gasseri o placebo due volte al giorno per 6 settimane. Le lesioni intestinali sono state valutate attraverso endoscopia prima e dopo il consumo di yogurt.
Gli effetti del probiotico sono stati valutati anche attraverso la Scala di frequenza per i sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo (Fssg) e la Scala di valutazione dei sintomi gastrointestinali (Gsrs), con questionari somministrati prima e dopo 6 settimane di trattamento. Prima della sperimentazione, fra i due gruppi non è stata osservata alcuna differenza significativa nelle caratteristiche dei disturbi e nel numero delle lesioni della mucosa intestinale. Dopo 6 settimane, il gruppo «trattato» con il Lactobacillus gasseri mostrava un numero significativamente inferiore di piccole lesioni intestinali e sanguinamenti rispetto al gruppo placebo. Inoltre, i punteggi Fssg e Gsrs erano molto superiori nel gruppo LG rispetto al gruppo placebo.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28052291

16-12-2017

Un composto che si trova nelle arance, peperoni rossi e altri frutti e ortaggi colorati, ha il potenziale di ridurre il rischio di cancro al polmone collegato al fumo, secondo un nuovo studio. Pubblicato dalla rivista Cancer Prevention Research, lo studio descrive come il pigmento chiamato beta-criptoxantina (BCX), riduce il numero di recettori per la nicotina necessari per alimentare la crescita del tumore al polmone. La nicotina è una sostanza chimica presente nel tabacco e alcune e-sigarette che causa dipendenza. Il co-autore dello studio Xiang-Dong Wang, del Jean Mayer United States Department of Agriculture Human Nutrition Research Center on Aging alla Tufts University a Boston e colleghi, affermano che secondo i risultati del loro studio, mangiare frutta e verdura ad alto contenuto di BCX potrebbe ridurre la rischio di cancro ai polmoni causato dal fumo.
Quest’anno, circa 222.500 nuovi casi di cancro al polmone saranno diagnosticati negli Stati Uniti e ci saranno più di 155.000 morti per la malattia. Il fumo rimane una delle principali cause di cancro ai polmoni. Secondo l’American Lung Association, gli uomini che fumano hanno 23 volte più probabilità di sviluppare il cancro al polmone rispetto agli uomini che non fumano, mentre le donne che fumano hanno 13 volte più probabilità di sviluppare la malattia rispetto alle non fumatrici. L’esposizione al fumo passivo è anche un fattore di rischio per il cancro del polmone e causa circa 7.330 morti tra i non fumatori negli Stati Uniti, ogni anno.
Ci sono più di 7.000 composti nel fumo di tabacco, molti dei quali sono cancerogeni o sostanze che provocano il cancro e che danneggiano le cellule che rivestono i polmoni. Anche se la nicotina non è considerata una causa diretta dello sviluppo del cancro ai polmoni, gli studi hanno dimostrato che il composto può promuovere la crescita di tumori polmonari.
Wang e colleghi spiegano che quando viene inalata, la nicotina si lega ai recettori sulla superficie dei polmoni, noto come nicotinico α7 recettore dell’acetilcolina (α7-nAChR). Ciò induce una cascata di segnali che provocano la proliferazione cellulare e la formazione di nuovi vasi sanguigni, che sono processi coinvolti nella crescita del cancro. Inoltre, la nicotina aumenta la produzione di α7-nAChR e tanto più questi recettori sono presenti e si legano alla nicotina, più forte è la cascata di segnalazione che favoriscono la crescita delle cellule del cancro al polmone tra i fumatori. Tuttavia, Wang e colleghi ritengono che BCX potrebbe essere efficace per ridurre la quantità di recettori α7-nAChR sulla superficie dei polmoni, con la conseguente diminuzione della crescita delle cellule tumorali.
Il BCX è un tipo di carotenoide che è responsabile del colore giallo, arancio e rosso di frutta e verdura, tra cui arance, mandarini, zucca e peperoni rossi. In precedenti ricerche, Wang e il team hanno osservato un legame tra il consumo di cibi ricchi di BCX e un minor rischio di cancro ai polmoni negli esseri umani. In questa ultima ricerca, il team ha cercato di individuare i meccanismi alla base di questa associazione. Per raggiungere i loro risultati, i ricercatori hanno iniettato in due gruppi di topi una dose quotidiana di un agente cancerogeno derivato dalla nicotina. Un gruppo di topi è stato poi trattato con una dose giornaliera di BCX prima e dopo l’iniezione.
Rispetto ai roditori che non hanno ricevuto la dose giornaliera di BCX, il team ha scoperto che i roditori che hanno ricevuto il carotenoide hanno sperimentato una riduzione del 52-63 per cento nella crescita del tumore al polmone. Una dose giornaliera di 870 microgrammi di BCX – equivalente al consumo umano di circa un peperone o due mandarini – è risultata essere efficace nel ridurre la crescita del tumore al polmone. Successivamente, i ricercatori hanno testato BCX sulle cellule tumorali del polmone umano con e senza α7-nAChR. Essi hanno scoperto che le cellule tumorali del polmone con α7-nAChR hanno avuto meno possibilità di diffondersi dopo l’esposizione a BCX, rispetto alle cellule di cancro del polmone, senza i recettori.
Anche se ulteriori ricerche sono necessarie per ottenere una migliore comprensione di come BCX influenza lo sviluppo del cancro al polmone negli esseri umani, Wang e colleghi ritengono che gli individui esposti al fumo di tabacco potrebbero trarre beneficio dal consumo di alimenti ricchi di BCX. “Per i fumatori, gli utenti di prodotti del tabacco o gli individui a maggior rischio di esposizione al fumo di tabacco, i nostri risultati forniscono la prova sperimentale che mangiare cibi ad alto contenuto di BCX può avere un effetto benefico sul rischio di cancro ai polmoni, come suggerito da precedenti studi epidemiologici”.

 

http://now.tufts.edu/articles/common-food-pigment-may-fight-cancer

15-12-2017

Meravigliosi lupini. Ricchi di proteine e naturalmente privi di glutine, questi preziosi legumi sono efficaci anche contro il diabete. I lupini, infatti, sarebbero in grado di stimolare la secrezione di insulina e consentirebbero il controllo dei picchi di zucchero nel sangue. A dimostrarlo è una ricerca dell’Università australiana Curtin di Perth, coordinata da Philip Newsholme della scuola di scienze biomediche, attraverso cui sono state eseguite delle ricerche sperimentando l’azione dei lupini nel regolare i livelli di glucosio nel sangue. Nello studio si è dimostrato che i semi di lupini in polvere sono utili per stimolare la secrezione di insulina nelle cellule, mentre l’estratto di lupini assunto prima del pasto sotto forma di bevande o di prodotti a base di yogurt, aiuta a ridurre i picchi di glucosio nel sangue che si hanno dopo un normale pasto grazie alla gamma-conglutina, una proteina contenuta proprio in questi legumi. 
Come spiega Newsholme, “per i diabetici e pre-diabetici, il picco di glucosio nel sangue che si verifica dopo i pasti è molto pericoloso e quando il diabete progredisce, il livello di zuccheri ritorna ai livelli normali sempre più lentamente”. Con l’avanzare dell’età, poi, è proprio l'alta quantità di glucosio nel sangue che causa tutti i danni associati alla malattia. Per esempio, nel diabete mellito, il pancreas non è capace di produrre insulina in quantità sufficiente o le cellule non rispondono più all'insulina prodotta per cui non riescono più ad assorbire il glucosio, che rimane nel sangue.
Le ricerche sono ancora nelle fasi iniziali, ma pare che gli studiosi siano già in contatto con produttori di lupini in Australia occidentale e con aziende alimentari per produrre in futuro prodotti terapeutici a base di lupini. Nel frattempo, sicuramente male non fa, provare ad aggiungere questi legumi nella dieta per diabetici.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17317651

http://www.abc.net.au/news/2017-08-29/lupin-seeds-could-help-treat-diabetes/8849846

15-12-2017

Esiste un additivo alimentare impiegato come addensante e gelificante sospettato essere irritante per l’apparato gastrointestinale. Questa sostanza si chiama carragenina ed è indicata con la sigla E407. La carragenina si può trovare nei gelati, budini, alcune creme pasticcere, nella carne in scatola, nei confetti, alcuni prodotti da forno, nelle gomme da masticare, nelle caramelle, ed in alcune marmellate. Le quantità aggiunte agli alimenti, variano dallo 0,5% al 2% (nei confetti). La carragenina viene estratta dalle alghe rosse Chondrus Ciprus e Gigantina Mamitosa meglio noti con Lichene Marino e Muschio di Islanda.
Alcuni esperti affermano che la carragenina E407 è molto irritante e infiammante per le mucose gastrointestinali; infatti studi condotti su cavie, topi e porcellini d’India hanno mostrato gravi ulcerazioni dell’intestino dopo la somministrazione di acqua contenente 1% di carragenina. Alcune ricerche accusano gli alimenti contenenti carragenina di provocare le seguenti patologie intestinali:

- Disturbi gastrointestinali.
- Sindrome del colon irritabile.
- Gonfiori addominali.
- Ulcere
- Cancro all’intestino.

La carragenina ad alto peso molecolare in genere non viene assorbito, mentre quella a basso peso molecolare può essere assorbito dalla mucosa dell’intestino crasso.
La Carragenina è nota ai medici per la capacità di indurre infiammazione acuta ed edema se iniettata nel sottocute di cavie di laboratorio. Per testare le proprietà antinfiammatorie dei farmaci e dei nutraceutici i ricercatori usano il test dell’edema da carragenina. In Pratica alle cavie di laboratorio viene iniettata sotto la pianta di una delle zampe posteriori una soluzione salina allo 0,5% di carragenina. L’altra zampa posteriore invece funge da controllo.
Dopo 3 ore dell’inoculazione, l’infiammazione alla zampa raggiunge la massima intensità gonfiandosi per l’edema, e diventa anche dolente e calda. Raggiunte le 3 ore, l’animale viene ucciso per soffocamento con anidride carbonica e le 2 zampe posteriori vengono mozzate in modo preciso alla stessa altezza. Le due zampette si pesano e dalla differenza di peso si valuta l’intensità dell’infiammazione.
Successivamente se alla cavia sottoposta al Test della carragenina viene data una certa dose di curcuma, questa essendo antinfiammatoria “inibisce o riduce l’edema della zampa trattata con carragenina”, e quindi la differenza di peso delle due zampette posteriori sarà minima. Se testando un medicinale, al test della carragenina si registra una notevole differenza di peso tra le due zampette, significa che il farmaco non è antinfiammatorio.
Il consumatore per difendersi dalla carragenina, deve prestare attenzione a leggere l’etichetta. Se tra gli ingredienti compare la sigla E407 oppure la parola carragenina è bene che lo eviti specie se soffre di problemi gastrointestinali.
La carragenina può essere addizionata nei seguenti alimenti:

- In alcuni tipi di formaggio (sottilette e formaggini) allo 0,15%.
- Nei gelati allo 0,5%.
- Nei budini allo 0,5%.
- Nelle caramelle e nei confetti può raggiungere addirittura la concentrazione del 2%.
- Nelle gomme da masticare al’1%.
- Nelle carni in scatola al’1%.
- Nelle creme da pasticceria allo 0,5%.
- Nei prodotti dolciari da forno allo 0,1%.
- Nella frutta candita allo 0,5%.
- In preparati a base di latte e creme di latte allo 0,5%.

15-12-2017

I danni prodotti dall'inquinamento sulla nostra salute possono essere ridotti grazie ad alcune vitamine del gruppo B. A ipotizzarlo è uno studio apparso sulla rivista Pnas, secondo cui i danni epigenetici, legati cioè all'attivazione o alla disattivazione di determinati geni, vengono ridimensionati grazie all'assunzione del nutriente. Le polveri sottili penetrano in profondità nel sistema respiratorio, causando infiammazione e stress cellulare, oltre ad agire a livello epigenetico. I ricercatori della Harvard School of Public Health hanno effettuato una sperimentazione sugli effetti della vitamina B riguardo all'esposizione alle PM2,5. 10 volontari fra i 19 e i 49 anni sono stati esposti a un'aria fortemente inquinata da polveri ultrasottili, e nel contempo hanno assunto un supplemento di 2,5 milligrammi di acido folico, 50 milligrammi di vitamina B6 e un milligrammo di vitamina B12. Dopo 30 giorni di supplemento, si è registrata una riduzione dal 28 al 76 per cento dell'effetto epigenetico dell'inquinamento e dell'influenza negativa sul DNA dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula. «Lo studio è ancora preliminare - scrivono gli autori - e serve una ricerca in posti fortemente inquinati per verificare se l'effetto protettivo persiste anche su persone che hanno un'esposizione cronica. Ma è possibile che il supplemento possa mitigare gli effetti dell'inquinamento».

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28367952

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28289216

 

La ragione per cui la natura ha fatto alcuni di noi portatori e altri non portatori non è nota con precisione, anche se possiamo presumere che lo status di portatore sia la conseguenza di uno sforzo dell’evoluzione teso a fornire all’organismo un livello supplementare di difesa, inesistente nei primi esseri umani. Abbiamo prove che dimostrano che lo status di non portatore è geneticamente precedente a quella di portatore e probabilmente più consono alle esigenze digestive dei primi cacciatori-raccoglitori.
Lo status di portatore è con tutta probabilità l’esito di un processo di adattamento immunologico. Infatti la capacità di secernere gli antigeni del gruppo sanguigno nella saliva, nei succhi gastrici e in altri fluidi corporali sembra creare una barriera supplementare contro aggressioni ambientali, quali quelle dei batteri, degli inquinanti e di altri potenziali invasori. 
Dal punto di vista immunologico, i non portatori sembrano perseguire una strategia diversa, approntando una sorta di “trappola mortale”: lasciano cioè che gli invasori patogeni facciano il loro ingresso nell’organismo per poi attaccarli e sterminarli dall’interno. Alcune delle aree controllate o influenzate dallo status di portatore o non portatore sono:

• la facilità con cui i batteri estranei invadono l’organismo;
• il grado di aderenza ai tessuti dell’apparato digerente delle lectine e di altre strutture alimentari sensibili al gruppo sanguigno;
• la sindrome X, o sindrome da resistenza all’insulina;
• l’equilibrio dei batteri intestinali;
• la significatività dei marker tumorali per la diagnosi del cancro;
• la tendenza del sangue a coagulare;
• la composizione del latte materno;
• l’immunoresistenza;
• la predisposizione alle carie dentali;
• la sensibilità ai batteri responsabili delle ulcere;
• il rischio relativo di sviluppare problemi di infiammazione intestinale;
• l’infiammazione delle vie respiratorie e la predisposizione agli attacchi virali;
• la prevalenza delle patologie autoimmuni;
• i fattori di rischio delle patologie cardiache;
• la predisposizione genetica all’alcolismo.

Eccovi un esempio delle conseguenze pratiche di essere o meno un portatore. Supponiamo che il vostro sangue sia di gruppo 0 e che dobbiate sottoporvi a un intervento chirurgico. Il sangue di gruppo 0 è quello che contiene la concentrazione più bassa di fattori di coagulazione e perciò siete maggiormente soggetti a emorragie. Ma livelli molto bassi di fattori di coagulazione sono una caratteristica anche di chi è portatore. Se quindi siete di gruppo 0 e in più portatore di antigeni nelle secrezioni, avrete maggiori probabilità di eventi emorragici incontrollabili rispetto ai soggetti di gruppo 0 ma non portatori.

Esiste un metodo approssimato ma rapido per stabilirlo, legato a un sistema supplementare di classificazione del sangue, detto sistema Lewis, funzionalmente collegato alla genetica delle secrezioni, in quanto lo stesso gene codifica sia il gene delle secrezioni, sia il sistema Lewis. Nel sistema Lewis, localizzato nel cromosoma 19, sono possibili due antigeni, chiamati Lewis a e Lewis b. Gli individui vengono classificati in uno dei tre gruppi: Lewis a+b-, Lewis a-b+ e Lewis a-b- (la quarta possibile variante, Lewis a+b+, è molto rara). Il sistema Lewis si può utilizzare per determinare se un certo soggetto è o meno portatore di antigeni nelle secrezioni, poiché si è osservato che chi appartiene al gruppo Lewis a+b- è anche non portatore, mentre chi appartiene a quello Lewis a-b+ è anche portatore. Il legame tra lo status di portatore o non portatore e il sistema Lewis viene a formarsi perché i portatori convertono tutti i loro antigeni Lewis a in antigeni Lewis b (rendendoli Lewis b+). La ragione per cui ho definito approssimato questo metodo è che esiste una categoria di persone che sfugge a questo tipo di classificazione: i soggetti di gruppo Lewis a-b- non possono utilizzare questo sistema per determinare il loro status di portatore o non portatore, in quanto non producono sostanze Lewis e quindi non presentano mai le caratteristiche a+ o b+ nel sangue o nelle secrezioni. Fortunatamente solo il 6% della popolazione bianca e il 16% di quella nera appartengono al gruppo Lewis a-b- e ciò consente quindi alla maggioranza delle persone di determinare la propria condizione di portatore o non portatore sul medesimo campione di sangue utilizzato per determinare il gruppo sanguigno.

  

SISTEMA LEWIS 

Le (a+b-) = non portatori (o non secretori)

Le (a-b+) = portatori (o secretori)

Le (a-b-) = Lewis negativi

(possono essere sia portatori sia non portatori)

Giovedì, 14 Dicembre 2017 17:31

UN ULTERIORE LIVELLO DI CLASSIFICAZIONE

L’esistenza di quattro gruppi sanguigni – 0, A, B e AB – non implica che al mondo ci siano solo quattro tipologie di individui e una conclusione simile costituirebbe una semplificazione ridicola, dal momento che, come tutti sanno, la realtà è di gran lunga più variegata e complessa. Da ciò nasce la necessità di fare un passo avanti fino a raggiungere un nuovo livello di classificazione, attraverso un’ulteriore suddivisione di ognuno dei gruppi sanguigni – in particolare tra chi è portatore di antigeni nelle secrezioni e chi non lo è – per arrivare a disporre di una maggiore specificità di identificazione. All’interno del nostro organismo, il gruppo sanguigno, lungi dal rimanere inerte, si manifesta con un gran numero di espressioni diverse, che determinano le differenziazioni individuali. Proviamo a chiarire il concetto attraverso un’analogia, quella del rubinetto dell’acqua: a seconda della pressione, dal rubinetto può uscire un potente getto d’acqua oppure solo poche gocce e il rifornimento potrà essere rispettivamente buono o insufficiente. In modo analogo, la condizione di portatore o non portatore di antigeni nelle secrezioni è correlata con l’entità e la posizione dell’espressione nell’organismo degli antigeni del gruppo sanguigno.
Proprio di fronte al 9q34, sui cromosomi 11 e 19, abita l’importante cugino primo del gene del gruppo sanguigno, il gene che determina la presenza degli antigeni del gruppo sanguigno nelle secrezioni. Quantunque questo gene sia indipendente da quello del gruppo sanguigno, influisce sui modi con cui quest’ultimo si manifesta. Tutti gli esseri umani portano nelle cellule del sangue un antigene del gruppo sanguigno, ma la maggior parte delle persone (tra l’80 e l’85% della popolazione) hanno anche antigeni che si muovono liberamente nelle varie secrezioni corporali. Tali individui sono detti portatori di antigeni nelle secrezioni, perché esprimono gli antigeni del gruppo sanguigno nei fluidi corporali, quali saliva, muco e sperma. Un portatore di antigene nelle secrezioni può determinare il proprio gruppo sanguigno attraverso l’analisi di questi fluidi, oltre che con quella del sangue. Il restante 15-20%, cioè coloro che possiedono gli antigeni del gruppo sanguigno solamente nelle cellule del sangue, vengono definiti, abbastanza prevedibilmente, non portatori di antigeni nelle secrezioni. Poiché i portatori hanno a disposizione più possibilità per manifestare gli antigeni del gruppo sanguigno, presentano nel loro organismo un numero maggiore di espressioni del gruppo sanguigno rispetto ai non portatori. Quest’ultima condizione, o status, può avere forte impatto sulle caratteristiche del sistema immunitario ed è associata con un ampio assortimento di malattie e disfunzioni metaboliche.

Bonus William Hill
Bonus Ladbrokes

Copyright © 2014-2024 Naturopata Angelo Ortisi - Tutti i diritti riservati.

Powered by Warp Theme Framework
Premium Templates