Angelo Ortisi
DEPRESSIONE.
27-11-2016
Senso di mancanza di speranza, apatia cronica e scarsi livelli energetici, sono alcuni dei sintomi principali della depressione.
DEPRESSIONE E AMINOACIDI
Gli aminoacidi possono disturbare diversi meccanismi di controllo del Sistema Nervoso come la soglia del dolore, l’umore e il sonno. Uno scarso livello di tirosina e fenilalanina può provocare una carente produzione di alcuni neurotrasmettitori regolatori come la dopamina e le catecolamine. Uno scarso livello di tirosina inoltre è in grado di ridurre la funzionalità dell’ormone tiroideo. Esistono delle pubblicazioni che hanno dimostrato che anche una blanda riduzione di attività dell’ormone tiroideo può provocare una depressione persino resistente ai farmaci. L’attività delle catecolamine, dipende dalla S-adenosil-metionina (SAMe). Un livello ridotto di SAMe è stato riscontrato in vari casi di depressione. E’ dunque importante valutare il livello dell’aminoacido metionina, precursore della SAMe, nei malati di depressione. L’aminoacido triptofano è il precursore principale del potente neurotrasmettitore serotonina che, oltre al sonno, è necessario per regolare l’umore. Una carenza di triptofano può scatenare uno stato depressivo.
DEPRESSIONE E FUNZIONE TIROIDEA
Circa il 10-15% dei malati affetti da depressione, presentano una carenza di ormone tiroideo. D’altro canto, la maggior parte dei pazienti malati di ipotiroidismo mostrano chiari segni clinici di depressione resistenti alle terapie. In questi casi gli squilibri della tiroxina (T4) e dell’ormone tiroido-stimolante (TSH) sono evidenti. Meno evidenti, da un punto di vista tradizionale, quei pazienti affetti da “Sindrome eutiroidea da T3 scarso”. In questi individui la funzione tiroidea è normale con un valore di T3 inferiore o ai limiti inferiori della norma. La triiodotironina è l’ormone tiroideo più attivo. Molti pazienti non hanno ben funzionante l’enzima necessario per tramutare il T4 in T3: l’attività della ghiandola è normale ma l’attività ormonale è ridotta esattamente come per l’ipotiroideo. Scarsi livelli di T3 sono stati correlati a una riduzione dei periodi fra una recidiva e l’altra. La tiroidite post-partum è una patologia che si verifica in una donna su dieci dolo il travaglio. Questa condizione può scatenare i sintomi depressivi associati sia ad iper che ipotiroidismo. La metà delle donne che presentano un valore elevato degli auto-anticorpi tiroidei nel primo trimestre della gravidanza sviluppano (e quindi sono a rischio) la depressione post-partum.
DEPRESSIONE E ALLERGIE
Numerosi studi evidenziano un’incidenza elevata di allergie negli individui affetti da depressione. Ricercatori della Harvard Medical School of Psychiatry affermano che il 70% dei pazienti con diagnosi di depressione hanno dei livelli elevati di anticorpi IgE e una storia di allergie specie per lieviti e bianco d’uovo. Uno studio durato cinque anni su pazienti con sintomatologia neuropsichiatrica di origine allergica, ha evidenziato un’incidenza dell’87% per sintomi legati a disturbi dell’umore. Una rivisitazione della letteratura ha dimostrato che certi alimenti contengono gli allergeni principali responsabili per attivare reazioni a livello del Sistema Nervoso Centrale.
DEPRESSIONE E MELATONINA
La melatonina è una sostanza che spesso viene chiamato “orologio” in quanto coordina un gran numero di funzioni fisiologiche legate al ritmo sonno-veglia. Anomalie del ritmo fisiologico della melatonina sono strettamente legate ad una varietà di cambiamenti caratteriali e a disturbi dell’umore. In linea di massima, le ricerche hanno riportato che i pazienti sofferenti per depressione presentano un livello notturno di melatonina ridotto. A prescindere dal livello, anche uno squilibrio della secrezione circadiana della melatonina può incidere sull’umore e favorire la depressione.
DEPRESSIONE E ORMONI SURRENALICI
La secrezione da parte delle ghiandole surrenali di ormoni quali il cortisolo e il DHEA è legata direttamente allo stress e ad altri fattori emozionali. Vari studi hanno correlato strettamente le caratteristiche secretive del cortisolo con cambiamenti dell’umore sia in individui normali che depressi. Spesso i depressi mostrano una disfunzione del ritmo circadiano del cortisolo. Un asse Ipotalamo-Ipofisi-Surreni iperfunzionante che comporta dei livelli salivari di cortisolo significativamente elevati al mattino e a mezzanotte può essere un fattore peggiorativo. L’ipersecrezione di cortisolo è stata evidenziata sia nei bambini che negli adolescenti sofferenti per depressione. Un eccesso cronico di cortisolo è stato messo in relazione ad una varietà di disturbi dell’umore che includono ansia, depressione e crisi di panico; 7 pazienti sofferenti di depressione su 10 presentano un’ipertrofia delle ghiandole surrenali di circa 1,7 volte rispetto ai controlli. Il DHEA, un ormone surrenalico che regola alcuni degli effetti del cortisolo, può avere un significato terapeutico nel migliorare l’umore. Uno studio preliminare ha riportato evidenti miglioramenti nell’umore legati proprio all’aumento dei livelli circolanti del DHEA stesso.
DEPRESSIONE E FUNZIONE DIGESTIVA
La funzione gastrointestinale è connessa specificamente con la depressione e i cambiamenti di umore attraverso una varietà di meccanismi differenti. Il malassorbimento, ad esempio, è responsabile per l’aumento di incidenza della depressione nelle patologie digestive croniche come il morbo celiaco. Spesso, i bambini affetti da IBD o malattia infiammatoria del colon vengono diagnosticati e trattati per depressione prima che la loro vera problematica sia accuratamente diagnosticata. L’ipocloridria , una condizione di carenza cronica di acido cloridrico nello stomaco, è associata comunemente ad indigestione, meteorismo e flatulenza. Una scarsa acidità può portare ad un’iperproduzione di batteri nell’intestino tenue, che interferisce con la digestione proteica e riduce la disponibilità di alcuni aminoacidi fondamentali che potrebbe scatenare disfunzioni biochimiche direttamente legate alla depressione. Esiste una letteratura importante che mette in relazione il lievito intestinale Candida albicans alla depressione in quanto promuove la produzione di etanolo, sostanza conosciuta per la sua attività depressivante sul Sistema Nervoso Centrale. I cambiamenti di carattere sono associati anche alla tossina prodotta direttamente dalla Candida (canditossina) e alla tendenza del lievito a competere con l’organismo per nutrienti dietetici essenziali.
DEPRESSIONE E TOSSINE/NUTRIENTI
Eccessi o carenze di molti minerali tissutali possono attivare i sintomi depressivi. Scarsi livelli di zinco, ad esempio, sono associati a depressioni resistenti ai farmaci. Una carenza di magnesio può provocare un’ampia gamma di sintomi psichiatrici connessi a depressione, apatia o psicosi. Lavori effettuati su pazienti maniacali, hanno rivelato un livello elevato di vanadio nei capelli rispetto a controlli normali. Ripetute esposizioni ad inquinanti alimentari e ambientali possono provocare un accumulo di metalli tossici come mercurio, piombo e alluminio ben noti per la loro azione neurotossica. Una fonte di intossicazione da mercurio sono le amalgame dentarie. Uno studio norvegese ha scoperto che il 47% dei pazienti con amalgame dentarie soffre di depressione rispetto al 14% del gruppo di controllo senza amalgame.
DEPRESSIONE E GLUCOSIO/INSULINA
Il cervello è uno dei pochi organi che richiede un certo livello di glucosio ematico per la sua normale attività. Quindi, l’alterazione dei parametri del metabolismo glucidico possono interferire notevolmente con queste funzioni e giocare un ruolo importante nelle sintomatologie a carattere nervoso. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che, nei diabetici, un miglior controllo glicemico è legato ad un miglioramento e stabilità dell’umore, una diminuzione della depressione, tensione e stanchezza. Spesso la depressione è anche legata ad una resistenza insulinica. L’evidenza suggerisce che l’insulina è in grado di superare la barriera emato-encefalica influenzando la funzione cerebrale legandosi ai recettori dei neuroni. L’insulina può anche incrementare il trasporto dell’aminoacido triptofano aumentando così la produzione di serotonina.
DEPRESSIONE E ACIDI GRASSI
Uno studio effettuato negli USA al Laboratory of Membrane Biophysics and Biochemistry suggerisce che le carenze di certi acidi grassi possono contribuire a sviluppare sintomi depressivi nell’alcolismo, sclerosi multipla e depressione post-partum. Lo studio afferma che un livello adeguato specialmente di acido docosaesaenoico (DHA) è in grado di ridurre lo sviluppo di depressione. Gli acidi grassi omega-3 sono coinvolti sia nell’attività cerebrale sia cardiaca. E ciò spiega il legame fra depressione e malattie cardiovascolari. In una recente lettera agli Archives of General Psychiatry, i dottori W. Emanuel Severus e B. Ahrens, della Freie University in Berlino, e Andrew Stoll di Boston, suggeriscono che la carenza di acidi grassi omega-3 sia il punto di connessione che può spiegare perché pazienti affetti da depressione maggiore siano molto più a rischio di sviluppo e morte per patologie cardiache.
DEPRESSIONE E ORMONI FEMMINILI
La donna sviluppa la depressione unipolare il doppio rispetto all’uomo. Questo è il motivo per cui si è focalizzata molto l’attenzione su come l’apparato riproduttivo femminile interagisca con l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surreni) che regola la risposta dell’organismo allo stress. Attraverso questo asse, lo stress influenza notevolmente gli ormoni femminili. Ciò può drammaticamente interrompere i meccanismi dell’ovulazione provocando, nei casi estremi, amenorrea e infertilità. Tuttavia, a causa di numerosi meccanismi feedback, le fluttuazioni di ormoni sessuali come l’estradiolo ed il progesterone sono in grado di influenzare la secrezione di importanti ormoni dello stress. Depressione, disturbi dell’alimentazione, alcolismo e altre dipendenze spesso si sviluppano a causa del disequilibrio apportato all’asse HPA da parte degli estrogeni. Un’iperattività dei sistemi legati allo stress è associata a malinconia (ansietà, insonnia, perdita della libido), mentre una riduzione di attività è più legata alla depressione tipica (stanchezza, letargia, indifferenza).
ARRABBIARSI FA MALE AL CUORE.
27-11-2016
Di certo non è una novità, ma un’ennesima conferma: la rabbia e l’ira fanno male davvero al cuore. Aumentano più del doppio il rischio di subire un attacco di cuore. A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista Circulation e condotto dai ricercatori del Population Institute Health Research della McMaster University di Hamilton in Ontario. La ricerca ha visto la partecipazione volontaria di oltre 12 mila pazienti che avevano avuto un infarto e per la prima volta, si è arrivati alla conclusione scientifica di un forte legame tra attacco di cuore e l’attività che i pazienti stavano svolgendo immediatamente prima dell’evento e nelle 24 ore precedenti, compreso lo sforzo fisico eccessivo. Alla luce della ricerca, i volontari, provenienti da 52 paesi del mondo, prima dell’attacco di cuore avevano subìto emozioni negative tra cui ira e rabbia che avevano contribuito ad aumentare la pressione sanguigna, riducendo l'apporto di sangue e ossigeno al cuore. Diversi studi erano già andati in questa direzione, ma adesso i ricercatori hanno analizzato i dati di pazienti che sono stati esaminati e intervistati in 262 centri di salute in tutto il mondo: circa tre quarti dei quali, erano uomini intorno ai 58 anni.
Nell'ora prima che i primi sintomi di infarto si sono presentati, il 13,6% dei soggetti analizzati sono stati impegnati in sforzi fisici pesanti e il 9,1% lo era stato il giorno precedente. Sentimenti di rabbia o l’essere emotivamente sconvolto sono stati riportati dal 14,4% dei pazienti e dal 9,9% il giorno prima. La maggior parte degli attacchi di cuore si sono verificati nella fascia oraria 6-18. Il quadro è chiaro: la rabbia se fuori controllo fa male al cuore che batte più velocemente, aumenta la pressione, le coronarie si stringono e aumenta la probabilità che placche aterosclerotiche si distacchino, formando dei trombi. Meglio, quindi, affrontare la vita e lo stress quotidiano con meno ansia e collera, volendoci un pò più bene.
COME GESTIRE LA RABBIA?
Ciò che non dovremmo mai dimenticare è che, anche di fronte a un momento difficile, siamo noi stessi a decidere il nostro atteggiamento, positivo o negativo verso una determinata situazione. E’ proprio la scelta dell’atteggiamento da adottare di fronte a ciò che ci ha fatto arrabbiare a risultare determinante sull’evoluzione della situazione in cui ci troviamo. Cerchiamo di non adottare un atteggiamento totalmente negativo e di non lasciarci travolgere dalle emozioni. Il primo passo, fondamentale, consiste nel prendere coscienza della situazione che ci ha fatto arrabbiare, in tutti i suoi aspetti. E nell’accettarla per quella che è.
http://www.livescience.com/56437-strenuous-exercise-emotional-heart-health.html
COME SCONFIGGERE LA RABBIA SECONDO PENELOPE
FORMAGGI FUSI: 5 BUONI MOTIVI PER RIDURRE IL CONSUMO DI SOTTILETTE E FORMAGGINI.
27-11-2016
I formaggi fusi, come "sottilette" e formaggini, tanto reclamizzati nel corso degli ultimi decenni come prodotti particolarmente adatti al consumo da parte dei bambini, rappresentano davvero degli alimenti sicuri? Chi sceglie di portare sulla propria tavola dei formaggi dovrebbe essere sempre al corrente della provenienza degli ingredienti utilizzati per la produzione degli stessi e dei processi di lavorazione dei diversi prodotti, in modo da potersi orientare più facilmente nell'acquisto degli alimenti. Riguardo formaggini e sottilette vi sono non pochi dubbi concernenti ingredienti contenuti nei prodotti finiti e metodi di produzione. I consumatori dovrebbero ottenere maggiore chiarezza in proposito da parte delle aziende produttrici; ne hanno il diritto. Proviamo dunque ad approfondire l'argomento e ricordiamo di controllare attentamente le etichette riportanti gli ingredienti prima degli acquisti.
1. "FALSI CIBI" E PUBBLICITA' INGANNEVOLE
Il termine "Sottilette" non rappresenta altro che un marchio commerciale ideato da parte di Kraft ed utilizzato per indicare un "formaggio fuso a fette" in qualità di prodotto confezionato da porre in vendita attraverso la grande distribuzione. Kraft, nel 1987, era stata accusata di pubblicità ingannevole, negli Stati Uniti, in merito al contenuto di calcio e di "vero" latte presente nel prodotto in questione, in vendita Oltreoceano con il nome di "Singles". E' possibile consultare in proposito il documento "FTC charges Kraft inc. misrepresented calcium content of its individual cheese slices".
2. RISCHI PER LA SALUTE
I rischi per la salute legati al consumo di sottilette sono stati posti in luce di recente da parte di un articolo comparso sulla rivista rumena Evz, ripreso in Italia dal settimanale online Quale Formaggio. La fonte estera ha sottolineato come per i formaggi fusi (ad esempio, le sottilette o i formaggini) sia spesso presente una composizione di scarsa qualità, che può comportare la presenza di elementi in grado di portare ad impedire la fissazione del calcio nelle ossa. Alcuni conservanti impiegati nella produzione dei formaggi fusi sarebbero legati al rischio di cancro. L'eccesso di sale presente in alcuni prodotti potrebbe essere esso stesso legato all'insorgere di alcuni tipi di tumore ed al rischio di incorrere in patologie cardiovascolari.
3. ADDITIVI
Secondo uno studio condotto da parte della rumena Anpcpss (Associazione nazionale per la protezione dei consumatori e la promozione di programmi e strategie) i formaggi fusi possono contenere fino a 13 additivi diversi. E' dunque raccomandabile controllare con attenzione le etichette per verificare la presenza o l'assenza di alcuni additivi utilizzati come stabilizzanti (E450), antiossidanti (E361) e conservanti (E250). Il conservante E250, in particolare, come riportato da parte della rivista Evz, può compromettere il sistema immunitario dei bambini, distruggendo la flora batterica ed esponendoli ad un alto rischio di infezioni. L'assunzione di nitriti attraverso il consumo di formaggi fusi che li contengano può portare alla formazione nell'organismo di sostanze promotrici dei tumori.
4. METODI DI LAVORAZIONE
I formaggi fusi possono essere ottenuti mediante il riciclo di scarti provenienti da altri formaggi, che possono subìre prolungati processi di trasformazione mediante l'utilizzo di sali di fusione, dando origine ad un prodotto contenente composti come fosfato, citrato e sodio, in quantità più o meno elevate a seconda dei prodotti. Noi consumatori non siamo a conoscenza della provenienza delle tipologie di scarti eventualmente impiegati da parte delle aziende produttrici per ottenere formaggi fusi come formaggini e sottilette, mentre appaiono di norma ben chiare le tabelle riportanti i valori nutrizionali presenti sulle confezioni degli alimenti. Riguardo gli ingredienti di partenza destinati alla fusione per la realizzazione di formaggini e sottilette sarebbe dunque necessaria una maggiore chiarezza.
5. ECCESSO DI SALE
La concentrazione di sale può raggiungere i 3 grammi ogni 100 grammi di prodotto per quanto riguarda i formaggi fusi e dovrebbe essere presa in considerazione soprattutto da parte dei soggetti ipertesi ed in caso di somministrazione di formaggi fusi ai bambini. Secondo le più recenti linee guida dell'OMS, gli adulti non dovrebbero consumare più di 5 grammi di sale al giorno. Le linee guida, secondo quanto comunicato da parte dell'OMS, devono essere rispettate anche nel caso dei bambini, sulla base di peso, altezza ed energia consumata, in quanto un bambino con la pressione alta sarà molto probabilmente un adulto con il medesimo problema.
GRAVIDANZA: VIA LIBERA AL PESCE.
27-11-2016
Il mercurio negli alimenti si è rivelato pericoloso per una gran moltitudine di disturbi. Tant’è vero che in molti Paesi si stanno prendendo misure precauzionali per evitare che i livelli nel corpo umano siano eccessivi. Tra questi, vi è il suggerimento di non mangiare il pesce per tutto il periodo della gravidanza. Questo consiglio deriva dal fatto che il feto potrebbe assorbire tale sostanza con tutti gli effetti negativi del caso. Un nuovo studio, tuttavia, sembra non confermare questa ipotesi; anzi, consiglia l’utilizzo del pesce per tutti gli altri effetti positivi sulla crescita fetale e lo sviluppo dell’infante. Il tutto nacque tempo fa quando alcune ricerche identificarono il pericoloso mercurio nell’organismo umano a causa dell’ingerimento di pesce. Questo nuovo studio, pubblicato ieri su Environmental Health Perspectives, sembra indicare l’importanza di rivedere dati e livelli di mercurio per capire realmente quanto l’organismo umano ne immagazzina con il pesce - o i frutti di mare - e qual è il limite per non incappare in problemi di salute. Negli anni ’90, fu condotta un’importante ricerca dall’Università di Bristol denominata “ALSPAC” (Avon Longitudinal Study of Parent and Children). Lo studio è oggi meglio conosciuto come “Children of the 90s”, si tratta di un progetto a lungo termine che ha coinvolto oltre 14.000 donne in gravidanza tra il 1991 e il 1992. Da allora la salute dei figli viene monitorata costantemente e le famiglie forniscono una grande varietà di informazioni genetiche e ambientali al fine di studiare una vasta gamma di problemi di salute. Alcuni risultati ottenuti dall’ALSPAC hanno evidenziato come l’assunzione di pesce durante la gravidanza possa aver portato a effetti positivi sia sul quoziente intellettivo (QI) che sulla capacità visiva del bambino. Probabilmente molti di tali effetti positivi sono dovuti alla presenza di iodio e acidi grassi omega-3. Sempre secondo la ricerca, inoltre, sul banco degli imputati - per ciò che concerne la presenza di mercurio - non c’era solo il pesce, sia esso bianco o azzurro, ma anche alimenti come la birra, il vino, l’alcol e perfino le tisane: queste ultime sono state per i ricercatori una scoperta inattesa, probabilmente perché erano anche fonte di tossine. Le donne che mostravano livelli più elevati di mercurio sembravano essere quelle di ceto sociale medio-alto; che avevano frequentato l’Università; che conducevano lavori di un certo rilievo in posizioni manageriali ed erano in attesa di un primo figlio. Nonostante questo, però, le statistiche dimostravano che era inferiore all’1% il numero di persone con livelli di mercurio superiore al massimo raccomandato dal National Research Council degli Stati Uniti. È bene specificare che anche se la ricerca è stata condotta in Inghilterra, i valori massimi sono stati identificati negli Stati Uniti perché nel Regno Unito non esiste, allo stato attuale, un livello di sicurezza circa l’assunzione di mercurio. Dalla ricerca, si evince che il consiglio che di solito viene dato alle donne in gravidanza, di evitare l’assunzione di pesce o frutti di mare al fine di ridurre l’ingestione di mercurio, è pressoché inutile. «Siamo rimasti piacevolmente sorpresi di scoprire che il pesce contribuisce solo a una piccola quantità (il sette per cento) dei livelli di mercurio nel sangue. Abbiamo già scoperto che mangiare pesce durante la gravidanza ha molti benefici per la salute sia per la madre che per il bambino. Ci auguriamo che molte più donne prenderanno in considerazione il mangiare maggiori quantitativi di pesce durante la gravidanza. E' importante sottolineare, tuttavia, che in gravidanza le donne hanno bisogno di una dieta equilibrata mista. Esse dovrebbero includere nella dieta i pesci insieme ad altri componenti benefici come frutta e verdura», conclude il professor Jean Golding Obe.
HELICOBACTER PYLORI: ECCO PERCHE' E' PERICOLOSO.
27-11-2016
L’infezione da Helicobacter pylori è associata al tumore gastrico e ad altre malattie. Si calcola che il 50% della popolazione ultrasessantenne in Italia ne sia portatrice. Nella maggior parte dei casi, i fattori di resistenza mucosale funzionano e l’infezione resta asintomatica, ma in altri contribuisce a causare ulcere peptiche e rischio di adenocarcinoma gastrico. Alcune ricerche ci aiutano a capire perché a certe persone viene l’ulcera gastrica o il tumore dello stomaco, mentre altre riescono a resistere all’H. pylori. Un gruppo di scienziati ha scoperto che mentre l’incidenza di H. pylori è la stessa in chi assume e chi non assume antinfiammatori non steroidei (FANS), il rischio di ulcera è quattro volte più alto per chi fa uso di questi farmaci. In altre parole, l’aspirina e gli altri FANS inibiscono la capacità dello stomaco di difendersi da H. pylori. Anche il caffè contribuisce ad aggravare la situazione. L’infezione da H. pylori inoltre causa la distruzione della vitamina C.
In uno studio su 19 pazienti con H. pylori la concentrazione di acido ascorbico nei succhi gastrici è risultata del 75% più bassa rispetto ai controlli non infetti. I pazienti presentavano anche un aumento significativo delle infiammazioni a carico di stomaco e intestino. Dopo l’eliminazione di H. pylori, la concentrazione di acido ascorbico nei succhi gastrici saliva. In altre parole, l’infezione consuma la vitamina C, la quale neutralizza le nitrosamine, cioè le sostanze cancerogene che sono considerate la causa principale dei tumori dello stomaco. Interessanti sono anche le ricerche che dimostrano che una soluzione di miele di Manuka al 5-10% inibisce completamente l’H. pylori dopo 72 ore di incubazione in vitro. A questo punto sono necessari studi sull’uomo per stabilire se ciò può essere di qualche utilità clinica.
DALLA BIRRA UNA TERAPIA ANTITUMORALE.
26-11-2016
Gli scarti di produzione della birra potrebbero rivelarsi più utili del previsto. Secondo una ricerca dell'Università di Bari, infatti, uno di questi avrebbe la capacità di fermare la proliferazione delle cellule tumorali. Gli scienziati italiani hanno pubblicato su Scientific Reports uno studio sull'attività antiossidante e antitumorale dei composti polifenolici bioattivi. Il più interessante è legato proprio al processo di birrificazione. Salvatore Scacco, uno degli autori, spiega: «In realtà siamo partiti da un'osservazione. Ci sono molti elementi naturali che dal punto di vista epidemiologico hanno effetto benefico sulla salute umana». Insieme a Tiziana Cocco, Danila De Vito e Luigi Santacroce, Scacco ha cominciato a lavorare sulla birra 5 anni fa. «Utilizziamo un materiale che i birrifici dovrebbero scartare, perché non si può immettere nell'ecosistema dato che ha un carico ambientale negativo. Prima di essere smaltito dovrebbe essere nuovamente trattato, ma con costi alti». Paradossalmente, però, il sottoprodotto potrebbe rivelarsi fondamentale per la salute umana. «Lo abbiamo testato su modelli biologici - continua Scacco - e il risultato è che ha effetto contro lo stress ossidativo, il quale è alla base dell'invecchiamento cellulare, e sulle mutazioni del DNA che possono portare allo sviluppo dei tumori». Ovviamente, serviranno altri anni di studio prima di poter usufruire dei benefici del composto: «Bisognerà passare dai trial clinici su pazienti selezionati, per vedere come questa miscela di molecole possa intervenire sull'andamento del tumore, e anche come follow up», commenta Scacco.
RIMEDI NATURALI CONTRO LA FEBBRE.
26-11-2016
Uno dei concetti chiave fondamentali della febbre è che è un segno clinico. Vuol dire che non è fine a sè stessa, ma compare perchè il corpo sta cercando di combattere una determinata malattia. Si definisce febbre o piressia un incremento della temperatura del corpo oltre i normali valori (si dice di avere la febbre quando la temperatura sale oltre i 37 gradi centigradi). Ricordatevi però che la sera la temperatura corporea è più alta, quindi una temperatura di 37 gradi misurata di mattina è un sintomo ben più evidente rispetto ad una temperatura di 37 gradi rilevata alla sera. Ci sono tantissime patologie che possono far scattare questo incremento di temperatura: vi ricordo ancora una volta, che la febbre non è una malattia, ma la conseguenza di una causa scatenante, importante da ricercare per eliminare il problema. Assieme alla febbre si presentano spesso altri sintomi quali brividi, male alle ossa, testa pesante o giramenti di testa, sensazioni di freddo, sudorazione intensa, accelerazione dei battiti cardiaci. A volte i sintomi sono più pesanti: nausea, vomito, sensazione di malessere generale.
COSA FARE QUANDO SI HA LA FEBBRE
Per prima cosa occorre bere molto per mantenersi ben idratati. Se la febbre è causata dal mal di gola questo consiglio è da mettere in atto ancora di più, per evitare che le tonsille si secchino e facciano male. Ecco un elenco di cose da fare quando si ha la febbre:
• Stare a riposo, non forzare, lasciare che le poche energie a disposizione vengano utilizzate dall’organismo per combattere la febbre.
• Utilizzare spugne o asciugamani bagnati per effettuare impacchi di acqua fredda sul corpo.
• Non fare pasti troppo abbondanti, e masticare lentamente.
• Nel caso di presenza di brividi, coprirsi bene o fare un bagno caldo (si, spogliarsi per entrare nella vasca sarà sicuramente uno shock), ma mai riscaldare troppo gli ambienti.
• Assumere integratori naturali per rafforzare il sistema immunitario.
• Assumere tanta frutta e tanta verdura, preferire agrumi e altri frutti ricchi di vitamina C.
• Evitare dolci, zuccheri, fritti, cioccolato e alimenti ricchi di grassi.
• Le tisane possono aiutare molto in presenza di febbre, sono un rimedio particolarmente efficace. Le tisane al timo, al tiglio, alla camomilla o alle foglie di menta sono particolarmente indicate
• A pranzo o a cena bere un brodo di pollo o di carne: il brodo allevia la sensazione di malessere e contrasta l’azione dei virus.
• Se la temperatura sale, distendersi sul letto o sul divano con una pezza bagnata d’acqua fredda sulla testa.
• Preparare un decotto di foglie di basilico bollite in mezzo litro d’acqua, e berlo due volte al giorno con mezza tazza di bevanda vegetale con un pò di miele.
• Contro la febbre sono molto efficaci gli oli essenziali come l’olio essenziale di origano, bergamotto, lavanda, santoreggia e ginepro.
IPERTENSIONE, DIABETE E HIV: QUANTI BENEFICI IN UNA BANANA.
26-11-2016
La banana è una pianta assai diffusa nei paesi a clima tropicale. Il frutto, oltre a vitamine, fibre e numerose altre sostanze, contiene mediamente 467 mg di potassio, essenziale per mantenere la normale pressione del sangue, e solo 1 mg di sodio. È sulla base di questi dati che la Food and Drug Administration ha consentito ai produttori di pubblicizzare la capacità della banana nel ridurre l'ipertensione. Un recente studio dell'Università del Michigan (Journal of Biological Chemistry), invece, ha evidenziato come la lectina, contenuta nelle banane, è un potente e nuovo inibitore dell'Hiv: il principio attivo ("BanLec") si è dimostrato potente quanto due farmaci antiretrovirali già in uso. Un altro studio messicano (Journal of Environmental Research and Public Health), ha dimostrato come la somministrazione di un estratto di 24 g di banana riduca il peso corporeo e aumenti la sensibilità all'insulina nei pazienti in cui vi sia un'associazione di obesità e diabete di tipo 2.
OSTEOPOROSI.
25-11-2016
L’osteoporosi è una patologia che provoca la progressiva riduzione della mineralizzazione delle ossa che si verifica quando la formazione di nuovo tessuto osseo costruito per rimpiazzare quello eliminato è inferiore al necessario. Man mano che l’osso è perso, lo scheletro continua si ad avere una composizione normale ma risulta sempre più poroso e fragile. La martellante informazione mediale e la superficialità dei medici poco avvezzi all’approfondimento, ha inculcato nella testa delle donne non solo la paura di sviluppare questa malattia ma anche l’assoluta necessità di dover assumere estrogeni e calcio per prevenirla. Questa si chiama disinformazione. Non esistono studi clinici validi che dimostrano un incremento della mineralizzazione ossea dopo terapia sostitutiva né una supplementazione a base di calcio incrementa la densità ossea nella donna in pre-menopausa né la previene nel post-menopausa. La donna non sviluppa l’osteoporosi a causa di carenza estrogenica o di calcio bensì per tanti altri motivi che vedremo. Pensate che l’incidenza più alta di osteoporosi è stata raggiunta in paesi dove è molto elevato il consumo di latte e latticini. Utilizzare estrogeni sintetici non remineralizza un bel niente. Al massimo rallenta la velocità di demineralizzazione. Un lavoro pubblicato su NEJM nel 1993 ha dimostrato che il rischio di fratture all’anca in donne oltre i 75 anni era esattamente lo stesso con o senza terapia sostitutiva. Non parliamo degli ultimi ritrovati. Attualmente i medici, come una banderuola che segue il vento, hanno cambiato rotta: dalla calcitonina che aveva raggiunto qualche anno fa i sei milioni di pezzi annui, sono passati ai fosfonati. L’ultimo nato di questa famiglia possiede un’attività 1000 volte maggiore rispetto al bifosfonato originale. I suoi cristalli penetrano nell’osso e bloccano artificialmente l’attività degli osteoclasti (cellule deputate alla distruzione dell’osso). I cristalli del farmaco, però, non possono essere rimossi e rimangono nell’osso per tutta la vita impedendo la formazione di nuove cellule ossee. Man mano si forma una specie di struttura artificiale simile alla plastica in cui dovrebbe convivere un osso normale. Persino chi la produce avverte di non farne un uso indiscriminato non conoscendo gli effetti a lungo termine: nessuno ha idea degli effetti che il fosfonato possa avere oltre i quattro anni. Il farmaco diminuisce la velocità di riassorbimento osseo direttamente, il che porta a un riduzione indiretta di produzione ossea. Ha senso questa affermazione pubblicata sul Physicians Desk Reference nel 1998?
Altri effetti collaterali del farmaco sono:
- Patologie renali.
- Insufficienza epatica.
- Ulcere.
- Dolori articolari.
- Cefalee.
- Rash cutanei.
L’uso dei fosfonati è un approccio rischioso e artificiale all’osteoporosi ma molto remunerativo in quanto si stima che l’osteoporosi affligga circa il 50 % delle donne fra i 30-40 anni ed è una patologia presente circa nel 30% delle donne oltre i 65 anni. Molte sono in età più avanzata e soffrono per collassi vertebrali e fratture sia delle coste che delle anche per traumi anche di lieve entità. L’osteoporosi differisce da altre patologie dell’osso come l’osteomalacia e il rachitismo che si sviluppano a causa di un’anomala calcificazione ossea. L’osteomalacia è associata ad una normale formazione osteoide ma con una diminuita deposizione di calcio; il rachitismo è il risultato di un aumento dell’attività osteoclastica rispetto a quella osteoblastica. I fattori coinvolti nell’osteoporosi sono numerosi e multicausali in origine. Grazie agli studi del dott. Watts, l’osteoporosi può essere classificata in due specifiche tipologie:
• TIPO 1: osteoporosi associata ad una bilancia calcica negativa dovuta a scarsa assunzione del minerale, diminuito assorbimento o aumentata escrezione con ipercalciuria.
• TIPO 2: osteoporosi associata con assunzione adeguata di calcio, escrezione diminuita o normale ma con calcificazioni metastatiche.
Ogni tipologia presenta delle caratteristiche metaboliche ben precise e altrettanto ben precise necessità nutrizionali.
FATTORI ENDOCRINI ASSOCIATI
OSTEOPOROSI SENILE
L’osteoporosi senile si verifica sia nell’uomo che nella donna, ma essa viene più attribuita all’uomo. L’osteoporosi senile è associata ad insufficienza surrenalica e/o ridotta produzione di androgeni. Una riduzione della funzione surrenalica comporta una diminuzione degli ormoni anabolizzanti incrementando quindi il deposito di calcio nei tessuti molli. Un dato frequentemente associato a ridotta funzione surrenalica è infatti l’ipercalcemia. L’osteoporosi senile può essere classificata come osteoporosi di Tipo 2.
OSTEOPOROSI E IPERFUNZIONE SURRENALICA
La patologia surrenalica più seria da iperfunzione è senza dubbio il morbo di Cushing che provoca l’iperplasia della corteccia della ghiandola. Una produzione eccessiva di ormoni glucocorticosteroidi incrementa il catabolismo proteico con conseguente diminuzione della deposizione proteica a livello dello scheletro e deterioramento del collagene. La malattia di Cushing può provocare diabete che ulteriormente promuove un’attività anti-anabolica specie se viene soppressa la secrezione di insulina. Un’eccessiva secrezione di aldosterone dalla corteccia surrenalica incrementa l’escrezione urinaria di calcio in quanto l’ormone favorisce il riassorbimento di sodio a livello tubulare renale a sfavore di quello calcico. La demineralizzazione come risultato dell’ipertrofia surrenalica può essere classificata come osteoporosi di Tipo 1. Le condizioni patologiche descritte si verificano nei casi estremi, tuttavia anche un lieve incremento di produzione degli ormoni corticosurrenalici può contribuire alla bilancia negativa del calcio necessaria per indurre osteoporosi. Ciò è particolarmente vero quando lo stress si mantiene prolungato nel tempo. Un altro ormone surrenalico importante da considerare è il cortisolo. Valori elevati di cortisolo, provocati sia da iperproduzione che da somministrazione cronica di cortisone, sono cause ben precise di osteoporosi. Un livello eccessivo di cortisolo ematico è stato infatti correlato ad una riduzione di assorbimento di calcio e conseguente ridotta mineralizzazione ossea. Sebbene il Deidroepiandrosterone (DHEA) sia considerato un ormone maschile, viene prodotto in buona quantità anche da ovaie e surrenali. I suoi livelli declinano nel periodo della menopausa per peggiorare verso la settantina quando le ghiandole surrenali smettono di produrlo. Il DHEA migliora la formazione di nuovo tessuto osseo e quindi è molto importante cercare di sostenerne la produzione per prevenire l’osteoporosi aiutando nutrizionalmente l’attività delle ghiandole.
OSTEOPOROSI E IPERTIROIDISMO
L’ipertiroidismo contribuisce all’osteoporosi incrementando sia l’escrezione urinaria di calcio che l’attività osteoclastica. Poiché un’iperattività tiroidea incrementa anche il metabolismo basale si verifica anche un incremento dell’uso delle proteine che riduce ulteriormente la produzione di collagene e attiva la demineralizzazione. L’osteoporosi connessa all’ipertiroidismo può essere classificata come di Tipo 1. E’ interessante notare che spesso l’ipertiroidismo subentra a situazioni di stress fisico o psichico estremamente pesanti. Un’altra associazione interessante è la relazione che esiste fra tiroide e funzione della corticale surrenalica. La tiroxina incrementa, infatti, la secrezione di glucocorticosteroidi: tiroide e corteccia surrenalica si stimolano reciprocamente.
OSTEOPOROSI E PARATIROIDI
Le ghiandole paratiroidi non solo regolano i livelli ematici di calcio e fosforo ma esercitano anche un effetto sul loro assorbimento. Un incremento dell’attività paratiroidea provoca un incremento dell’assorbimento intestinale di calcio ed un incremento dell’escrezione di fosforo con le urine. Nell’ipoparatiroidismo invece si verifica esattamente l’opposto. L’iperparatiroidismo dunque provoca una calcificazione dei tessuti molli e può provocare un’osteoporosi classificabile come Tipo 2. Tiroide e paratiroidi presentano un’attività di tipo antagonistico fra loro L’iperparatiroidismo primario è spesso asintomatico è molto diffuso. E’ importante notare che due terzi dei pazienti diagnosticati con questa patologia sono donne in menopausa che, in caso di osteoporosi, sono diagnosticabili con una patologia di Tipo 2.
OSTEOPOROSI E ORMONI SESSUALI FEMMINILI
Gli ormoni sessuali femminili, estrogeni e progesterone, esercitano un potente effetto nel ridurre il rischio di perdita di densità ossea e rischio di fratture da osteoporosi. Gli estrogeni controllano l’attività degli osteoclasti ed osteoblasti nel tessuto osseo ed influenzano il livello di assorbimento e deposizione di calcio. Una carenza di estrogeni incrementa l’attività degli osteoclasti e della tiroide (essendone i principali antagonisti) potendo provocare una condizione osteoporotica di Tipo 1. Una diminuzione di estradiolo durante la menopausa normalmente sfocia in un processo osteoporotico di Tipo 1. Un eccesso di questi ormoni può invece attivare un’osteoporosi di Tipo 2 sia per l’effetto antagonista nei confronti della tiroide che per quello nei confronti del progesterone. Uno studio effettuato su un certo numero di donne in post-menopausa in trattamento con progesterone naturale, ha dimostrato un incremento della densità ossea in tutti i soggetti con una media di aumento della massa del 15,4%. Questo dato è molto importante perché dimostra, al contrario degli estrogeni che meramente inibiscono il riassorbimento del tessuto osseo vecchio, che il progesterone favorisce la formazione di nuovo tessuto osseo!
OSTEOPOROSI E TESTOSTERONE
Numerosi studi hanno evidenziato il ruolo primario del testosterone in questa problematica. Riequilibrare un livello subottimale di testosterone comporta un marcato miglioramento della densità ossea sia della parte trabecolare che corticale dell’osso.
OSTEOPOROSI E MELATONINA
Si pensa che la melatonina sia importante per la regolazione del metabolismo calcico in quanto stimola l’attività delle ghiandole paratiroidi. Quindi il calo del livello di melatonina può essere un fattore contribuente allo sviluppo di un’osteoporosi post-menopausa.
OSTEOPOROSI E IGF-1 (SOMATOMEDINA C)
L’ormone della crescita viene secreto dall’ipofisi ed esercita una profonda influenza sull’abilità dell’organismo di rigenerare e costruire tessuto osseo e muscolare. I livelli di questo ormone si riducono con l’età spesso drasticamente. Per questo motivo facilmente si riscontra una bassa densità ossea minerale negli individi con una carenza ormonale di questo tipo. L’IGF-1 (Insulin-like Growth Factor 1) viene prodotto a livello epatico come risposta alla secrezione dell’ormone della crescita. Esso è in grado di stimolare l’attività degli osteoblasti, cellule che promuovono la crescita della matrice minerale ossea. I livelli di IGF-1 sono direttamente proporzionali alla densità ossea.
CARATTERISTICHE FISICHE NELL’OSTEOPOROSI DI TIPO 1 E 2
Esistono dei dati clinici specifici associati agli individui affetti da osteoporosi di tipo 1 e 2. Conoscere queste differenze è di aiuto al clinico per poter determinare i coinvolgimenti eziologici biochimici, fisiologici ed endocrini di questi malati. Bisogna ricordare che la maggioranza dei pazienti sofferenti o predisposti all’osteoporosi presentano uno stadio iniziale generale di squilibrio endocrino. L’evidenza di questi squilibri non è facilmente evidenziabile in quanto tale squilibrio non è ancora uno stato patologico conclamato. La maggior parte delle autorità cliniche concorda nel ritenere diagnosticabile radiologicamente l’osteoporosi una volta raggiunto almeno un 30% di riduzione della massa ossea. Vari studi hanno dimostrato che negli stati di ipertiroidismo il riassorbimento è maggiore nella parte corticale dell’osso paragonandolo a quello trabecolare. In situazioni di iperparatiroidismo, invece, è maggiore il riassorbimento della parte trabecolare. Queste caratteristiche distintive sono notevoli se rapportate alla radiologia in quanto possono aiutare a distinguere un’osteoporosi di tipo 1 da una di tipo 2.
I pazienti di tipo 1 possono essere identificati grazie alle seguenti caratteristiche determinate dalle endocrinopatie subcliniche correlate quali ipertiroidismo, iperfunzione surrenalica e ipoparatiroidismo. Il paziente può presentare una temperatura corporea elevata, dovuta all’incremento del metabolismo basale, un incremento della sudorazione, ansia, sensibilità al rumore, iperreflessia e tachicardia. Il paziente può manifestare sintomi da carenza di calcio che includono crampi muscolari (specialmente durante la notte), insonnia (incapacità a prendere sonno), nervosismo e irritabilità. I pazienti di tipo 2, invece possono lamentare un quadro endocrinopatico subclinico completamente opposto con ipotiroidismo subclinico e carenza funzionale delle ghiandole surrenali in associazione ad iperparatiroidismo. A seconda del grado di squilibrio endocrino, possono manifestarsi sintomi come stanchezza e ridotta temperatura corporea (specialmente alle mani e piedi) dovute ad un rallentamento del metabolismo basale; ipotensione (specialmente posturale), iporeflessia e bradicardia. Spesso ad un esame radiologico si evidenziano delle calcificazioni nei tessuti molli, come linfonodi e colecisti, e questo fa molta impressione quando viene spiegato ai pazienti che non capiscono come mai sia possibile, avendo una carenza di calcio osseo, avere calcificazioni disseminate nei tessuti. Evidentemente non per tutti l’osteoporosi consiste in una carenza di calcio, bensì in un suo cattivo utilizzo. In questi pazienti è negativo un trattamento a base di calcio e vitamina D che non farebbe altro che incrementare il deposito del minerale nei tessuti molli senza apportare alcun giovamento alla densità ossea, semmai l’opposto.
FATTORI NUTRIZIONALI COINVOLTI NELL’OSTEOPOROSI
Diversi fattori nutrizionali sono richiesti per un normale processo di mineralizzazione e demineralizzazione della struttura ossea. La combinazione di uno o più squilibri nutrizionali,può contribuire al processo osteoporotico. Per fortuna è vero anche l’opposto: un riequilibrio dei vari fattori nutrizionali può essere di beneficio nel trattamento o nella prevenzione di questa patologia.
Analizziamo dunque gli effetti e gli squilibri connessi all’osteoporosi di tipo 1 e 2.
PROTEINE
Sono fondamentali per la produzione della matrice organica ossea. Esse rappresentano circa il 30% del tessuto osseo. Nonostante ciò ricevono scarsa attenzione in relazione all’osteoporosi. La matrice organica del tessuto osseo è formata in larga parte da fibre di collagene dove si depositano i sali minerali. Qualsiasi fattore che interferisca con il normale metabolismo proteico può contribuire alla demineralizzazione. Fra le varie disfunzione ricordiamo un aumento del catabolismo delle proteine, un incremento della loro utilizzazione ed una diminuita attività anabolica. Nel trattamento dell’osteoporosi è dunque molto importante un apporto proteico dietetico adeguato così come una sua digestione regolare, assorbimento e utilizzo metabolico. E’ risaputo che un apporto o utilizzo proteico inadeguato può influenzare negativamente una funzione endocrina normale. Una carenza proteica può contribuire allo sviluppo di calcificazioni metastatiche.
CALCIO E FOSFORO
Il metabolismo del calcio è controllato dalla disponibilità dietetica, dall’assorbimento di calcio e fosforo dagli alimenti e dai loro livelli ematici. I livelli plasmatici sono controllati dalla funzione renale e paratiroidea, dalla vitamina D e dai suoi metaboliti così come dalla disponibilità del calcio e del fosfato immagazzinati nell’osso. Ad ogni modo l’assunzione di calcio e la sua disponibilità dietetica non assicura il suo assorbimento e deposizione all’interno dell’osso. Una carenza di acido cloridrico gastrico (acloridria) riduce drasticamente l’assorbimento del calcio per cui, se cronica, può contribuire all’osteoporosi. Molti alimenti, come spinaci, rabarbaro, cacao e bietole, impediscono l’assorbimento del calcio. L’acido ossalico contenuto in essi, può legarsi al calcio nell’intestino producendo dei sali insolubili che non possono essere assorbiti. I cereali, specie integrali, contenendo acido fitico possono anch’essi ridurne l’assorbimento. Un’assunzione elevata di fibra non solo può ridurre l’assorbimento di calcio ma anche di magnesio, fosforo e zinco. Un’assunzione sporadica di questi cibi non è sufficiente per provocare gravi problemi cosa che invece si può verificare abusandone cronicamente. L’ingestione di alcol cosi come di sostanze alimentari e bevande ricche in sodio incrementa l’eliminazione urinaria di calcio e deve essere proibita in caso di trattamento di osteoporosi specialmente di tipo 1.
La supplementazione con calcio viene generalmente accettata come terapia contro l’osteoporosi, tuttavia vari studi hanno dimostrato che la supplementazione protratta solo di questo minerale può favorire una diminuzione di ritenzione del minerale stesso. Ciò probabilmente deriva dal fatto di non considerare gli altri meccanismi connessi. I sali minerali sono depositati nell’osso sotto forma di idrossiapatite grazie alla presenza anche di altri minerali come il magnesio, il sodio e il potassio. Uno squilibrio nell’assunzione di uno solo di questi minerali può disturbare l’assorbimento, la deposizione, il riassorbimento e l’escrezione di calcio e fosforo. Tenendo a mente gli effetti endocrini co-implicati nell’assorbimento ed escrezione di calcio e magnesio, è possibile stabilire le necessità reali di calcio che cambiano notevolmente nell’osteoporosi di tipo 1 e 2.
Un ipertiroidismo e un aumento di attività surrenalica porta ad una diminuzione dell’assorbimento intestinale di calcio associata ad un aumento del riassorbimento di fosforo e ipercalciuria tali da produrre un bilancio calcico negativo. In questo caso la condizione può essere etichettata come osteoporosi di tipo 1 che necessita di supplementazione a base di calcio. In caso di iperparatiroidismo primario e riduzione di attività tiroidea, a livello renale si verifica un aumento di ritenzione di calcio e diminuzione del riassorbimento di fosforo. Ciò dà adito ad un’osteoporosi di tipo2 che non risponde ad una supplementazione a base di calcio.
VITAMINA D
Da tempo si sa che la vitamina D3 favorisce l’assorbimento di calcio. L’ormone paratiroideo è richiesto per convertire la vitamina nella sua forma attiva. L’attività della vitamina è simile a quella dell’ormone PTH . Un’ipervitaminosi D può infatti incrementare il deposito di calcio nei tessuti molli. Le richieste di vitamina D3 sono dunque aumentate nell’osteoporosi di tipo 1 connessa con ipoparatiroidismo, ipertiroidismo e aumento di attività delle ghiandole surrenali.
MAGNESIO
Le connessioni fra calcio e fosforo esistono anche fra calcio e magnesio. Sebbene i due minerali abbiano attività sinergiche a livello metabolico, essi sono antagonisti fra loro a livello di assorbimento intestinale. Un’assunzione eccessiva di calcio può condurre ad una carenza di magnesio e viceversa. Il magnesio, come la maggior parte degli altri minerali, risponde velocemente alla regolazione ormonale. Un’ipomagnesemia è associata ad ipertiroidismo così come un eccesso di magnesio è connesso ad una condizione di ipotiroidismo. Un aumento dell’attività paratiroidea, provocando ipercalcemia, può sviluppare una carenza relativa di magnesio nonostante un incremento di assorbimento. Il magnesio viene utilizzato per diminuire gli effetti dell’attività iperparatiroidea. Una funzione surrenale eccessiva provoca un aumento delle perdite di magnesio. La bilancia magnesiaca è notevolmente influenzata da fattori dietetici. Un’assunzione proteica esagerata incrementa le richieste organiche di magnesio così come l’alcol provoca una marcata perdita di magnesio attraverso le urine. Una supplementazione di magnesio è dunque indicata in tutte e due i tipi di osteoporosi. Nel tipo 1 ci troviamo di fronte ad una franca carenza in concomitanza con quella di calcio. Nell’osteoporosi di tipo 2 invece, la carenza è relativa e la supplementazione può aiutare a diminuire il riassorbimento osseo del calcio indotto dall’attività paratiroidea.
VITAMINA C E RAME
Come evidenziato da vari studi inerenti allo scorbuto, gli effetti negativi della carenza di vitamina C nei confronti della sintesi del collagene sono stati ben documentati. Una carenza di vitamina C provoca infatti una riduzione della produzione della matrice ossea contribuendo quindi all’osteoporosi. La prolin-idrossilasi è un enzima necessario per la sintesi del collagene e la sua attività dipende dai livelli di vitamina C. Il minerale rame è strettamente associato alla vitamina C sia in modo sinergico che antagonista. Uno dei segni più precoci di carenza di rame comprende l’osteoporosi. In caso di sua carenza si riducono i legami di “cross-linking” del collagene essenziali per la funzione del collagene della matrice ossea. Anche un certo numero di enzimi coinvolti nella sintesi del collagene richiedono come cofattore il rame. L’ascorbato-ossidasi è un enzima rame-dipendente. Un aumento dei livelli tissutali di rame potrebbe provocare un incremento dell’ossidazione della vitamina C provocandone una carenza, nonostante una corretta assunzione della vitamina stessa. Di converso un quantitativo eccessivo di vitamina C può abbassare i livelli di rame con possibili sintomi analoghi a quelli dello scorbuto. La tipologia 2 risponde bene alla supplementazione di vitamina C ma non al rame che viceversa è necessario alla tipologia 1 che risente negativamente della vitamina C.
ZINCO
Lo zinco è necessario per la sintesi proteica e in caso di una sua carenza sono state scoperte varie anomalie del collagene. Fra zinco e rame esiste una relazione antagonistica.
PIOMBO
E’ risaputo che il metallo tossico piombo interferisce con la sintesi del collagene. Un’esposizione occupazionale o ambientale eccessiva, inoltre, può portare a una bilancia negativa del calcio, specialmente se l’assunzione di calcio è marginale.
CADMIO
Vari studi hanno dimostrato che il cadmio diminuisce il contenuto minerale dell’osso contribuendo allo sviluppo dell’osteoporosi. Osteomalacia e pseudofratture sono state riscontrate nei lavoratori afflitti da intossicazione da cadmio. Un’ulteriore evidenza della relazione deriva dagli studi effettuati su numerosi giapponesi viventi nelle vicinanze del fiume Jintsu noto per il suo inquinamento da cadmio. Essendo inoltre antagonista rispetto allo zinco, il cadmio interferisce con la normale sintesi proteica.
TMA (ANALISI DEI MINERALI TISSUTALI)
Un modello plausibile per determinare le tendenze e le tipologie osteoporotiche può essere quello presentato attraverso i parametri micro e macro minerali analizzabili tramite biopsie di tessuti umani. Per ovvie ragioni, il capello è il tessuto biologico elettivo. E’ facile da ottenere rispetto agli altri tessuti come pelle, organi o osso; il test di laboratorio è economico ed il capello è facilmente campionabile e trasportabile. Le analisi dei minerali tissutali sono più vantaggiose di quelle effettuate sul sangue per varie ragioni. I livelli di minerali ematici fluttuano ogni momento per via dei ritmi circadiani, delle tecniche di prelievo, dell’esercizio fisico, di patologie acute o croniche come infiammazioni, infezioni e neoplasie. I minerali sierici sono mantenuti normali a spese dei livelli presenti nei tessuti riflettendo solo l’attività extracellulare. In ogni caso l’analisi dei minerali tissutali non è priva di svantaggi. Includiamo un’impropria campionatura, una contaminazione esterna derivata da messa in piega, esposizione occupazionale, apparecchiature inadatte per la campionatura, improprie procedure di laboratorio e l’incapacità di interpretare adeguatamente i risultati. I valori dei minerali tissutali non devono essere utilizzati per individuare delle carenze assolute: essi rivelano invece carenze relative e squilibri reciproci. Determinare i rapporti ideali fra i vari minerali è di maggior importanza rispetto al singolo valore assoluto. Poiché i minerali hanno sinergie e antagonismi reciproci, gli eccessi e le carenze relative possono essere facilmente determinate attraverso l’analisi rendendo il TMA una delle analisi più valide per riconoscere le vere necessità nutrizionali di un individuo. Poiché le ghiandole endocrine governano il metabolismo dei minerali e, viceversa, i minerali influenzano la funzione endocrina, l’analisi tissutale dei minerali (TMA) trovati nel capello può essere considerato un modello accettabile per determinare i rapporti dei minerali di riserva e gli effetti endocrini.
FEGATO SPAPPOLATO PER TROPPI ENERGY DRINK.
25-11-2016
Gli energy drink fanno male allo stomaco. Dopo il veto del Parlamento europeo alle etichette che esaltano le proprietà della caffeina e dello zucchero sulle confezioni degli energy drink, alcuni esperti dell’università della Florida non hanno esitato a descrivere il caso di un uomo ricoverato con un’epatite acuta dopo aver consumato 4 o 5 di queste bevande al giorno per tre settimane. Su Bmj Case Reports, infatti, si parla di un muratore di cinquant’anni che ha sviluppato anoressia e dolori addominali sfociati poi in nausea e vomito. Tutti sintomi che inizialmente erano stati attribuiti a una semplice influenza, ma che poi sono arrivati a una pericolosa itterizia diffusa. Una volta in ospedale, un esame del sangue ha indicato un elevato numero di transaminasi, che sta ad indicare problemi al fegato, mentre test più specifici hanno diagnosticato un’epatite C, molto probabilmente provocata da un abuso di vitamina B3, chiamata anche niacina. Come mai questi valori? Con quelle “dosi” di energy drink (4 o 5 al giorno), il muratore ha assunto al giorno 200 milligrammi di vitamina B3 (ogni lattina ne contiene 40 milligrammi), cioè il doppio della razione giornaliera consigliata. E un eccesso di niacina ha gravi danni sul fegato. E non solo, lo studio sottolinea come circa il 50% dei cedimenti del fegato negli USA siano dovuti a supplementi alla dieta, spesso in preparati “naturali” spacciati per integratori alimentari innocui: “Con il mercato degli energy drink in continua espansione - scrivono gli autori - i consumatori dovrebbero essere coscienti dei potenziali rischi dei singoli ingredienti. Vitamine e altri nutrienti, come la niacina, sono presenti in quantità che eccedono le dosi raccomandate quotidiane, portando a rischi di accumulazione e tossicità”.
COSA PROVOCANO GLI ENERGY DRINK
Gli energy drink fanno solo male al fegato? Ahimè no: assumere troppe bevande energetiche può provocare cefalee e disturbi del sonno e, soprattutto, eccessive quantità di zucchero e caffeina (di cui sono composti gli energy drink) compromettono la salute e una crescita sana. Niente bevande energetiche, dunque, e se proprio vi piacciono concedetevene una ogni tanto, ma mai più di una al giorno! Sappiate, infatti, che all'assunzione regolare di questo tipo di bevande è legato un pericoloso rischio di assuefazione, per cui con il passare del tempo vi sembra necessario ingerirne quantità sempre maggiori. In alternativa, meglio realizzare in casa degli energy drink a base di frutta e verdura!
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