Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

09-01-2020

1. ARGININA: favorisce la produzione naturale del monossido d’azoto (NO), indispensabile per la produzione dell’erezione. Un’integrazione con arginina migliora la libido e la virilità.

2. AVENA: contiene un alcaloide, l’avenina, che assomiglia chimicamente al testosterone, che si lega al sex hormone binding globuline (SHBG), liberando così una maggiore quantità di testosterone attivo e aumentando la libido. Il consumo di avena sativa aumenta le sensazioni di piacere e la frequenza degli orgasmi negli uomini.

3. YOHIMBE: deve le sue virtù afrodisiache alla presenza di yohimbina, un alcaloide utilizzato in Europa da più di 75 anni per trattare le disfunzioni erettili. La yohimbina agisce inibendo il sistema adrenergico alfa-2, dilatando i vasi sanguigni, aumentando il flusso sanguigno nel pene, favorendo così l’erezione.

4. MUIRA PUAMA: viene utilizzato da molto tempo nell’America del sud come afrodisiaco e tonico sessuale. Alcuni studi indicano che migliora in maniera significativa la disfunzione erettile in certi soggetti. Ha anche un effetto dinamizzante sui soggetti affetti da perdita di libido.

5. TRIBULUS TERRESTRIS: viene utilizzato nella medicina tradizionale cinese e nella medicina ayurvedica da migliaia di anni per trattare la sterilità, le disfunzioni erettili e la perdita di libido. Alcuni studi animali indicano che il tribulus terrestris aumenta in maniera significativa i livelli di testosterone. Alcuni studi sugli animali e sull’uomo mostrano che rinforza l’erezione aumentando la liberazione di monossido d’azoto.

6. VITAMINA B3 (NIACINA): è indispensabile per la sintesi degli ormoni sessuali, favorisce la dilatazione dei vasi sanguigni indispensabile per l’erezione e per la produzione di istamina che contribuisce alle sensazioni prodotte dall’orgasmo.

7. VITAMINA B6 (PIRIDOSSINA): è indispensabile per la sintesi della dopamina che svolge un ruolo determinante nel comportamento sessuale: agisce sull’erezione e sull’eiaculazione.

8. ZINCO: interviene nella produzione di testosterone e aumenta il vigore sessuale.

9. MAGNESIO: livelli bassi di magnesio hanno come conseguenza dei livelli bassi di monossido d’azoto. Questi livelli bassi di magnesio si ritrovano negli uomini che soffrono di eiaculazione precoce.

Giovedì, 09 Gennaio 2020 13:16

L'ACIDO URICO È UN RISCHIO PER IL CUORE.

09-01-2020

Non è sufficiente tenere sotto controllo colesterolo, glicemia e pressione. Per salvaguardare la salute del nostro cuore bisogna porre attenzione anche ai livelli di acido urico nel sangue. Nel 40 per cento dei casi, infatti, l'infarto è correlato proprio con questo fattore di rischio. A lanciare l'allarme è Claudio Borghi, docente di Medicina Interna presso l'Università di Bologna e coordinatore del documento di consenso sulla revisione dei livelli di acido urico come fattore di rischio cardiovascolare: “considerando la soglia attuale di rischio fissata in 6 milligrammi per decilitro di sangue si è dimostrato che per ogni incremento di 1 milligrammo il rischio di complicanze cardiovascolari gravi cresce dal 9 al 26%, con un parallelo incremento della mortalità e aumenta di oltre il 20% il pericolo d’ictus. L'eccesso di acido urico inoltre aumenta il rischio di ipertensione arteriosa e danni renali, e quasi triplica la probabilità di diabete tanto che alcuni studi sperimentali suggeriscono che l’iperuricemia possa essere un fattore di rischio più temibile del colesterolo”. L'acido urico è un rischio per almeno 13 milioni di italiani, che nei vasi sanguigni nascondono i cristalli di urato, elementi che si depositano appunto quando i livelli di acido urico sono oltre la norma.
Angelo Testa, presidente dello Snami - Sindacato nazionale autonomo medici italiani - commenta: “purtroppo l’acido urico è noto solo a chi soffre di gotta e come causa principale di questa malattia. Sebbene le stime parlino di circa 13 milioni di italiani con l'uricemia ‘sballata’, la maggior parte non lo sa perché pochi la controllano, pochissimi di routine: appena il 2% della popolazione sa che cosa sia l'acido urico o l'ha mai misurato, mentre il 70% di chi ha misurato almeno una volta l'uricemia non ripete il test più di una volta all'anno”. “I meccanismi del danno da acido urico sono molteplici e complessi - interviene di nuovo Borghi -. I cristalli di urato che si depositano sulla parete dei vasi aumentano la possibilità di formazione della placca aterosclerotica, a cui contribuiscono anche i processi di sintesi dell’acido urico portando alla formazione di una grossa quantità di sostanze ossidanti che alterano l’endotelio della parete dei vasi rendendoli più suscettibili alla comparsa di aterosclerosi”.

Giovedì, 09 Gennaio 2020 13:14

SONO 5 LE VERE SOSTANZE CHE ALLUNGANO LA VITA.

09-01-2020

Le ricerche condotte in anni recenti sulle molecole antinvecchiamento hanno portato alla scoperta di sostanze fondamentali per allungare la vita, talvolta in modo significativo. Queste sostanze sono 5:

L-CARNOSINA

Ancora chiamata beta-alanina-L-istidina, questo dipeptide è una molecola presente in cellule umane con una lunga durata della vita, come le cellule dei muscoli scheletrici e i neuroni del cervello, ma il suo contenuto tende a diminuire con l’età; si osserva una riduzione del 63% nel tessuto muscolare tra i 60-70 anni. La L-carnosina è nota per le sue proprietà antiossidanti, la sua capacità di ridurre i fenomeni di glicazione, cioè la “caramellizzazione” delle proteine. Protegge le membrane delle cellule muscolari dall’ossidazione e permette al muscolo cardiaco di contrarsi in modo più efficiente. Figura tra il breve elenco di componenti che estendono la durata della vita in vitro delle cellule umane. Infatti, è stato dimostrato in coltura, in particolare sui fibroblasti polmonari, che si è opposta ai danni e all’accorciamento dei telomeri di circa il 32%. In presenza di L-carnosina, i fibroblasti umani presentano da otto a dieci volte più divisioni cellulari prima di entrare in senescenza; questo si traduce in un sostanziale allungamento della vita cellulare.

BERBERINA

In esperimenti su animali, i ricercatori hanno chiaramente dimostrato che tutte le sostanze che impedivano l’azione dell’insulina consentivano di aumentare l’aspettativa di vita. D’altro canto, è anche a questo livello che agisce la restrizione calorica. Pertanto, tutte le sostanze che riducono insulina e glucosio limitano l’invecchiamento. La medicina cinese e ayurvedica utilizzano molte piante e, tra queste, la Berberis vulgaris, che contiene nelle sue bacche un potente alcaloide vegetale: la berberina. Questa sostanza è risultata essere non solo eccellente per aumentare la sensibilità delle cellule all’insulina, ma anche un ottimo mimetico della restrizione calorica stimolando l’enzima AMPK (adenosina monofosfato chinasi) che impedisce o ripara i danni cellulari. Ha anche proprietà antitumorali, protegge il sistema vascolare, mantiene la densità ossea e ha un’attività di prevenzione sul rischio di demenza. La berberina agisce nel corpo come il farmaco metformina, ma senza i rischi minori ad esso associati. La capacità della metformina per estendere la vita dei mammiferi è stata ampiamente dimostrata.

POLIFENOLI DELLA MELA

I polifenoli vegetali sono una delle fonti più promettenti per risolvere i problemi associati all’invecchiamento. Quelli contenuti nella mela hanno consentito, in tre recenti studi scientifici su lievito (Cerevisiae), vermi (C. elegans) e mosche (D. melanogaster), di estendere la loro vita del 12%. Sembra che questi risultati si spieghino con l’attivazione di geni che stimolano le difese antiossidanti endogene e con l’inibizione di altri geni coinvolti nelle morti premature. Studi epidemiologici confermano che il consumo di flavonoidi in generale, e delle mele in particolare, è positivamente correlato con la longevità umana. Tra questi polifenoli che si concentrano nella buccia di mela, la florizina è un flavonoide del gruppo dei calconi, che riduce la resistenza all’insulina e combatte efficacemente la glicazione con diversi meccanismi sinergici, tra cui un’attività specifica sulla membrana dell’intestino tenue. Questo meccanismo sarebbe anche responsabile della riduzione del deposito di grasso viscerale. Le mele sono anche ricche di acido clorogenico, catechine, epicatechine e vari tannini che sono anche potenti antiossidanti (valore ORAC tre volte superiore di quello dell’estratto di tè verde). I polifenoli della mela si oppongono quindi ai radicali liberi, in particolare inducendo un aumento di oltre il 20% dell’attività della paraoxanasi, un antiossidante endogeno. Nel contesto della prevenzione antinvecchiamento, sono principalmente utilizzati come agenti di prevenzione anticancro perchè riducono il rischio di cancro al colon del 50%.

REISHI

Il reishi è usato per scopi medicinali da più di duemila anni ed è stato chiamato dagli anziani, giustamente, il fungo dell’immortalità. Negli ultimi decenni, i ricercatori si sono concentrati sull’analisi delle sue varie componenti e la scienza ha cosi convalidato le sue molte proprietà che garantiscono all’organismo una protezione completa contro le varie malattie che riducono senza dubbio la longevità. Tra le centinaia di composti attivi presenti nel reishi, i ricercatori hanno identificato tre sostanze specifiche con potenti effetti antinvecchiamento:

- i polisaccaridi, che hanno effetti antitumorali grazie alle loro capacita di prevenire la formazione anomala dei vasi sanguigni e a rafforzare il sistema immunitario;

- i triterpeni, che proteggono il fegato, riducono la pressione arteriosa, il colesterolo, prevengono l’aggregazione piastrinica e quindi riducono il rischio di ictus e di attacco di cuore e infine hanno attività antitumorali;

- il peptide Ganoderma lucidum, che ha proprietà antiossidanti potenti, e una proteina, la LZ-8, che consente l’attivazione dei recettori che modulano l’immunità.

Ciò che rende questo fungo unico è la sua capacita di agire in più posti contemporaneamente, innescando cambiamenti importanti coinvolti nell’aumento della longevità: protegge il DNA cellulare e mitocondriale dai danni ossidativi che contribuiscono a invecchiamento e cancro, aumenta l’espressione di un gene della longevità e la speranza di vita di molte specie, dal lievito ai vermi fino ai mammiferi primitivi come i topi. I ricercatori che utilizzano il reishi su topi di laboratorio hanno così chiaramente dimostrato che il suo uso era collegato a un aumento della durata di vita degli animali compreso tra il 9 e il 20%, ovvero l’equivalente di sette - sedici anni di aspettativa di vita ulteriore nell’uomo.

L-TEANINA

Tradizionalmente usata per ridurre la sensazione di stress, ansia e angoscia, la L-teanina, estratta dalle foglie di tè verde (Camellia sinensis), si dimostra essere anche un aminoacido antinvecchiamento. Sapevamo già che l’assunzione di alte concentrazioni di L-teanina avevano un impatto sulla riduzione dell’obesità, dell’ipertensione, della frequenza cardiaca, dei livelli di lipidi sanguigni e dei rischi di cancro. Degli studi tedeschi del Dipartimento di Nutrizione Umana, condotto sui nematodi della specie C. elegans, ora suggeriscono che questa sostanza è in grado di prolungare la durata di vita di circa il 3,6-4,4%. Secondo i ricercatori, “analizzati insieme, questi risultati indicano che la L-teanina aumenta la durata della vita di C. elegans, suggerendo che questo composto potrebbe essere valutato nei mammiferi e negli esseri umani nel campo della prevenzione dell’invecchiamento”.

09-01-2020

I tumori fanno parte di un normale meccanismo biologico di risposta del sistema corpo/cervello agli insulti psichici e/o biochimici, e continuamente vengono generati e riassorbiti senza che nella stragrande maggioranza dei casi ce se ne accorga. Il cancro è un tumore che è momentaneamente sfuggito al controllo del corpo, ma se il corpo è sano il cancro può ancora ritornare sotto controllo e regredire fino a scomparire. Un tumore che progredisce troppo non è tanto dannoso di per sé, ma piuttosto perché consuma le risorse del corpo (i nutrienti) oppure perché la sua massa ostacola le funzioni fisiologiche, comprime organi e tessuti ecc. Quando un corpo è già troppo indebolito dall’eccessiva presenza di sostanze tossiche, parassiti e squilibri biofrequenziali, non è più in grado di mantenere il controllo del processo di generazione e riassorbimento del tumore, e questo degenera sempre più, con una progressiva dedifferenziazione dei tessuti, i quali divengono ameboidi e invasivi. Rimuovendo dal corpo le sostanze tossiche, i parassiti e gli squilibri biofrequenziali, e ammesso che il corpo abbia mantenuto la capacità di risposta immunitaria, il cancro può invertire la rotta e regredire più o meno rapidamente, fino a completa guarigione. La medicina olistica conosce ormai molte terapie anticancro, del tutto naturali e relativamente economiche, che agiscono sulle cause e senza distruggere il sistema immunitario: sono ormai ben collaudate e, se ben applicate, funzionano nella stragrande maggioranza dei casi.
I casi di tumore sono in apparente grande aumento essenzialmente per due ragioni: la prima è che effettivamente il nostro corpo è sempre più indebolito da sostanze estranee, e dunque è sempre meno capace di mettere in atto i meccanismi di difesa. La seconda ragione, meno evidente ma ben reale, è che la diagnostica è sempre più avanzata e scopre tumori piccolissimi, i quali il più delle volte sarebbero regrediti da soli. Quando, secondo la medicina ufficiale, ad un paziente viene detto che ha un cancro, il poveretto subisce innanzitutto un violento trauma psichico che “stampa” in lui l’idea della condanna ineluttabile, il che già compromette gravemente la capacità di reazione psiconeuroimmunologica. Come se non bastasse, il malcapitato inizia quasi sempre il calvario della chemioterapia, il che devasta il sistema immunitario, avvelena il fegato, ha forti ripercussioni sul sistema nervoso, rende debolissimi e fa vivere veramente un inferno, fra nausea, caduta dei capelli, e molto altro. Questo accade perché i chemioterapici sono tremendi veleni cellulari: mentre da un lato effettivamente ostacolano (poco) la riproduzione delle cellule cancerose, dall’altro devastano il sistema immunitario e tutte le funzioni del corpo nel suo complesso, oltre a mantenere del tutto intatte le cause che hanno portato alla comparsa del cancro stesso. Chi fa la chemioterapia quasi sempre soffre moltissimo, e spesso muore malamente. Anche quando va bene e il cancro sembra guarito, per i vasti danni prodotti difficilmente si ha poi più la possibilità di riprendersi totalmente: prima o poi il cancro ricompare, e trovando un corpo senza più difese non lascia scampo.
Per gli ammalati di cancro la chemioterapia è totalmente gratuita, grazie al Servizio Sanitario Nazionale, ma pochi sanno che il suo costo per lo stato è altissimo, decine di migliaia di euro a ciclo, da ripetere più e più volte, senza contare il costo dei farmaci associati e i trattamenti addizionali per combattere gli imponenti effetti collaterali…e poi c’è tutta la diagnostica, sempre più spinta. Ma non basta, un chemioterapizzato ha subìto talmente tanti danni che per tutto il resto della vita (generalmente breve) avrà bisogno di molti farmaci. È un business che definire immenso è poco. Le cure alternative hanno invece, al confronto della chemioterapia, un costo molto basso, e per lo più non sono brevettabili perché si tratta di prodotti naturali non lavorati.
Le multinazionali farmaceutiche, infiltratesi ormai ovunque, difendono la loro gallina dalle uova d’oro con ogni mezzo, contro la minaccia rappresentata dalle terapie naturali e olistiche. Con la forza del denaro - tanto denaro - corrompono l’Organizzazione Mondiale della Sanità (che di per sé è già una vera e propria mafia), corrompono i ricercatori falsando le sperimentazioni, influenzano pesantemente le riviste scientifiche e l’informazione al pubblico, e corrompono gli informatori sanitari. La maggioranza dei medici tutto questo lo sa bene, ma se si ribellano al sistema sono prima “consigliati” e poi minacciati, e se insistono si fa in modo di fargli passare qualche guaio giudiziario. È cosa abbastanza comune, ormai, far chiudere i siti di medicina alternativa con un pretesto qualunque, ed anzi, basta una richiesta dell’Ordine dei Medici, e la Finanza mette i sigilli al sito, “in attesa delle opportune verifiche e controlli”, poi passano mesi od anni prima della “riabilitazione”, senza alcun indennizzo del danno economico e di immagine. Ma se la Finanza non trova nulla di illegale, si fa in modo che gli sgherri dell’ufficialità, messi nei posti chiave dell’informazione, li ridicolizzino e li screditino, presentandoli come ciarlatani. Essendoci però il rischio che la verità salti fuori, lo sforzo più grande è dedicato alla manipolazione dei dati sui tumori e sull’efficacia della chemioterapia. Non potendo falsificare tutti i risultati delle terapie, viene adottato un metodo del tutto particolare per valutarli. Tutto dipende dai dati, vediamo…

• Cominciamo col dire che se un ammalato di cancro sopravvive 5 anni dal giorno della diagnosi, viene automaticamente classificato come “guarito”, e questo anche se sta malissimo e muore a 5 anni e un giorno! Se per esempio un paziente viene ospedalizzato per un tumore allo stomaco, e dopo fatto il ciclo di chemioterapia esce, nelle statistiche non è considerata solo come una dimissione, ma come guarigione!

• Se dopo 3 mesi lo stesso paziente ritorna con un tumore al fegato (probabilmente scatenato dalla chemioterapia) il caso non sarà riaperto e ricollegato all’altro, ma sarà considerato come nuovo!

• Se un paziente viene dimesso, e successivamente ritorna anche per controlli e viene di nuovo dimesso, ogni volta è un dato positivo. Ma poiché si può morire solo 1 volta, anche se si viene dimessi 9 volte, alla fine il risultato dichiarato sarà del 90% di guarigioni e del 10% di mortalità!

• E ancora: dal tumore al testicolo si salvano più del 90% dei malati, mentre da tumore al polmone si salvano solo il 10%. Si dichiara così una sopravvivenza media di circa il 50%, nascondendo però che quelli del testicolo sono solo 2000 l’anno, mentre quelli del tumore al polmone sono 40.000…perciò la vera media sarebbe molto, molto più bassa!

La sconcertante realtà che si evince dalle statistiche correttamente eseguite è che, quasi sempre, chi non fa la chemioterapia vive più a lungo di chi non fa nessuna terapia! E inoltre, sempre dai veri dati, risulta che l’aggressività di un tumore recidivante diventa esponenziale dopo la chemioterapia, e se poi ricompare c’è ben poco da fare, in un organismo compromesso dal veleno. Non fatevi fregare.

09-01-2020

Vi siete mai chiesti perché l’acido citrico è presente in quasi ogni cibo o bevanda? Questo prodotto si trova in tutto, dal tè alla salsa biologica. Scansionato in quasi tutte le etichetta degli alimenti, l’acido citrico, che tutti abbiamo immaginato come estratto di succo di limone o qualcosa del genere, in realtà è un prodotto moderno derivato dalla fermentazione del glucosio. L’acido citrico appare come una sostanza bianca in polvere che ha un sapore simile al succo di limone. È un derivato della fermentazione dell’Aspergillus niger, che produce acido citrico come sottoprodotto del suo metabolismo. Questo metodo peculiare ed economico di produzione dell’acido citrico (poco costoso al contrario dell’uso di limoni) è stato scoperto nel 1917 dal chimico americano James Currie. È utilizzato sia come esaltatore di sapidità che come ingrediente conservante. Fornisce sapore e allo stesso tempo bilancia il pH degli alimenti, aumentando i livelli di acidità in modo da preservarli più a lungo. In breve, aumenta l’acidità dell’ambiente rendendo più difficile per muffe o batteri di sopravvivere e riprodursi. Questo è il motivo per cui l’acido citrico si trova in così tanti prodotti alimentari moderni. Ma questi suoi aspetti positivi non arrivano senza un prezzo, come vediamo di seguito.
Il primo problema è che l’acido citrico può potenzialmente essere prodotto con OGM. L’acido citrico è fatto con l’utilizzo di barbabietole da zucchero o mais, che, se si segue la questione degli OGM, si sa che sono alcuni dei più grandi cibi geneticamente modificati. Esistono anche altre implicazioni per la salute che possono derivare dal consumo di acido citrico: può irritare il sistema digestivo (l'acido ascorbico ha attributi simili), causando bruciore di stomaco e danno alla mucosa dello stomaco. Gli occhi, la pelle e gli organi respiratori possono anche essere compromessi oltre a sensazioni pruriginose derivanti dal consumo eccessivo di acido citrico. Alcuni studi europei suggeriscono che l’acido citrico può essere responsabile della promozione di carie. Purtroppo, ad oggi non troverete dichiarazioni cautelative di qualsiasi tipo su tutti i prodotti che avvertono della presenza di acido citrico. Se scegliete di cercare di evitare l’acido citrico, buona fortuna: lo troverete in quasi ogni prodotto alimentare immaginabile, biologico o meno.

09-01-2020

A chi non piace sorseggiare una tazza di tè bollente soprattutto nelle fredde giornate d’inverno? Magari dopo aver trascorso qualche ora all’aperto a sciare o semplicemente a fare una passeggiata? D’ora in avanti però meglio lasciar raffreddare il tè prima di goderselo: bere spesso tè troppo caldo potrebbe aumentare il rischio di cancro all’esofago. L’associazione non è nuova, ma lo studio che arriva a queste conclusioni, pubblicato negli Annals of international Medicine, è il più grande mai fatto nel suo genere e ha studiato quasi 500 mila persone. I ricercatori hanno concluso che bere tè caldo o bollente è associato a un aumento da due a cinque volte del tumore all’esofago, ma solo nelle persone che fumano e bevono alcolici. Il cancro esofageo è l’ottavo tumore più diffuso al mondo: è spesso fatale e, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro uccide ogni anno circa 400 mila persone. Cina e Giappone (dove si beve sakè bollente) sono Paesi in cui l’incidenza di questa neoplasia è più elevata. In genere è causato da lesioni all’esofago provocate da fumo, alcol, reflusso e anche liquidi bollenti.
I ricercatori della National Natural Science Foundation of China e del Programma nazionale di ricerca e sviluppo hanno intervistato i partecipanti arruolati nello studio China Kadoorie Biobank (CKB), escludendo quelli con una precedente diagnosi di cancro o con un ridotto consumo di tè, alcol o fumo, per capire se l’abitudine di bere tè bollente fosse associata a un aumentato rischio di cancro esofageo. Gli autori hanno seguito 456.155 soggetti fra 30 e 79 anni in media per 9,2 anni. Così hanno individuato un’associazione importante fra tè caldo, alcol o fumo e rischio di cancro esofageo. In particolare, per chi oltre a bere tè bollente consumava anche parecchi alcolici e fumava il rischio di cancro esofageo è risultato più di 5 volte maggiore rispetto a quanti non avevano nessuna di queste abitudini. Tuttavia, in assenza di consumo eccessivo di alcool e di sigarette il consumo quotidiano di tè non è risultato associato al rischio di cancro esofageo. «Le bevande molto calde potrebbero rendere l’esofago più vulnerabile agli agenti cancerogeni noti come fumo e alcol. Irritare la mucosa dell’esofago potrebbe portare a un aumento dell’infiammazione e i liquidi troppo caldi possono compromettere la funzione di barriera delle cellule che rivestono l’esofago, lasciando il tessuto più predisposto ad essere attaccato da altri agenti cancerogeni» ha spiegato Neal Freedman, ricercatore del Nacional Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland, intervistato dalla CNN.
Uno dei principali limiti dello studio è che i partecipanti non hanno misurato la temperatura del proprio tè in modo oggettivo, ma dovevano descrivere la bevanda come «calda» «o molto calda». Studi precedenti hanno tuttavia affermato che bere bevande calde superiori ai 65° potrebbe provocare il cancro all’esofago. In una revisione pubblicata nel 2016 su The Lancet Oncology bere bevande molto calde è stato classificato come «probabilmente cancerogeno per l’uomo». In Europa e negli Stati Uniti raramente si consuma tè ad altissime temperature, cosa che invece avviene in Medio Oriente o in Russia. Resta importante che la migliore prevenzione del tumore esofageo è limitare il consumo di tabacco e alcol.

 

https://annals.org/aim/article-abstract/2671921/effect-hot-tea-consumption-its-interactions-alcohol-tobacco-use-risk

https://edition.cnn.com/2018/02/05/health/hot-tea-esophageal-cancer-risk-study/index.html

https://www.researchgate.net/publication/304146414_Carcinogenicity_of_drinking_coffee_mate_and_very_hot_beverages

Venerdì, 03 Gennaio 2020 19:04

STRINGENDO I PUGNI SI SOLLECITA LA MEMORIA.

03-01-2020

Stringere il pugno con la mano destra per memorizzare le cose, e con quella sinistra per ricordarle: per allenare i neuroni la gestualità è molto più importante di quello che ci si potrebbe immaginare, almeno secondo quanto suggerisce uno studio americano pubblicato su 'Plos One'. I ricercatori della Montclair State University nel New Jersey hanno suddiviso i partecipanti in 5 gruppi. Il primo doveva stringere la mano destra per 90 secondi prima di memorizzare una lista di 72 nomi, e successivamente fare lo stesso prima di ricordarli. Il secondo gruppo doveva compiere le stesse azioni ma con la mano sinistra, il terzo e il quarto gruppo dovevano invece alternare le due mani. Inoltre, un gruppo di controllo ha memorizzato e riportato alla mente la lista senza stringere i pugni. Le performance di chi aveva stretto la mano destra per favorire il processo di memorizzazione, e la sinistra prima di ricordare la lista, era nettamente superiore rispetto a quella degli altri gruppi, compreso il gruppo di controllo, anche se con quest'ultimo il risultato riscontrato era statisticamente non significativo.
L'autrice principale, Ruth Propper, spiega che "dalla ricerca si evince come alcuni semplici movimenti del corpo, modificando temporaneamente le vie cerebrali utilizzate, possano migliorare la memoria. Future ricerche esamineranno se stringere i pugni può migliorare altre forme di cognizione, per esempio delle capacità verbali o spaziali". Gli autori ci tengono a specificare che è necessario che le ricerche vadano avanti per verificare se sia possibile ottenere gli stessi risultati ottenuti con la memorizzazione delle parole anche con stimoli visivi come ad esempio ricordare un volto, o spaziali, come ad esempio ricordare dove erano le chiavi di casa. Sulla base del lavoro svolto finora, gli autori suggeriscono che l'effetto sulla memoria che si ottiene dalla stretta dei pugni potrebbe essere dovuto all'attivazione di specifiche regioni del cervello che sono associate alla formazione della memoria.

 

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0062474

https://www.eurekalert.org/pub_releases/2013-04/plos-crf041913.php

03-01-2020

Con la crescente consapevolezza sull'intima relazione che collega intestino e cervello, il concetto che il grano possa danneggiare il cervello può iniziare ad essere preso sul serio. Molte recenti pubblicazioni, come il best seller del New York Times “Wheat Belly” del Dr. William Davis, hanno permesso di effettuare grandi progressi nella conoscenza popolare sulla dipendenza prodotta dal glutine. Anche "Grain Brain" di David Perlmutter illustra con enfasi il ruolo giocato dal grano come agente additivo. Del resto, la farina rappresenta la causa più comune di danno intestinale (enteropatia) sia nelle persone celiache che in coloro che hanno una semplice intolleranza al glutine ma non sono state diagnosticate come celiache. Non è casuale che i danni del glutine associati all'intestino – definito spesso come “cervello enterico” o “secondo cervello” - possono avere effetti secondari anche sul sistema nervoso centrale. Oltre a questo, una ricerca portata avanti di recente ha identificato nella letteratura biomedica oltre 200 effetti collaterali correlati ai cereali contenenti glutine, con la neurotossicità in cima alla lista di 21 diverse modalità di rischio associate agli effetti del grano. Queste proprietà neurotossiche si estendono dalla neuropatia all'atassìa, fino a diverse condizioni psichiatriche come stati acuti di mania e di schizofrenia.
Uno studio pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry intitolato “Cervello Iper-eccitabile e Celiachia: una nuova sindrome” ha identificato questa nuova sindrome all'interno di una più ampia gamma di cosiddetti disturbi correlati al consumo di glutine. Gli autori la definiscono Ipereccitabilità cerebrale e malattia celiaca refrattaria. Secondo lo studio, mentre la malattia celiaca rimane una delle più frequenti manifestazioni dei disturbi di questo tipo, anche la disfunzione neurologica sta prendendo piede come manifestazione extra-intestinale, con una serie di disturbi come atassìa cerebellare, neuropatia, ganglionopatia sensoriale ed encefalopatia (mal di testa e anomalie della sostanza bianca). Gli esperti sottolineano che le manifestazioni neurologiche derivanti dalla tossicità del glutine può avvenire con o senza evidenza di danno intestinale. Mentre il danno intestinale è molto più comune di quanto si creda, il problema legato al glutine si estende ben oltre la parete intestinale e raggiunge anche l'esterno dell'intestino con i suoi effetti secondari. Va anche detto che molte delle sequenze peptidiche all'interno della vasta gamma di proteine che noi definiamo comunemente come “glutine” sono farmacologicamente psicoattive e le conseguenze a livello cognitivo e neurologico si verificano subito dopo l'ingestione.
Uno studio più recente ha coinvolto 7 pazienti (5 uomini e 2 donne) scelti tra 540 pazienti con manifestazioni neurologiche correlate al glutine. Questi pazienti hanno dato segni di tremore mioclonico, una contrazione muscolare involontaria che inizialmente appare sul volto, sulla lingua, su un braccio o una gamba. Poi si diffonde al resto del corpo in modo così grave da portare a crisi epilettiche che iniziano con un'attività elettrica anomala all'interno della corteccia motoria primaria e che può coinvolgere una serie di comportamenti come sbavare, schioccare le labbra, effettuare movimenti non intenzionali. Inoltre tutti i pazienti presentavano atassìa agli arti, con una prominente andatura atassica. L'atassìa è la mancanza di coordinamento volontario dei movimenti muscolari, per intenderci. Alcuni test elettrofisiologici hanno mostrato le prove di mioclono corticale, degli spasmi muscolari involontari provenienti da una scarica anomala della corteccia cerebrale. Un'ulteriore valutazione clinica ha rivelato anche il coinvolgimento cerebellare, ma questa è una caratteristica secondaria. Bisogna infatti distinguere questa condizione dall'atassìa cerebellare che è la più invalidante. A tutti i pazienti è stata fatta seguire una dieta rigorosa priva di glutine, ma anche dopo l'eliminazione degli anticorpi correlati al glutine si presentava ancora il danno intestinale refrattario, manifestazione della resistenza della malattia celiaca. I ricercatori ritengono che questa sindrome, seppur rara, è la più comune manifestazione neurologica della celiachia refrattaria. Naturalmente questa non è che la punta dell'iceberg dei disturbi legati al consumo di glutine. Si aggiunge al tema scottante del grano e dei suoi danni sul cervello o dell'alterazione mentale che è capace di causare.

03-01-2020

Le pubblicità farmaceutiche e i medici convenzionali dicono al pubblico che la depressione è causata da uno squilibrio di un neurotrasmettitore cerebrale denominato serotonina. Questa ipotesi fa pensare che i farmaci in grado di apportare serotonina al cervello siano la risposta alla depressione. Purtroppo però non c’è prova scientifica che la terapia farmacologica realmente funzioni. Negli studi in cui gli scienziati hanno diminuito i livelli di serotonina per indurre la depressione, l’esperimento è fallito. Altri studi hanno invece evidenziato come un aumento drammatico dei livelli di serotonina nel cervello non abbia per nulla alleviato la depressione. Quindi ci si chiede perchè fra i medici persista l’abitudine di prescrivere farmaci con effetti secondari importanti che vanno dai cambiamenti d’umore ai comportamenti suicidi o omicidi, pur conoscendone la loro inutilità.
Ci sono trattamenti che possono alleviare la depressione senza bisogno dei farmaci. Molti dei sintomi della depressione possono direttamente essere collegati alla mancanza di minerali e vitamine a causa della dieta standard attuale, che in gran parte è composta da carboidrati inutili, caffeina e zucchero. La depressione, i cambiamenti d’umore e la stanchezza spesso hanno una causa comune: scarsa nutrizione. Evitare la depressione o recuperare dopo un episodio depressivo spesso è facile quanto cambiare la propria dieta amplificando il consumo di alimenti chiave ricchi in nutrienti che contribuiscono a regolare la chimica del cervello. I quattro alimenti utili per combattere la depressione sono:

1. OLIO DI PESCE: Contiene acidi grassi omega-3. La ricerca ha indicato che i depressi spesso sono carenti in un acido grasso conosciuto come EPA. I partecipanti ad uno studio del 2002 descritto negli Archives of General Psychiatry hanno assunto solo un grammo di olio di pesce al giorno notando una diminuzione del 50 per cento di sintomi come ansia, disordini del sonno, inspiegabile senso di tristezza, pensieri suicidi e diminuzione della libido. Gli acidi grassi omega-3 possono inoltre abbassare il colesterolo e migliorare la salute cardiovascolare. Gli omega-3 si ottengono dalle noci, semi di lino e dai pesci oleosi come i salmoni. Un altro alimento ricco in omega-3 sono i semi di chia.

2. RISO INTEGRALE: Contiene le vitamine B1, B3 e acido folico. Il riso sbramato è inoltre un alimento a basso indice glicemico, ovvero la velocità con cui il glucosio entra nella circolazione sanguigna, evitando un calo dei livelli di zucchero che danno oscillazioni dell’umore. Il riso sbramato inoltre fornisce molti minerali traccia di cui abbiamo bisogno per una buona attività biochimica, così come tanta fibra che può mantenere sano il sistema digestivo e basso il colesterolo. Le varietà raffinate di riso non offrono questi benefici.

3. LIEVITO DI BIRRA: Contiene tutte le vitamine del gruppo B. Il lievito di birra dovrebbe essere evitato se non tollerate bene il lievito. Questo super alimento contiene un vasto assortimento di vitamine e minerali, compreso 16 amminoacidi e 14 minerali. Gli amminoacidi sono vitali per il sistema nervoso.

4. CAVOLO: Contiene vitamina C e acido folico. Il cavolo protegge dallo stress, infezioni e cardiopatie, così come molti tipi di cancro, secondo l’American Association for Cancer Research. Il cavolo è inoltre una buona fonte di fibra per stabilizzare la glicemia e il succo grezzo di cavolo è una cura conosciuta per le ulcere dello stomaco.

Alimenti come il cacao grezzo e le noci del Brasile (ricche in selenio) sono inoltre eccellenti per migliorare la funzione cerebrale ed eliminare la depressione.

COSE DA EVITARE

Se ritenete di essere depressi o a rischio di depressione, dovete inoltre evitare determinati alimenti e sostanze. Alcuni medicinali comunemente prescritti, come antibiotici, barbiturici, anfetamine, antidolorifici, antiulcera, anticonvulsivi, betabloccanti, farmaci anti-Parkinson, pillole anticoncezionali, antipertensivi e farmaci psicotropi, contribuiscono alla depressione. Se li utilizzate, non eliminateli senza chiedere al vostro medico; ma siate consapevoli che possono contribuire alla depressione depauperando l’organismo delle vitamine e dei minerali necessari ad impedirla. Dovreste evitare anche la caffeina, il fumo e gli alimenti ricchi in grassi e zuccheri. Mantenere stabile la glicemia e ottenere le vitamine del complesso B è fondamentale per la stabilizzazione del vostro umore. Il cacao può essere valido per l’umore perché libera endorfine nel cervello, ma non utilizzate caramelle e cioccolato al latte ricche in zucchero.

ALTRE COSE DA FARE

- Esporsi abbondantemente al sole. La luce solare naturale è una cura provata per la depressione.

- Fare esercizio fisico regolare almeno tre volte alla settimana. L’esercizio altera la biochimica del cervello in senso positivo.

- Assumere supplementi di qualità per ottenere nutrienti naturali dal mondo delle piante.

03-01-2020

Una tiroide che funziona bene è fondamentale per il buon equilibrio ormonale a tutte le età. Inoltre, in molti casi, è un modo per controllare efficacemente il peso, essendo l’ipotiroidismo spesso sinonimo di difficoltà a perdere chili in eccesso. Qui di seguito le sostanze utili per risvegliare questa ghiandola importantissima per il metabolismo:

- IODIO ED L-TIROSINA: sono indispensabili per la produzione degli ormoni tiroidei; l’organismo produce naturalmente la tirosina a partire dagli altri aminoacidi ma, con l’invecchiamento, questa produzione diventa più rara e diventa indispensabile integrarla.

- ZINCO: rinforza il funzionamento della tiroide: sembra che contribuisca alla conversione della T4 (tiroxina) in T3 (triiodotironina), essendo quest’ultima l’ormone tiroideo più attivo.

- SELENIO: è più concentrato nella tiroide che in qualsiasi altro organo. La protegge grazie alle sue proprietà antiossidanti e agisce come cofattore facilitando la produzione degli ormoni tiroidei e favorisce la conversione della T4 in T3. È uno dei componenti dell’enzima Tiroxina 5-deiodinasi di tipo 1 che interviene in questa conversione. Nelle persone anziane, la diminuzione della conversione di T4 in T3 è spesso dovuta a una carenza di selenio.

- MAGNESIO: un’integrazione di magnesio previene la diminuzione dell’attività della tiroide alimentata dalla pratica di un’attività sportiva stancante, negli sportivi così come negli uomini sedentari.

- FORSKOLINA: la forskolina, estratta dal Coleus forskohlii, agisce attivando l’enzima adenilato ciclasi, aumentando l’adenosina monosfosfato ciclica (cAMP) nelle cellule; la conseguenza principale è l’aumento della produzione degli ormoni tiroidei e la stimolazione della loro liberazione.

- GUGGUL: i guggulsteroni, estratti dal Commiphora mukul, stimolano l’attività della ghiandola tiroidea e aumentano la conversione della T4 in T3. È a questi effetti che è attribuita la capacità dei guggulsteroni di favorire la perdita di peso. L’assunzione di guggulsteroni si accompagna anche alla diminuzione delle lesioni ossidative a livello del fegato, sito principale di stoccaggio della T4 e della conversione in T3.

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