Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

03-01-2019

La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa, la cui incidenza aumenta con l’età e che si stima colpisca circa 10 milioni di persone nel mondo, prevalentemente uomini. Le cause della malattia sono a oggi sconosciute, anche se alcune evidenze suggeriscono il coinvolgimento di fattori sia genetici che ambientali. In particolare il rapporto tra malattia di Parkinson e livelli plasmatici di ferro (o sideremia) è stato oggetto di numerose ricerche, che hanno evidenziato associazioni di differente segno tra la malattia e i livelli della sideremia stessa. Grazie all’uso di una metodologia che tiene conto dell’effetto delle varianti genetiche sulla malattia (cosiddetta “randomizzazione Mendeliana”) gli Autori di questo studio, elaborando i dati relativi a circa 130.000 soggetti provenienti da Europa, Nord America e Australia, hanno potuto stabilire l’esistenza di un rapporto di tipo causale tra i livelli della sideremia e la probabilità di sviluppare malattia di Parkinson. Il rischio, in particolare, si riduce del 3% per ogni aumento di 10 microgrammi/100 ml della sideremia stessa. Dalla metanalisi, che suggerisce che difetti del metabolismo del ferro possano rappresentare un fattore importante nella patogenesi del Parkinson, emerge quindi l’indicazione a un potenziale effetto protettivo del ferro circolante nei confronti del Parkinson. L’informazione può essere utile per meglio comprendere la patogenesi e lo sviluppo di questa malattia ormai diffusa che, nelle fasi avanzate, è spesso gravemente invalidante.

 

http://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.1001462

03-01-2019

Una dose giornaliera di vitamina D3 migliora la funzione cardiaca in pazienti con insufficienza cardiaca cronica, secondo un progetto di ricerca quinquennale dell’Università di Leeds. Il Dr. Klaus Witte, della Facoltà di Medicina e consulente cardiologo presso il Leeds Teaching Hospitals NHS Trust che ha condotto lo studio, dice: “Questo è un passo avanti significativo. E’ stato dimostrato per la prima prova che la vitamina D3 può migliorare la funzione del cuore nelle persone con debolezza muscolare cardiaca, nota come insufficienza cardiaca. Questi risultati potrebbero rappresentare una differenza significativa per la cura dei pazienti“. La vitamina D3 può essere potenziata con l’esposizione alla luce solare, ma i pazienti con insufficienza cardiaca sono spesso carenti di questa vitamina anche durante l’estate. Lo studio, che è stato finanziato dal Medical Research Council, ha coinvolto più di 160 pazienti del Leeds che erano già in trattamento per insufficienza cardiaca con trattamenti standard tra cui beta-bloccanti, ACE-inibitori e pacemaker. I partecipanti sono stati invitati ad assumere una compressa di vitamina D3 o un placebo per un anno. Quei pazienti che hanno assunto la vitamina D3 hanno sperimentato un miglioramento della funzione cardiaca che non è stato osservata in coloro che hanno assunto un placebo. Cambiamenti nella funzione cardiaca sono stati misurati con un ecocardiogramma ed è stata misurata anche la frazione di eiezione ( la frazione di eiezione del cuore è la frazione o porzione di sangue che il cuore pompa (espelle) dal ventricolo sinistro (gittata ventricolare sistolica) a ogni battito cardiaco rispetto al volume telediastolico).
La frazione di eiezione di una persona sana è di solito tra il 60% e il 70%. In pazienti con insufficienza cardiaca, la frazione di eiezione è spesso significativamente compromessa. Nei pazienti arruolati nello studio la media della frazione di eiezione era del 26%. Negli 80 pazienti che hanno assunto vitamina D3, la funzione di pompaggio del cuore è migliorata dal 26% al 34%. Negli altri, che hanno assunto il placebo, non vi è stato alcun cambiamento della funzione cardiaca. Questo significa che per alcuni pazienti con malattie cardiache, l’assunzione regolare di vitamina D3 può ripristinare un ritmo cardiaco normale. Un aspetto fondamentale di questo studio è che i ricercatori hanno evitato l’utilizzo di integratori a base di calcio che possono causare ulteriori problemi nei pazienti con insufficienza cardiaca. L’insufficienza cardiaca colpisce circa 900.000 persone nel Regno Unito e più di 23 milioni in tutto il mondo. La condizione può colpire persone di tutte le età, ma è più comune nelle persone anziane, più della metà di tutte le persone nel mondo con insufficienza cardiaca sono di età superiore ai 75 anni.

 

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2016-04/uol-vdi033116.php

02-01-2019

Probiotici e oli essenziali (come l'ormai famoso tea tree oil) sono un’ottima combinazione nel trattamento di diverse problematiche di salute, tra cui la candida vaginale. Una ricerca conferma che la sinergia tra questi due rimedi naturali può aiutare a sconfiggere la tanto fastidiosa candidosi.
Ho parlato diverse volte delle potenzialità degli oli essenziali, sostanze naturali dai principi attivi molto interessanti e diversificati a seconda delle piante, fiori o frutti da cui sono estratti. I più noti e utilizzati sono senza dubbio il tea tree oil, l’olio essenziale di lavanda, quello di eucalipto, di timo e di limone, ma ve ne sono molti altri. 
Sui benefici per la salute degli oli essenziali, in prevenzione ma anche come veri e propri trattamenti terapeutici, si sono concentrate diverse ricerche negli ultimi anni. Tra queste quella condotta dalla dottoressa Francesca Mondello del Dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS, in collaborazione con altri dipartimenti dell'istituto e alcune Università e associazioni scientifiche. Questa si è soffermata in particolare ad analizzare l’efficacia di oli essenziali e idrolati nei confronti di infezioni dovute a funghi o batteri, anche quelli diventati ormai resistenti ai tradizionali farmaci.
Le potenzialità in questo senso sono riposte ad esempio nel tea tree oil (estratto dalla Melaleuca alternifolia) su cui sono stati effettuati, e sono ancora attualmente in corso, studi in vitro e in vivo sul potenziale ruolo preventivo e terapeutico di un suo specifico principio attivo, il terpinene-4-olo. Questo, secondo i risultati ottenuti, potrebbe essere utile nel contrastare diversi tipi di funghi e batteri:

• Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli (tutti resistenti ai farmaci).

• Legionella (per evitare contaminazioni nei sistemi idrici).

• Candida.

Il tea tree oil si è mostrato attivo e utile nei confronti della candidosi vulvovaginale ricorrente e resistente ai comuni antimicotici. Una ricerca, pubblicata su Medical Journal of Obstetric and Gynecology, ha dimostrato come questo olio essenziale sia efficace sotto forma di ovuli vaginali, in particolare se combinato all’utilizzo di probiotici. 
I probiotici sono integratori in grado di ripristinare il corretto equilibrio della nostra flora intestinale che, in caso di candida ma non solo, può trovarsi in una condizione di disbiosi e favorire dunque la comparsa di diversi disturbi anche lontani dal sistema gastrointestinale.
Lo studio ha notato come l’associazione di questi due rimedi naturali fosse in grado di aggredire il fungo attaccandolo nelle due zone dell’organismo interessate: il canale vaginale (grazie agli ovuli di tea tree oil) e l’intestino (grazie ai probiotici in grado di ricolonizzarlo al meglio). Tutto questo senza creare alcun effetto collaterale e senza che nessun residuo dei componenti dell’olio fosse trovato a livello sistemico.
Come ha spiegato al dottoressa Mondello: “Alla luce dei nostri studi preclinici pregressi insieme a quelli di altri ricercatori e al nostro studio pilota sopra citato, sarebbero utili studi clinici randomizzati controllati per determinare l’indice terapeutico del TTO e del suo principale componente, il terpinene-4-olo, contro la candidosi vulvovaginale ricorrente, per cui attualmente nessuna cura eradicante è disponibile”.
La ricerca dunque non si ferma. C’è bisogno di nuove conferme per capire se effettivamente la combinazione di questi due rimedi possa essere sempre e comunque efficace in caso di candida recidiva e resistente ai farmaci.

 

https://www.jscimedcentral.com/Obstetrics/obstetrics-4-1090.pdf

02-01-2019

Johnson & Johnson sapeva da decenni che nel borotalco per bambini era presente amianto. Lo dice una nuova inchiesta condotta da Reuters, secondo cui la società era al corrente di tutto ma aveva tenuto nascoste queste informazioni sia alle autorità che ai consumatori. Una scoperta che sconvolge ma che non stupisce alla luce delle numerose condanne piovute sulla testa, accusata col suo prodotto, di aver favorito la comparsa di varie forme di cancro.
Per l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) "tutti i tipi di amianto causano il cancro del polmone, il mesotelioma, il cancro della laringe e dell'ovaio e l'asbestosi (fibrosi dei polmoni)". L'Oms e altre autorità non riconoscono alcun livello sicuro di esposizione all'amianto. Poiché a volte è presente nella terra insieme al talco, la contaminazione è possibile. Reuters ha cercato di andare fino in fondo alla vicenda insieme agli avvocati di oltre 11.000 persone che hanno fatto causa a Johnson & Johnson.
In occasione di varie controversie legali, J & J è stata costretta a condividere migliaia di pagine di note aziendali, rapporti interni e altri documenti riservati con gli avvocati dei querelanti. Reuters ha esaminato molti di questi documenti, così come testimonianze su deposizioni e processi, scoprendo che dal 1971 agli inizi degli anni 2000, il talco grezzo e le polveri finite della società a volte presentavano piccole quantità di amianto. Ma non solo: dirigenti della società, manager, scienziati, dottori e avvocati si sono dati da fare per affrontare il problema tenendo all'oscuro i regolatori sanitari e il pubblico. I documenti descrivono anche gli sforzi fatti per influenzare i piani degli enti regolatori statunitensi volti a limitare l'amianto nei prodotti a base di talco e la ricerca scientifica sugli effetti del talco sulla salute.
Le prime menzioni del talco J & J contaminato che Reuters ha trovato provengono da un laboratorio di consulenza del 1957 e del 1958. In diversi momenti da allora all'inizio del 2000, i rapporti degli scienziati di J & J, dei laboratori esterni e dei fornitori di J & J hanno prodotto risultati simili. Nel 1976, quando la Food and Drug Administration (FDA) americana stava ponderando i limiti dell'amianto nei prodotti cosmetici di talco, J & J assicurò al regolatore che l'amianto non era stato "rilevato in alcun campione" di talco prodotto tra il dicembre 1972 e l'ottobre 1973. Ma almeno tre test di altrettanti laboratori dal 1972 al 1975 diedero esito positivo, segnalando livelli di amianto anche "piuttosto alti".
Anche Robert Wood Johnson II, il figlio del fondatore e CEO in pensione, aveva espresso "preoccupazione per la possibilità di effetti avversi sui polmoni di neonati o madri". Johnson & Johnson, nel frattempo, ha promesso di appellarsi contro tutti i verdetti e sostiene ancora che i suoi prodotti siano sicuri. Il vice presidente dei media relations globali dell'azienda, Ernie Knewitz, ha scritto in una e-mail a Reuters: "Gli avvocati dei querelanti per guadagni finanziari personali distorcono documenti storici e creano intenzionalmente confusione nell'aula di tribunale e nei media. Questo è tutto un tentativo calcolato di distrarre dal fatto che migliaia di test indipendenti dimostrano che il nostro talco non contiene amianto o causa cancro. Qualsiasi suggerimento che Johnson & Johnson conoscesse o nascondesse informazioni sulla sicurezza del talco è falso".

 

https://www.reuters.com/article/us-johnson-johnson-cancer-stock/jj-shares-nosedive-on-report-it-knew-of-asbestos-in-baby-powder-idUSKBN1OD1ZK

02-01-2019

Combattere depressione e ansia grazie al mango. Abbondanti nei paesi tropicali e dai frutti dolci e succosi, le piante di mango avrebbero anche un’altra parte buona: la corteccia e proprio questa fornirebbe alla salute molti benefici. Uno studio condotto all’Università di Lagos, in Nigeria, ha infatti dimostrato che gli estratti dalla corteccia di un albero di mango (Mangifera indica) migliorano significativamente la depressione. Non solo, quindi, il mango aiuta a dimagrire e a combattere alcuni tipi di cancro, ma si mostra anche un valido aiuto contro gli stati depressivi.
La depressione è una condizione caratterizzata da persistenti sentimenti di tristezza o di dolore. È diventata sempre più diffusa nel corso degli anni e le persone che ne soffrono sperimentano poca energia, perdita di appetito e disinteresse per le cose quotidiane. La depressione aumenta il rischio di suicidio, abuso di alcol e droghe, obesità e dolore cronico. Per migliorare la qualità della vita dei pazienti depressi, spesso vengono somministrati antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), ai quali – ovvio – vanno associati molti effetti collaterali, tra cui problemi di sonno, mal di testa, aumento di peso e aumento del rischio di suicidio. Per questo motivo, i ricercatori continuano a cercare alternative naturali che siano sia efficaci che sicure.
La corteccia degli alberi di mango è già comunemente usata nella medicina tradizionale africana e ayurvedica per rimediare all’ipertensione, all’insonnia, alla crescita tumorale, ai reumatismi e proprio alla depressione. Ricerche precedenti avevano già dimostrato che la corteccia di mango è ricca di composti bioattivi come alcaloidi, flavonoidi, saponine, tannini, fenoli, acido ascorbico, riboflavina, niacina e tiamina. In queste nuove indagini, i ricercatori hanno raccolto estratti dalla corteccia di albero di mango e ne hanno analizzato i potenziali effetti antidepressivi e ansiolitici comparandoli ai diversi farmaci convenzionali usati per la depressione e per l’ansia (come la paraclorofenilalanina).
I risultati dello studio hanno dimostrato che il trattamento con estratti di corteccia di mango avrebbe migliorato significativamente comportamenti depressivi e ansiosi in laboratorio e nel complesso hanno dimostrato che i manghi hanno un potenziale utilizzo come rimedio naturale per la depressione soprattutto per ridurre la dipendenza da farmaci antidepressivi dannosi.

 

https://www.science.news/2018-11-26-are-mangoes-a-natural-remedy-for-depression.html

02-01-2019

L’arnica montana è una preziosa pianta dalle spiccate proprietà antisettiche, antinfiammatorie e antidolorifiche. I vantaggi dell’uso di questa preziosa pianta a livello topico sono ben chiari a molti. Meno chiaro invece è il meccanismo d’azione a livello cellulare. O almeno lo era, prima che divenisse oggetto di studio di un gruppo di ricerca italiano. Alcuni studiosi italiani appartenenti all’Università di Verona e all’Università di Milano-Bicocca hanno infatti provato a dimostrare in laboratorio la sua efficacia. I risultati dello studio sono stati poi pubblicati sulla rivista PlosOne.
La ricerca, che prende il titolo di “Arnica montana stimulates extracellular matrix gene expression in a macrophage cell line differentiated to wound-healing phenotype”, aveva lo scopo di indagare l’azione dell’Arnica montana a basso dosaggio sull’espressione genica nei macrofagi umani. I risultati sono stati sorprendenti. Gli studiosi italiani hanno sottoposto una coltura di macrofagi a dei trattamenti con Arnica a diverse diluizioni omeopatiche per 24 ore. Le cellule sono state differenziate con interleuchina-4, in modo da somigliare a quelle che si trovano nelle ferite umane. I ricercatori hanno proceduto così all’analisi della totalità dei geni espressi dai macrofagi con una tecnica chiamata “Next-generation sequencing”. L’Arnica montana stimola l’espressione genica dei macrofagi umani. Ecco l’importante scoperta dei ricercatori italiani sulla pianta capace di curare traumi e ferite. Durante i test, è stato evidenziato l’aumento statisticamente significativo di 7 geni di cui 3 collegati alla matrice extracellulare del tessuto connettivo. L’esame delle proteine ha confermato un incremento statisticamente significativo della produzione di fibronectina. Gli stessi gruppi di geni sono stati trattati incrementando le diluzioni di Arnica montana (3c, 5c, 9c, 15c), sebbene con effetti di minore entità.
In conclusione, affermano i ricercatori, i risultati di questo lavoro, considerati nel loro insieme, forniscono nuove e importanti informazioni sull’azione guaritrice e riparatrice dei tessuti attraverso l’utilizzo dell’Arnica montana, individuando allo stesso tempo nella regolazione a matrice extracellulare da parte dei macrofagi un obiettivo terapeutico. “L’importanza funzionale dell’effetto di Arnica – proseguono gli studiosi – è sottolineata anche dalla scoperta che se si opera artificialmente un graffio dello strato cellulare, i macrofagi lo riparano più velocemente: in sintesi, le cellule sono dotate di un’altissima sensibilità a livello della regolazione dell’espressione genica ed è suggestivo sapere che il DNA dei macrofagi umani è ultra-sensibile a tale tipo di regolazione da parte di una pianta conosciuta da secoli per le sue proprietà medicinali”.
L’Arnica montana è spesso adoperata come rimedio naturale e omeopatico nella cura di acne, contusioni, eruzioni cutanee, ferite e dolori muscolari. Disponibile sotto forma di compresse, unguento, crema e gel, può essere assunta sia oralmente che adoperata per uso topico. Importantissimo, comunque, è evitare il fai da te, affidandosi invece alle indicazioni di un esperto di fiducia che vi saprà indicare come adoperare al meglio questo rimedio, in totale sicurezza.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27832158

31-12-2018

La conseguenza più grave della carenza di vitamina B3 è la pellagra che provoca lesioni cutanee, diarrea e disturbi nervosi anche gravi, quali depressione e demenza; la pellagra fu la prima malattia "mentale" a essere attribuita a una causa concreta, la carenza delle vitamine del complesso B in generale e di niacina in particolare. In seguito a questa importante scoperta molti studiosi hanno sostenuto che anche alcuni tipi di schizofrenia possano essere curati con l'acido nicotinico.

31-12-2018

Alcuni ricercatori hanno constatato che una forma di sterilità maschile piuttosto diffusa - causata dall'agglutinazione delle cellule spermatiche che quindi non riescono a raggiungere la cellula uovo - si guarisce con la semplice somministrazione di acido ascorbico. Dei 35 giovani uomini sterili presi in esame, tutti presentavano livelli di vitamina C inferiori di un terzo o un quarto a quelli normali; con la somministrazione di un grammo di questa vitamina al giorno, già dopo qualche giorno si rilevarono i primi miglioramenti e dopo una settimana la sua concentrazione nel sangue si era già normalizzata e così anche lo sperma. Poco dopo la terapia le mogli di dodici dei partecipanti erano già incinte e altre gravidanze sarebbero seguite. Pare che la vitamina C sia in grado di ottimizzare l'utilizzazione dei vari minerali - soprattutto zinco, magnesio, rame e potassio - che sono indispensabili alla normale funzionalità delle cellule spermatiche.

Domenica, 30 Dicembre 2018 12:43

LE 5 PROPRIETA’ CURATIVE DELL’ASTAXANTINA.

31-12-2018

L’astaxantina è un carotenoide presente in natura soprattutto nell’ambiente marino. Questo pigmento è prodotto, infatti, da alcuni tipi di alghe e plancton che rappresentano l’alimentazione di specie animali acquatiche quali gamberi, gamberetti, salmoni, trote e aragoste, alle quali conferisce varie gradazioni di colore rosa-rosso. L’attività antiossidante dell’astaxantina è stata testata in numerosi studi e si è dimostrata in alcuni casi più potente di quella della vitamina E e del beta-carotene. Ed è proprio in questa sua funzione che risiede il multiplo effetto protettivo contro i danni ossidativi nell’organismo.

ATTIVITA’ FOTOPROTETTRICE CUTANEA

L’eccessiva esposizione dei lipidi e dei tessuti alla luce, in particolare ai raggi UV, porta alla produzione di ossigeno singoletto e radicali liberi e a conseguenti danni ossidativi. I carotenoidi svolgono un importante ruolo nel proteggere i tessuti contro la fotossidazione mediata dai raggi UV, ragione per cui sono presenti in buone concentrazioni nei tessuti cutanei. In alcuni studi l’astaxantina ha dimostrato di essere più efficace del beta-carotene e della luteina nella prevenzione della fotossidazione lipidica UV-indotta. Un’eccessiva esposizione della cute non protetta alla luce solare può provocare, oltre che fotossidazione, scottature, infiammazione, immunosoppressione e invecchiamento fino alla carcinogenesi delle cellule cutanee. Studi preclinici hanno dimostrato che antiossidanti quali alfa-tocoferolo, acido ascorbico e beta-carotene, possono ridurre questi insulti alle cellule. Le ricerche indicano che l’astaxantina mostra un eccellente potenziale come fotoprotettore cutaneo orale.

PROTEZIONE OCULARE

Numerosi studi epidemiologici indicano che un alto consumo di carotenoidi, soprattutto luteina e zeaxantina, è associato alla riduzione del rischio di sviluppare cataratta e degenerazione senile della macula. Questi due pigmenti sono concentrati nella macula dell’occhio e la loro struttura è molto simile a quella dell’astaxantina, la cui attività antiossidante e protettiva è risultata maggiore di quella di luteina e zeaxantina. L’astaxantina non è stata isolata nell’occhio umano, tuttavia in uno studio in vivo ha mostrato la capacità di superare la barriera emato-encefalica e, come la luteina, di depositarsi nella retina dei mammiferi. È stato osservato che i fotorecettori retinici di animali nutriti con astaxantina sono meno danneggiati dalla luce UV e mostrano un recupero più veloce di quelli che non assumono astaxantina.

ATTIVITA’ CARDIOPROTETTIVA

L’astaxantina è veicolata nel sangue umano dalle lipoproteine VLDL, LDL e HDL. In test in vitro e in uno studio clinico la somministrazione di 3,6 mg/die di astaxantina per 2 settimane consecutive ha dimostrato di essere in grado di proteggere il colesterolo LDL dall’ossidazione. In modelli animali l’assunzione di astaxantina ha mostrato di aumentare il colesterolo HDL.

ATTIVITA’ ANTITUMORALE IN VIVO

Alcuni studi hanno evidenziato un’attività antitumorale dell’astaxantina nei mammiferi. È stato osservato un effetto protettivo dalla carcinogenesi della vescica, con la riduzione dell’incidenza di carcinoma alla vescica chimicamente indotto. Topi nutriti con un carcinogeno e astaxantina hanno mostrato una significativa riduzione nell’incidenza di differenti tipi di crescita cancerosa nella bocca rispetto a quelli nutriti solo con il carcinogeno. In seguito è stata osservata una diminuzione dello sviluppo di tumore del colon nei topi nutriti con astaxantina. In altri studi sono stati riscontrati medesimi risultati nei confronti del tumore alla mammella e alla prostrata.

MIGLIORAMENTO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA

L’astaxantina influenza in maniera significativa la funzione immunitaria in campioni in vivo e in vitro usando modelli animali. Aumenta in vitro la produzione di anticorpi dalle cellule di milza di topo e ripristina parzialmente le risposte dell’immunità umorale in topi anziani. Altri dati su animali evidenziano l’attività immunomodulante dell’astaxantina sulla proliferazione e sulle funzioni delle cellule immunocompetenti. Infine, studi su cellule ematiche umane in vitro hanno dimostrato il miglioramento della produzione di immunoglobuline in risposta a stimoli T-dipendenti indotto dall’astaxantina.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10775364

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9651820

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10798217

06-08-2016

Il fenomeno dell'iperventilazione è stato per molto tempo ritenuto conseguenza dell'ansia e del panico; ora si sà che può anche essere il contrario, che, cioè, una cattiva respirazione (non corretta nei primi anni di vita) può causare crisi intermittenti di iperventilazione, ansia e veri e propri attacchi di panico. Alcuni studi preliminari sembrano indicare che la somministrazione di triptofano e vitamina B6 può contribuire a ridurre l'entità del fenomeno dell'iperventilazione e degli attacchi di panico a essa connessi.

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