Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

09-11-2017

Dai fermenti lattici arriva un aiuto naturale contro la pressione alta. A confermare l’efficacia di alcuni prodotti caseari è uno studio riportato sulla rivista Hypertension e condotto dai ricercatori della Griffith University School of Medicine and Griffith Health Institute nel Queensland, in Australia. I benefici assicurati dai batteri probiotici non si esaurirebbero quindi nella regolarizzazione della flora intestinale, ma andrebbero a interessare anche la stessa pressione sanguigna. Stando a quanto ha riferito Jing Sun, docente presso la Griffith University: “Crediamo che i probiotici possano aiutare a ridurre la pressione sanguigna oltre a migliorare i livelli di colesterolo, ridurre il glucosio nel sangue, l’insulino-resistenza e a regolare il sistema ormonale”. Durante la ricerca sono stati analizzati nove precedenti studi, analizzando nello specifico i valori della pressione sanguigna e confrontandoli poi con i rilevamenti relativi al consumo di prodotti contenenti fermenti lattici. Stando ai risultati ottenuti analizzando i 543 adulti coinvolti negli studi è emerso come, in media, il consumo di prodotti contenenti batteri probiotici abbia prodotto una riduzione nei valori sia della pressione sistolica, la “massima”, come di quella diastolica, la “minima”. Un calo stimato in circa 3.56 mmHg per la prima e di 2.38 millimetri di mercurio per la seconda. Effetti positivi sui quali sembra influisca anche la varietà di batteri presenti, in quanto i migliori risultati sarebbero stati ottenuti consumando prodotti contenenti differenti tipologie di fermenti lattici. Maggiore è stata infine la riduzione in coloro che avevano fatto registrare i valori di pressione più alti, pari o superiori a 130/85.

 

http://hyper.ahajournals.org/content/64/4/897

https://news.heart.org/eating-probiotics-regularly-may-improve-your-blood-pressure/

https://www.sciencedaily.com/releases/2014/07/140721181941.htm

Giovedì, 09 Novembre 2017 09:21

E' COL CAVOLO CHE SI CURA LA PRESSIONE ALTA.

15-10-2014

Solo in Italia sono più di 10 milioni le persone impegnate quotidianamente nel tentativo di tenere a bada la pressione alta. Per loro arriva dall'Inghilterra la notizia che da oggi possono contare su un alleato in più, anzi due: cavoli e broccoli. Bistrattati dal linguaggio comune e dai vicini di chi li adora invece cucinare, questi due ortaggi dall'inconfondibile odore e dalle infinite proprietà contribuirebbero a combattere l'ipertensione. Merito a quanto pare dell'acido glutammico presente in alte percentuali in queste verdure, ma anche, ad esempio, nei cereali integrali. A dimostrarlo, una ricerca dell'Imperial College di Londra coordinata dal dottor Ian Brown e pubblicata su Circulation - la rivista dell'American Heart Association - che ha analizzato la dieta di 4.680 persone tra i 40 e i 59 anni, provenienti da Gran Bretagna, Usa, Giappone e Cina. 
Lo studio ha constatato come nei soggetti che assumevano molte proteine vegetali tra qui questo aminoacido, la pressione sanguigna diminuisse notevolmente. Nonostante la soddisfazione, tra i ricercatori regna la cautela e così, va benissimo abbuffarsi di cavoli e broccoli, ma senza sperare che fungano da "bacchetta magica" per la cura dell'ipertensione di cui, comunque, l'alimentazione sana e ricca di verdure ne rappresenta un elemento imprescindibile.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23093587

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4105584/

 

Mercoledì, 01 Novembre 2017 10:02

DERMATITE ATOPICA: BUONI RISULTATI CON LO ZINCO.

02-03-2015

Lo zinco può essere efficace nel trattare la dermatite atopica, segnala uno studio pubblicato sul periodico svedese Acta Dermato-Venereologica. Nello studio sono stati comparati gli effetti della somministrazione di zinco di 58 bambini con dermatite atopica con 48 bambini di controllo senza disturbi dermatologici. Nella prima fase sono stati analizzati i livelli di zinco nel capello di tutti i partecipanti allo studio. Sono stati comparati i livelli base di zinco nei pazienti atopici e dei soggetti controllo, esaminando in seguito l’effetto della somministrazione orale nel gruppo dei pazienti atopici con bassi livelli di zinco. È stato osservato che il numero dei soggetti con bassi livelli di zinco era maggiore nei pazienti atopici rispetto ai controllo, e anche che il livello medio di zinco in questi soggetti era minore. Dopo la somministrazione di 12 mg al giorno di zinco per 8 settimane, il livello medio di zinco nei capelli dei pazienti che lo avevano assunto, è ritornato normale, mentre è rimasto basso nei gruppo che non lo aveva assunto. Nel gruppo dello zinco il miglioramento della TEWL (Trans Epidermal Water Loss, parametro che riflette l’integrità della funzione di barriera cutanea e pertanto dello stato di salute della pelle) e della VAS (Visual Analogical Scale, scala analogico-visiva per la valutazione del prurito e dei disturbi del sonno che caratterizzano questa patologia) è stato significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo.
Questo studio ha evidenziato una correlazione tra dermatite atopica e livelli di zinco, dimostrando che la sua somministrazione orale in pazienti con dermatite atopica e basso livello di zinco può produrre miglioramenti clinici. È grazie agli effetti immunomodulatori che lo zinco viene studiato per un utilizzo nelle malattie infiammatorie come la dermatite atopica. Sebbene lo zinco totale nell’organismo sia immagazzinato primariamente in ossa, muscoli, prostata e pelle, non c’è reazione di scambio e pertanto i fabbisogni metabolici devono essere continuamente soddisfatti con un suo continuo apporto. Le sue concentrazioni nel capello sono almeno 10 volte più alte di quelle in sangue, siero e urine. La carenza di zinco può essere responsabile di altri disturbi cutanei come la xerosi e acrodermatite enteropatica.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=Kim+J%2C+Yoo+S%2C+Jeong+M%2C+Ko+J%2C+Ro+Y

 

Mercoledì, 01 Novembre 2017 09:46

VITAMINA D PER COMBATTERE L'ORTICARIA CRONICA.

29-12-2014

Circa due anni fa l’equipe di Hata dell’Università di San Diego, in California, ha pubblicato un importante studio che considerava la vitamina D come un potenziale immunomodulatore in alcune malattie allergiche, grazie al suo ruolo regolatorio nell’espressione della catelicidina sulla cute dei pazienti affetti da dermatite atopica. Lo studio di Hata ha dimostrato un potenziale ruolo terapeutico della vitamina D nel sistema immunitario dei soggetti atopici, in quanto aumenta la produzione del peptide antimicrobico catelicidina nella cute dei pazienti, dopo somministrazione di 4000 UI di vitamina D3 per via orale per 3 settimane. Sulla base di questo studio è pertanto verosimile ipotizzare che una somministrazione alimentare aggiuntiva di vitamina D, fornisce ai soggetti atopici la possibilità di compensare la loro inadeguata capacità a produrre peptidi antimicrobici in risposta alle aggressioni cutanee. Il nuovo studio, condotto dall’Università del Nebraska Medical Center, ha osservato il ruolo della vitamina D3 come trattamento supplementare per l’orticaria cronica. I ricercatori fanno notare che i livelli di vitamina D sono risultati ridotti, in maniera significativa, nei soggetti con orticaria cronica rispetto ai soggetti di controllo.
La carenza di vitamina D è, in genere, associata ad osteoporosi, malattie autoimmuni, cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa ed aumento della mortalità. I risultati di questo studio dimostrano che i soggetti adulti affetti da orticaria cronica presentano ridotti livelli di vitamina D e conferma l’importanza dei risultati di Hata che hanno ipotizzato che la vitamina D possa svolgere un ruolo importante come immunomodulatore nelle malattie allergiche dermatologiche. Per più di 12 settimane, 38 partecipanti allo studio hanno assunto ogni giorno una tripla combinazione di farmaci per il trattamento dell’allergia e vitamina D3. Metà dei pazienti ha assunto 600 UI di vitamina D3 e l’altra metà ha assunto 4000 UI. I ricercatori hanno trovato, dopo appena una settimana, che la gravità dei sintomi dei pazienti è diminuita del 33%. Per i pazienti che hanno assunto una forte dose di vitamina D3, è stato notato un ulteriore calo del 40% dei sintomi associati alla condizione.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24507460

http://www.annallergy.org/article/S1081-1206%2814%2900012-X/abstract

Mercoledì, 01 Novembre 2017 09:25

IL GRANDE RITORNO DEL TRIPTOFANO.

20-05-2016

Il triptofano è uno degli otto aminoacidi essenziali dell'alimentazione dell'uomo. Questo è il precursore metabolico di serotonina, melatonina e niacina. È stato scoperto nel 1901 da Sir Frederick Growland, il quale ha anche dimostrato la sua importanza vitale. Il triptofano è usato per alleviare i sintomi della depressione, favorire il sonno e aiutare a perdere peso.

E’ STATO NUOVAMENTE AUTORIZZATO NEGLI INTEGRATORI ALIMENTARI

Nel 1989, negli Stati Uniti, le importazioni di triptofano e il suo utilizzo negli integratori alimentari sono stati proibiti. Lo stesso è accaduto nel 1990 in Europa. Tali divieti sono stati applicati in seguito alla manifestazione di casi di una malattia mortale di tipo autoimmune, i quali sono stati collegati a un lotto di triptofano preparato non correttamente. Ciò è accaduto nonostante sia stato stabilito che tale triptofano provenisse da un unico impianto giapponese nel quale il processo di purificazione è stato compromesso dall'introduzione di un metabolita batterico tossico. 
Per oltre dieci anni, l'utilizzo del triptofano è stato limitato a farmaci soggetti a prescrizione medica, latte in polvere per bambini e prodotti per la nutrizione parenterale. Nel 1994, il 5-idrossitriptofano (o 5-HTP) rappresentava una soluzione alternativa agli integratori alimentari di triptofano. Il triptofano viene naturalmente convertito nell'organismo in 5-HTP. Di recente, il triptofano è stato reso nuovamente disponibile e viene venduto come integratore alimentare negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei.

UN AMINOACIDO ESSENZIALE FORNITO DALL’ALIMENTAZIONE

Fornito da alimenti ricchi di proteine, il triptofano è particolarmente presente in carne, pesce, uova, latticini, amidi o frutta secca. Esso risulta fragile e viene distrutto da una cottura troppo prolungata o dal calore troppo intenso. Il triptofano è l'aminoacido meno abbondante; generalmente una classica alimentazione apporta solo solo 0,25-1,5 g di triptofano al giorno. Nel fegato, è presente una scarsa riserva di triptofano; la sua assunzione giornaliera è spesso al limite delle esigenze, provocando una frequente carenza di questo aminoacido essenziale. Per di più, affinché avvenga la totale digestione delle proteine e il triptofano venga immagazzinato nel fegato e progressivamente liberato nel circolo sanguigno, tale apporto deve avvenire tra le sei e le otto ore prima di coricarsi. 
Inoltre, negli alimenti, il triptofano non sempre viene ben assorbito e utilizzato a livello celebrale. Generalmente il cervello riceve meno dell'1% di triptofano ingerito. Per il cervello, recuperare anche solo questa piccola parte, risulta particolarmente difficile a causa della barriera emato-encefalica. Il ruolo di quest'ultima è impedire l'ingresso di tossine e di eccessive quantità di nutrienti nel cervello. Talvolta anche per i nutrienti essenziali il passaggio risulta molto difficile. Ciò vale in modo particolare nel caso della serotonina che non può attraversare la barriera emato-encefalica, al contrario del triptofano, il suo precursore, che riesce a compiere tale passaggio. I nutrienti devono passare la barriera emato-encefalica attraverso le molecole di trasporto. Tuttavia il triptofano deve condividere questi trasportatori con altri cinque aminoacidi: la tirosina, la fenilalanina, la valina, la leucina e l'isoleucina. Ad esempio, un eccesso o una carenza di tirosina inibisce il passaggio di triptofano. D'altra parte, il triptofano viene utilizzato nell'organismo per la produzione di diverse proteine. Nei soggetti che consumano quantità basse o moderate di vitamina B3, può essere utilizzato dal fegato per produrre 1-2 mg di vitamina B3 a partire da 60 mg di triptofano. Nelle persone che presentano deficit, anche lievi, di vitamina B6, il triptofano può essere rapidamente degradato in metaboliti leggermente tossici.

PRECURSORE DELLA SEROTONINA

Il suo ruolo più noto e importante è quello di essere il precursore metabolico del neurotrasmettitore serotonina. Numerosi studi hanno dimostrato che elevate concentrazioni di triptofano nel cervello provocano un aumento del rilascio di serotonina. Essa svolge un ruolo essenziale nella regolazione dell'umore, dell'ansia, dell'appetito e del sonno. I livelli di altri neurotrasmettitori e sostanze chimiche del sistema nervoso centrale, come la melatonina, la dopamina, la noradrenalina e la beta-endorfina, aumentano in seguito alla somministrazione di triptofano per via orale. Vi sono pochi dati che collegano il triptofano alla modulazione del sistema endocrino. I suoi effetti sui livelli di cortisolo sono irregolari. La somministrazione di triptofano per via endovenosa stimola la secrezione di prolattina e dell'ormone della crescita, ma nessun'altra associazione di questo tipo è stata testata per via orale.

MECCANISMO DI CONVERSIONE IN SEROTONINA

La serotonina, o 5-idrossitriptamina (5-HT), è stata identificata per la prima volta più di 50 anni fa e, da allora, gli scienziati scoprono costantemente nuovi interessi e nuove funzioni nell'organismo. Gli studi hanno dimostrato che la serotonina svolge un ruolo fondamentale in depressione, umore, ansia, sonno, controllo dell'appetito, memoria, apprendimento, regolazione della temperatura, comportamento sessuale, allucinazioni, funzioni cardiovascolari, contrazioni dei muscoli scheletrici, regolazione degli ormoni endocrini, coagulazione del sangue e motilità del sistema gastrointestinale. Nel 1970 si prese coscienza del ruolo importante della serotonina per la depressione. In molte persone affette da depressione, sono stati osservati bassi livelli di un metabolita della serotonina, l'acido 5-idrossiindolacetico (5-HIAA), nel liquido che circonda il cervello e il midollo spinale. Ciò poteva significare che il cervello non produceva e non metabolizzava quantità normali di serotonina. Inoltre i ricercatori hanno constatato che le persone che hanno tentato il suicidio presentavano livelli anormalmente bassi di 5-HIAA. Questi dati suggerivano che una carenza di serotonina poteva effettivamente predisporre alcune persone al suicidio. È stato inoltre dimostrato che la serotonina svolge un ruolo importante nel comportamento aggressivo.

TRIPTOFANO, CARBOIDRATI E OBESITA’

Seguire una dieta ricca di proteine per ottenere una maggiore disponibilità di triptofano, complica ulteriormente il problema e aumenta, allo stesso tempo, il consumo dei cinque aminoacidi che competono con il triptofano per attraversare la barriera emato-encefalica. Infatti, l'unico modo per aumentare l'apporto di triptofano al cervello è seguire una dieta ad alto contenuto di carboidrati. In questo caso, il corpo secerne grandi quantità di insulina per abbassare l'aumento della concentrazione di glucosio provocato dall'alimentazione. Tale insulina rilascia nel sangue la maggior parte dei cinque aminoacidi che competono con il triptofano per arrivare al cervello. Il triptofano ha inoltre il "bus" tutto per sé, permettendo a maggiori quantità di raggiungere il cervello. Questa strategia è istintivamente conosciuta e praticata da molte persone che consumano grandi quantità di carboidrati, come pane, dolci, patatine, pizza, gelato, soprattutto quando si sentono depressi, ansiosi o stressati. 
L'aumento della quantità di serotonina cerebrale, prodotta grazie a questa pratica, riduce l'eccitazione e l'ansia, promuovendo (temporaneamente) una sensazione di benessere e sicurezza. Tuttavia, tale strategia ha un prezzo. La stessa insulina che aumenta la quantità di serotonina cerebrale promuove anche la conversione di grassi, carboidrati e aminoacidi rilasciati nel sangue in grasso corporeo immagazzinato. Viene così spiegata la connessione tra la dipendenza da carboidrati, l'obesità e la serotonina. Assumere un'integrazione di triptofano è il modo più naturale per superare i problemi legati alla produzione di serotonina cerebrale. A differenza di un'alimentazione ricca di proteine, l'assunzione di integratori di triptofano non provocherà un aumento dei livelli ematici dei cinque aminoacidi concorrenti . Una normale alimentazione fornisce giornalmente soltanto 1-1,5 g di triptofano; l'integrazione, per quanto modesta (da 500 a 3000 mg), avrà un effetto significativo sull'aumento delle sue concentrazioni a livello del sangue e del cervello. In condizioni normali, l'enzima cerebrale triptofano idrossilasi (TPH) è saturo al 50%. Ciò significa che il meccanismo di produzione della serotonina rimane al 50% inutilizzato. Pertanto, un aumento della materia prima (il triptofano) tenderà ad aumentare automaticamente l'introduzione di serotonina cerebrale. Il TPH converte il triptofano in 5-idrossitriptofano (5-HTP). In seguito, un enzima dipendente dalla vitamina B6 converte il 5-HTP in serotonina; inoltre la serotonina attiva più efficacemente i circuiti neuronali che controllano l'acquietamento, il miglioramento del tono dell'umore, gli impulsi nervosi e l'appetito. I ricercatori hanno dimostrato che, nelle donne bulimiche, un'alimentazione priva di triptofano induce un aumento significativo della stanchezza e una tendenza all'ansia e all'indecisione, nonché un aumento del consumo calorico e dell'umore irritabile. Questi risultati indicano che le donne affette da bulimia nervosa rispondono in modo patologico o esagerato ad alterazioni transitorie dell'attività della serotonina.

IL TRIPTOFANO E’ UN ANTIDEPRESSIVO NATURALE

Tra i numerosi studi clinici pubblicati dal 1970 e che riguardano l'utilizzo del triptofano nella depressione, quelli che hanno impiegato dosi moderate (1-3 g al giorno) hanno spesso ottenuto risultati migliori rispetto agli studi caratterizzati da dosi più elevate (6-9 g al giorno). Ciò è dovuto al triptofano-pirrolasi (TP), un enzima del fegato. Questo enzima svolge un ruolo chiave nelle normali vie di degradazione del triptofano epatico. Il TP viene attivato da almeno due fattori. Il primo è l'ormone dello stress, il cortisolo, prodotto dalle ghiandole surrenali. Esso viene rilasciato in risposta a una situazione di costante stress cronico che non è possibile né evitare né combattere. Spesso la concentrazione di cortisolo aumenta in caso di depressione, insonnia e obesità, situazioni per le quali il triptofano e la serotonina possono risultare utili. Pertanto, l'assunzione di triptofano in condizioni di elevati livelli di cortisolo provocati dallo stress, potrebbe fornire al cervello solo piccole quantità di integrazione di serotonina a causa dell'attivazione del TP da parte del cortisolo. 
Il secondo è l'aumento del consumo di triptofano. Il TP utilizza la via della chinurenina, la principale via di degradazione del triptofano. Quindi, un consumo significativamente maggiore di triptofano aumenta automaticamente l'attività del TP. Ancora una volta, poiché l'attività epatica del TP è fortemente aumentata, una maggiore integrazione di triptofano non comporterà necessariamente un aumento della serotonina cerebrale. Pertanto, la dose più bassa di triptofano in grado di alleviare efficacemente i sintomi dovuti alla carenza di serotonina è anche la più efficace. Studi clinici dimostrano che un'integrazione di 500-1500 mg di triptofano, assunti regolarmente al momento di coricarsi, è spesso sufficiente per alleviare i problemi dovuti alla carenza di serotonina.

DEPRESSIONE STAGIONALE

Nel periodo che precede e che segue il solstizio d'inverno, le giornate sono più brevi e sempre più spesso il sole è meno presente. In alcune persone, questo periodo di grigiore porta a una vera e propria depressione: la depressione stagionale. Visto che essa è provocata da una mancanza di luce, di solito è sufficiente il trattamento con la fototerapia. Determinati studi, alcuni dei quali con placebo, hanno dimostrato che, nei pazienti affetti da depressione stagionale, l'eliminazione di L-triptofano dall'alimentazione nel momento in cui si trovavano in remissione (durante l'estate o dopo la fototerapia) provocava la ricomparsa di sintomi. Successivamente, un piccolo studio ha indicato che l'integrazione giornaliera con 4-6 g di L-triptofano, suddivisa in più dosi, ha mostrato la stessa efficacia della fototerapia e maggiore efficacia rispetto al placebo nel trattamento della depressione stagionale. Il trattamento per quattro settimane con triptofano (2 g due volte al giorno, aumentato a 2 g tre volte al giorno in assenza di risposta) è stato confrontato con la fototerapia (10.000 lux per 30 minuti ogni mattina). Dopo 7 settimane, sono state osservate risposte identiche in entrambi i gruppi di pazienti. Tuttavia, quando la fototerapia è stata interrotta, i pazienti hanno rapidamente recidivato, sebbene la ricomparsa dei sintomi sia stata più lenta in coloro che avevano assunto il triptofano. Risultati simili sono stati ottenuti mediante trattamento con fototerapia o triptofano in 14 pazienti affetti da depressione stagionale. Sono stati somministrati loro 1000 mg di triptofano tre volte al giorno e sono stati esposti per 30 minuti al giorno, al mattino, a una lampada ad ampio spettro dotata di un'intensità luminosa di 10.000 lux. È stato ottenuto un miglioramento significativo in 9 di loro.

IL TRIPTOFANO FAVORISCE IL SONNO

La capacità del triptofano di favorire il sonno è stata descritta per la prima volta nel 1962. Il triptofano è stato ampiamente utilizzato come trattamento nei soggetti con difficoltà ad addormentarsi. Quasi 50 studi hanno effettuato test sul triptofano come sonnifero. Anche se i risultati sono variabili, è stato consensualmente stabilito che il triptofano può essere un efficace sonnifero in determinate circostanze. Nonostante risulti inefficace come sonnifero standard nei casi di insonnia grave, può ridurre di circa la metà il tempo di addormentamento nei casi di insonnia leggera, anche a basse dosi (250 mg).

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8018785

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7156248

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16767422

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9716275

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9114947

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2182615

Mercoledì, 01 Novembre 2017 09:14

6 MOTIVI PER ASSUMERE ARGININA.

05-06-2016

L’arginina è un aminoacido condizionatamente essenziale che presenta varie azioni terapeutiche e agisce indipendentemente da una sua carenza. Partecipa al metabolismo muscolare, alla sintesi del collagene, al rilascio di alcuni ormoni, contribuisce a regolare il sistema immunitario e svolge un ruolo nella fertilità maschile. Recentemente è stata sottolineata la sua efficacia nell'aumentare la sintesi endogena di ossido nitrico (NO), le cui importanti funzioni nell'organismo riguardano principalmente vasodilatazione e trasmissione degli impulsi nervosi. L’arginina svolge un ruolo disintossicante a livello epatico attraverso il ciclo dell’urea.

IMMUNOSTIMOLANTE

L’arginina è un potente immunomodulatore, la cui supplementazione ha mostrato di ridurre le molecole di adesione e le citochine proinfiammatorie e stimolare il timo, favorendo la produzione e l’attività dei linfociti. E’ stato inoltre riscontrato un aumento dell’attività delle cellule NK e il miglioramento di altri parametri immunitari in pazienti con tumore. In uno studio su pazienti con HIV la somministrazione di arginina ha mostrato l’aumento della conta delle cellule NK, oltre alla riduzione della perdita della massa magra. L’arginina ha un importante effetto sulla funzione endocrina, in particolare sulla secrezione surrenale e pituitaria. La sua somministrazione può stimolare il rilascio di catecolamine, insulina e glucagone, prolattina e ormone della crescita.

ANTISTRESS E ADATTOGENO

E’ stato dimostrato che i livelli plasmatici di arginina diminuiscono in maniera significativa dopo 30 minuti dall'esposizione a fonti di stress e che tali rimangono per 3.5 ore nel periodo post-stress. In studi su animali, la somministrazione di arginina ha mostrato di aumentare l’effetto di resistenza allo stress (100 mg/kgbw/die) e il recupero post-stress (200 mg/kgbw/die). Indicata in tutti gli stati di affaticamento, astenia e immunodepressione post-infettivi o post-traumatici.

PROTETTIVA A LIVELLO CARDIOVASCOLARE

Gli effetti dell’arginina sulla funzione cardiovascolare sono dovuti alla produzione di NO arginina-indotto. La supplementazione di arginina ha mostrato di migliorare la tolleranza all'esercizio fisico e la qualità della vita in pazienti con infarto cardiaco congestizio, angina pectoris e claudicazione intermittente. Numerosi studi mostrano effetti nella riduzione della pressione sanguigna in alcune forme sperimentali d’ipertensione. L’arginina rappresenta un nuovo approccio per il trattamento delle disfunzioni endoteliali. Un’adeguata produzione di NO inibisce i processi che stanno alla base della lesione aterosclerotica (aggregazione piastrinica, adesione e migrazione dei monociti, proliferazione delle cellule lisce e vasocostrizione).

PROTETTIVA SULL’APPARATO GENITALE MASCHILE

L’arginina è un fattore indispensabile per la normale produzione di sperma. In uno studio effettuato su 40 uomini infertili, con scarsa motilità spermatica, la sua somministrazione ha migliorato la motilità spermatica, senza provocare effetti collaterali. In un altro studio, dei 45 pazienti affetti da oligospermia e astenospermia di vario grado trattati con arginina per 3 mesi, il 20% dei pazienti fu in grado di fecondare. La somministrazione orale di 500 mg/die di arginina a uomini con problemi di fertilità per 6-8 settimane, ha aumentato in modo marcato la conta e la motilità spermatica nella maggioranza dei pazienti, risultando in gravidanze. Questo tuttavia è avvenuto solo con una conta spermatica superiore a 10 milioni/ml.

MIGLIORAMENTO DELLE DISFUNZIONI ERETTILI

Nell'uomo l’arginina ha mostrato di migliorare la risposta erettile e di essere efficace nell’80% dei casi in cui sia necessario l’aumento della circolazione per ottimizzare la funzione sessuale. In uno studio non controllato, ad alcuni uomini con disfunzione erettile sono stati somministrati 2.8 g/die di arginina per 2 settimane. Nel gruppo che aveva assunto arginina il 40% degli uomini ha riportato miglioramenti, contro nessuno del placebo. In un altro studio su 50 uomini con disfunzione erettile, la somministrazione di 5 g/die di arginina per 6 settimane ha prodotto un significativo miglioramento della funzione sessuale nel 31% dei soggetti. E’ stata osservata una scarsa escrezione urinaria di ossido nitrico in tutti i pazienti che hanno riportato miglioramenti al termine dello studio e le concentrazioni di NO sono raddoppiate alla fine dello studio. I ricercatori hanno ipotizzato che l’arginina potrebbe essere un efficace rimedio per i pazienti con disfunzione erettile con alterazioni disfunzionali nell'attività del NO e una sua ridotta disponibilità.

CICATRIZZANTE

La somministrazione di arginina favorisce la cicatrizzazione dalle lesioni. Un esperimento effettuato su pazienti ustionati ha evidenziato che l’arginina, grazie alla sua capacità di potenziare l’immunità cellulare e l’anabolismo proteico, è in grado di accelerare i processi di guarigione in questi soggetti. In uno studio spagnolo, l’arginina somministrata in associazione con ibuprofene a pazienti con ulcera gastrica cronica, ha mostrato di ridurre il ritardo nel processo di cicatrizzazione indotto dall’ibuprofene.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12093460

10-01-2015

Apparso on line sul periodico scientifico Circulation, lo studio ha destato molto interesse, oltre a confermare precedenti risultati analoghi. I ricercatori hanno osservato 3.530 soggetti senza malattie cardiovascolari sottoposti a esami di routine, con un livello medio di magnesio nel sangue di 188 mg/dl. Nei vent’anni di follow-up, 228 partecipanti hanno sviluppato fibrillazione atriale, diagnosticata con elettrocardiogramma e monitoraggio Holter. La dr.ssa Abigail May Khan e colleghi dell’University of Pennsylvania, Philadelphia, che hanno redatto lo studio, indicano che livelli bassi di magnesio sono associati sia allo sviluppo di aritmia in studi sperimentali sia all’aumento del rischio di bypass aortocoronarico (CABG). Hanno inoltre aggiunto che il magnesio svolge un ruolo nel sistema di conduzione cardiaco, inclusa la pompa sodio-potassio ATP-dipendente. L’interruzione o l’alterazione del funzionamento della pompa, causata dal deficit di magnesio, svolge un ruolo nell’eccitabilità del miocardio. Il magnesio potrebbe essere efficace nel trattamento della fibrillazione atriale in termini di controllo di ritmo e frequenza cardiaca. La correlazione tra cuore e magnesio, in particolare il suo effetto sul ritmo cardiaco, è studiata da alcuni decenni. Numerose evidenze indicano che il magnesio svolge un importante ruolo nella regolazione della pressione sanguigna, mentre ulteriori dati indicano che scarse riserve di magnesio siano associate ad anomalie del battito cardiaco. Infatti, stimolando la dilatazione dei vasi sanguigni di cuore, braccia e gambe, il magnesio diminuisce il lavoro del miocardio, favorendo la normalizzazione del battito cardiaco.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23172839

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3541701/

 

Domenica, 22 Ottobre 2017 10:45

GLI OMEGA-3 AIUTANO A FUMARE DI MENO.

30-04-2015

Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Haifa, Israele, l’assunzione di integratori di omega-3 può aiutare a ridurre sia il consumo di sigarette che il desiderio di fumare. La sperimentazione è stata condotta in 48 fumatori 18-45enni che fumavano una media di 14 sigarette al giorno. Metà dei partecipanti ha ricevuto 2.710 mg EPA + 2.040 di DHA per un mese, l’altra metà un placebo. Sebbene non fosse loro richiesto di smettere di fumare, dopo 30 giorni i soggetti che avevano assunto omega-3 hanno diminuito il consumo di 2 sigarette al giorno e il desiderio di fumare, nonostante l’esposizione al fumo non fosse cambiata. I benefici degli omega-3 sono durati oltre il periodo del trattamento. Il mese seguente lo studio, i ricercatori hanno continuato a monitorare il grado di dipendenza da nicotina dei partecipanti, riscontrando che dopo 30 giorni dall’interruzione dell’integrazione con omega-3, il desiderio di fumare è aumentato moderatamente, anche se in maniera minore rispetto ai valori di base riscontrati all’inizio dello studio. Il gruppo di controllo, invece, non ha mostrato riduzione nel consumo di sigarette o nel desiderio di nicotina, sia durante lo studio sia nei 30 giorni del periodo di follow-up.
Secondo il dr. Rabinovitz Shenkar, l’autore dello studio, la regolare esposizione al fumo di sigaretta potrebbe anche contribuire alla carenza di omega-3; le ricerche suggeriscono infatti che i livelli di questi acidi grassi sono più bassi nei fumatori rispetto ai non fumatori. Inoltre, il fumo di sigaretta, oltre ad essere implicato nello sviluppo di condizioni morbose di salute (malattie cardiovascolari, cancro e disfunzioni immunitarie) è una causa rilevante di stress ossidativo. Gli omega-3 svolgono un ruolo cruciale per un sano sviluppo cerebrale e la neurotrasmissione. Si ritiene che regolino importanti aspetti comportamentali inclusi le risposte allo stress, depressione e aggressività e sono stati usati con successo come trattamento aggiuntivo per il disturbo bipolare e altri disturbi dell’umore. Il dr. Rabinovitz Shenkar lo afferma espressamente: «Numerosi studi hanno provato che uno squilibrio negli omega-3 è associato a problemi come la depressione e la capacità di controllare tensione e stress. Tensione e stress, a loro volta, sono associati al desiderio di fumare. È anche risaputo che i livelli di stress e tensione aumentano quando le persone smettono di fumare». Questo è tra i primi studi a dimostrare l’utilità di questi acidi grassi: considerando il costo relativamente contenuto e gli altri effetti a cascata sulla salute, l’assunzione di omega-3 può essere tranquillamente consigliata.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24899596

 

07-05-2015

I bambini esposti alla candeggina mostrano un rischio più elevato di contrarre infezioni, soprattutto di natura respiratoria. Lo dice una ricerca pubblicata su Occupational & Environmental Medicine da un team dell'Università di Lovanio, in Belgio. Lo studio, coordinato da Lidia Casas, ha coinvolto 9 mila bambini fra i 6 e i 12 anni che frequentavano 19 scuole della città di Utrecht, in Olanda, 17 in Finlandia e 18 a Barcellona. I genitori hanno indicato ai medici il numero di infezioni avute dai propri figli nell'ultimo anno, comunicando anche l'eventuale uso o meno della candeggina per i lavori domestici. Mentre in Spagna l'uso del prodotto è molto diffuso - circa il 72 per cento degli intervistati - in Finlandia è molto raro, il 7 per cento del totale. Il prodotto è utilizzato inoltre in tutte le scuole spagnole e in nessuna di quelle finlandesi. È emerso così che laddove l'uso di candeggina era più alto i bambini mostravano un rischio di infezione maggiore. La probabilità di una tonsillite era più alta del 35 per cento, mentre quella di avere la febbre del 20 per cento più elevata. La ragione del nesso sta probabilmente nei composti volatili liberati durante l'uso della candeggina, che hanno un'azione irritante delle mucose e favoriscono così le infezioni. La candeggina, inoltre, avrebbe l'effetto di indebolire il sistema immunitario. L'utilizzo intenso di prodotti per la pulizia, peraltro, è associato anche a un disturbo respiratorio particolare denominato “wheezing”, il cosiddetto respiro sibilante che contraddistingue molti bambini. A dirlo è un altro studio realizzato su 14mila bambini e pubblicato sulla rivista Thorax.
I ricercatori hanno esaminato delle famiglie facendo caso all'uso fatto di prodotti per l'igiene della casa, quelli per asportare la vernice e quelli utilizzati per pulire la moquette. Dallo studio è emerso che i bambini nati nel 10 per cento delle famiglie che avevano fatto uso di questi prodotti avevano due volte di più la probabilità di soffrire di wheezing rispetto a quelli nati in famiglie dove tali prodotti erano usati al minimo. Mentre recenti ricerche ipotizzavano un effetto derivante solo dall'esposizione in gravidanza ai prodotti per la pulizia, lo studio in oggetto ha rivelato che anche l'esposizione successiva alla nascita potrebbe essere un fattore di rischio. Il ricercatore che ha guidato lo studio, Andrea Sherriff, precisa che non si può affermare che i prodotti per la pulizia abbiano causato il wheezing nei bambini presi in esame, ma che è stato osservato un aumento dei casi. Il ricercatore avverte le donne incinte che quello condotto è semplicemente uno studio d'osservazione e non offre prove definitive di un aumento dei casi di asma a seguito dell'uso in casa di prodotti per la pulizia, ma sarebbe ragionevole utilizzare tali prodotti con moderazione.

 

http://oem.bmj.com/content/early/2015/02/20/oemed-2014-102701.short

 

10-05-2016

Il triptofano è un aminoacido essenziale (deve, cioè, essere introdotto nel nostro organismo con l'alimentazione). Fu il primo a essere messo in commercio come integratore in quanto ritenuto un "rimedio naturale contro l'insonnia": esso svolge infatti un ruolo particolarmente importante nella sintesi di un neurotrasmettitore chiamato serotonina, che a quanto pare, tra le altre cose, induce il sonno e ne regola certe fasi. Gli studi preliminari finora svolti indicano che la serotonina può anche ridurre la sensibilità al dolore e avere effetti calmanti. Al triptofano si attribuisce inoltre la proprietà di calmare o inibire l'appetito e il desiderio di alcol e di altre droghe e di prevenire gli attacchi di panico. Essendo un regolatore della serotonina, il triptofano influisce sul comportamento dell'uomo in vari modi. Stando ai risultati degli studi preliminari, questo aminoacido, essendo dotato di proprietà tranquillanti, sarebbe in grado di combattere l'ansia e di contenere l'aggressività di alcuni individui, rendendo superfluo il ricorso ai tranquillanti di sintesi che hanno molti effetti collaterali. 
Sono stati descritti casi isolati in cui il triptofano si è rivelato utile nella fase maniacale della mania depressiva e condotti studi preliminari in cui questa sostanza è risultata utile contro certi tipi di depressione. Nel dicembre 1989 la FDA americana individuò in 600 individui che integravano la loro alimentazione con dosi elevate di questo aminoacido una sindrome di tipo influenzale causata dall'eosinofilia (presenza nel sangue di un numero di eosinofili, un tipo di globuli bianchi, superiore alla norma). Non è chiaro se si trattasse di una rara reazione dell'organismo al triptofano o, più probabilmente, a un contaminante contenuto nell'integratore, ma la FDA decise ugualmente di ritirare dal mercato integratori contenenti questo aminoacido. (Successivamente molti ricercatori dichiararono che questo atteggiamento da parte della FDA fu solo l'inizio di un tentativo di discredito nei confronti degli integratori come sostanze dannose per la salute umana, per ovvi interessi commerciali). Qualche anno fa e fuori tempo massimo, il bando della FDA è rientrato (forse perché non serve vietare un prodotto naturale quando i consumatori ne trovano uno anche migliore?) e il triptofano è tornato in commercio, sottoposto a maggiori procedure di controllo dei processi produttivi.

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