Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

26-11-2018

Un'esposizione cronica ai pesticidi nell'infanzia è associata a un aumento dell'incidenza di tumori fra i più piccoli. Lo dimostra uno studio pubblicato su Pediatrics da un team della Harvard TH Chan School of Public Health di Boston. Chensheng Lu, coordinatore della metanalisi, spiega: “cresce la preoccupazione circa il legame tra esposizione cronica a basse concentrazioni di pesticidi nell'infanzia e tumori infantili”. Gli scienziati americani hanno analizzato gli studi sull'argomento pubblicati su PubMed prima del febbraio 2014, arrivando a selezionarle 277 e includendone 16 nell'analisi. I risultati indicano che l'esposizione domestica agli insetticidi è associata a un aumento del rischio di linfoma e di leucemia infantile. Quest'ultima, poi, è legata anche all'uso di erbicidi esterni. “Viceversa, l'uso di insetticidi all'aperto non si associa ad alcun cancro infantile”, concludono gli autori. 
Nello stesso numero di Pediatrics, un team di ricercatori italiani guidato da Anna Lavezzi dell'Università di Milano descrive il caso di un bambino di 7 mesi morto nel sonno. “Dopo l'autopsia, la revisione della storia clinica e una dettagliata indagine della scena del decesso, la morte è rimasta inspiegabile portando a una diagnosi di SIDS, la sindrome della morte improvvisa infantile”, scrivono i ricercatori. Tuttavia, un esame più approfondito del tronco cerebrale ha svelato la presenza di un'alterazione grave nell'area postrema, struttura altamente vascolarizzata che si trova al di fuori della barriera emato-encefalica, sul pavimento del quarto ventricolo. “L'alterazione è probabilmente dovuta alla massiccia e ripetuta esposizione a un insetticida domestico nelle ultime settimane di vita”, scrivono gli autori.

 

http://pediatrics.aappublications.org/content/early/2015/09/08/peds.2015-0006?variant=abstract&sso=1&sso_redirect_count=1&nfstatus=401&nftoken=00000000-0000-0000-0000-000000000000&nfstatusdescription=ERROR%3a+No+local+token

http://consumer.healthday.com/environmental-health-information-12/pesticide-health-news-772/home-pesticide-use-tied-to-child-cancer-risk-703205.html

01-08-2016

La presenza del rame nell’organismo è fondamentale per l’attività di diversi enzimi che lo utilizzano come co-fattore tra i quali ceruloplasmina, superossido dismutasi e citocromo C ossidasi. In particolare, citocromo C e superossido dismutasi sono coinvolti rispettivamente nei processi di formazione e di eliminazione dei radicali liberi. Il rame si trova in due stati redox distinti: ossidato o ridotto. Per questa sua caratteristica biochimica è richiesto in numerose reazioni di ossidoriduzione catalizzate da enzimi coinvolti in vari aspetti del metabolismo cellulare. Il rame partecipa alla formazione dell’emoglobina e dei globuli rossi, facilitando l’assorbimento del ferro, al metabolismo del colesterolo, contribuisce alla conversione della tirosina in un pigmento scuro che colora i capelli e la pelle ed è coinvolto nel metabolismo delle proteine e nei processi di cicatrizzazione. Il rame è necessario per la sintesi dei fosfolipidi, sostanze essenziali per la formazione delle membrane protettive della mielina che circonda le fibre nervose. Esso promuove la sintesi di elastina (elemento primario delle fibre muscolari elastiche) attraverso l’ossidazione della vitamina C; è richiesto nella produzione del tessuto connettivo, nella formazione dell’osso e nel mantenimento dell’integrità del sistema vascolare. Le più alte concentrazioni di rame nell’organismo si trovano in fegato, reni, cuore e cervello. Oltre il 50% del rame è concentrato in ossa e muscoli. Tra i sintomi di carenza da rame troviamo ipercolesterolemia, leucopenia, demineralizzazione ossea, anemia, fragilità delle grosse arterie e demielinizzazione del tessuto nervoso.

OSTEOPOROSI

L’enzima rame-dipendente lisil ossidasi (protein-lisina 6-ossidasi) è richiesto per la maturazione del collagene, elemento chiave della matrice organica delle ossa. Casi di osteoporosi sono stati osservati in bambini e adulti con carenza grave di rame. In uno studio recente, il livello ematico di rame di 46 pazienti anziani con frattura dell’anca è stato trovato significativamente più basso di quello dei soggetti di controllo. Un piccolo studio su donne in perimenopausa, che consumavano una media di 1 mg/die di rame, ha riportato la riduzione della perdita della densità minerale ossea dalla spina lombare dopo la supplementazione di 3 mg/die per 2 anni di rame. In un altro studio in doppio cieco placebo-controllo su 59 donne in post-menopausa la supplementazione di calcio e minerali traccia, tra cui 2,5 mg/die di rame, ha mostrato che la densità ossea spinale è rimasta stabile, cosa che non è stata riscontrata con la sola supplementazione di calcio e minerali traccia. In un altro studio su 11 adulti maschi sani, l’assunzione di rame (0,7 mg/die) per 6 settimane ha aumentato in modo significante il riassorbimento osseo.

SISTEMA IMMUNITARIO

Il rame è importante per lo sviluppo e il mantenimento della funzione del sistema immunitario. La neutropenia, che consiste in un numero abnormalmente basso di neutrofili, è un sintomo clinico della carenza di rame. I pazienti affetti da questo disturbo, specie se associato ad anemia, dovrebbero essere sottoposti a indagine per diagnosticare un possibile deficit di rame. Altri effetti avversi sono notati a livello immunitario nei soggetti carenti di rame (ridotta risposta proliferativa dei leucociti, con conseguenti gravi infezioni).

DISTURBI NEUROLOGICI

Recentemente è stato osservato che la carenza grave di rame può causare un disturbo neurologico, la mielopatia da deficit di rame. Lo studio ha preso in esame sintomi e referti diagnostici di 13 pazienti della Mayo Clinic di Rochester (USA), concludendo che il deficit di rame è più frequente di quanto si pensi e che la determinazione dei livelli di rame ematici dovrebbero far parte della diagnostica di routine in tutti i casi di mielopatia.

 

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/(SICI)1520-670X(1996)9:3%3C87::AID-JTRA1%3E3.0.CO;2-E/abstract

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15249607

26-11-2018

Le vitamine sono sostanze organiche che devono essere fornite dall'esterno, alcune perché non possono essere sintetizzate dall'uomo, altre perché la loro sintesi avviene più lentamente di quanto sia necessario al mantenimento dello stato di salute. Le vitamine sono prive di valore calorico ed energetico, ma rivestono un ruolo fondamentale poiché favoriscono lo svolgimento di numerosi processi biologici nell’organismo. Se consideriamo gli attuali LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti) e li confrontiamo con le esigenze nutrizionali di specifici soggetti (sportivi, anziani, adolescenti, malati cronici ecc.), possiamo dedurre che l’assunzione vitaminica atta semplicemente ad evitare la carenza di questi importanti nutrienti, potrebbe non essere in grado di soddifarne il fabbisogno. Le odierne condizioni di vita presentano numerosi fattori - inquinamento, stress, scarso valore nutritivo degli alimenti - che possono portare a un graduale indebolimento dell’organismo, che può essere provocato dalla carenza di una o più vitamine. Generalmente simili carenze sono la causa principale di sintomi quali inappetenza, scarsa resistenza alle infezioni, stati di affaticamento fisico e mentale, irritabilità, insonnia, problemi digestivi, perdita di peso e debolezza muscolare.

INFEZIONI

Un recente studio randomizzato in doppio cieco, condotto su 130 soggetti ha evidenziato che l'assunzione quotidiana di un preparato multivitaminico è in grado di ridurre la suscettibilità alle infezioni. Inoltre, nei soggetti affetti da diabete del tipo II partecipanti allo studio (n=50), è stata osservata la diminuzione del numero di assenze per malattia. Un altro studio clinico durato 6 mesi ha valutato la validità della somministrazione di una preparazione vitaminica in 42 soggetti (maschi, femmine) sofferenti di stress o di esaurimento. Alla fine dello studio fu osservato nel 40,7% dei soggetti un miglioramento delle condizioni generali, nel 29% la riduzione degli episodi infettivi e nel 91% dei disturbi gastrointestinali.

SQUILIBRI DIETETICI

Sono numerose le condizioni alimentari che possono causare ipovitaminosi tra le quali un'errata scelta o preparazione degli alimenti, mancanza di appetito (che colpisce le classi più deboli come i bambini, gli adolescenti e gli anziani), diete restrittive prolungate nel tempo e la mancanza di varietà nella scelta degli alimenti.

CONDIZIONI DI AUMENTATO FABBISOGNO

Il fabbisogno vitaminico incrementa notevolmente durante particolari condizioni fisiologiche (gravidanza, allattamento, accrescimento), in caso di assunzione di farmaci e di disturbi della digestione e dell'assorbimento di vitamine.

ATTIVITA’ SPORTIVA

Il fabbisogno vitaminico dei soggetti che praticano attività sportiva, risulta superiore rispetto agli individuo sedentari, a causa dell’aumento della perdita di queste sostanze. Solo il fenomeno della traspirazione, per effetto della sudorazione, causa la perdita di vitamine (una corsa può consumare tra il 21 e il 37% delle riserve di vitamina C); la sudorazione provoca la perdita massiccia di vitamine idrosolubili, fattore che può pregiudicare il rendimento atletico di uno sportivo. L’integrazione di un multivitaminico è in grado di equilibrare il deficit vitaminico indotto dallo stress fisico e dalla traspirazione.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11771678

http://ajcn.nutrition.org/content/72/2/598s.full

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12614088

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12201355

16-03-2016

Il glucomannano è un polisaccaride presente in alte concentrazioni nel tubero dell’Amorphophallus konjac, pianta originaria del Giappone utilizzata da secoli nella preparazione di piatti tipici della cucina giapponese e cinese. Formato da catene di glucosio e mannosio legati in posizione beta-1,4 (legame non attaccabile dagli enzimi digestivi), il glucomannano ha un potere calorico di 0,25 caloria per grammo. Grazie alla sua alta solubilità, a contatto con l’acqua si gonfia e aumenta il suo volume formando una massa gelatinosa, arrivando ad assorbire acqua fino a 80-100 volte il suo peso secco. La sua assunzione provoca la distensione delle pareti gastriche con effetto saziante periferico; nel tenue il glucomannano rallenta la progressione del cibo e interferisce sia sull'azione enterica degli enzimi, intrappolati nel gel viscoso, sia sul contatto nutriente/enterocita, riducendo l’assorbimento, senza creare una condizione di malassorbimento. Il glucomannano, inoltre, riduce colesterolo e glucosio plasmatici soprattutto aumentando l’escrezione fecale degli steroli neutri e degli acidi biliari.

AZIONE SAZIANTE

Aumentando la viscosità del cibo ingerito, il glucomannano forma un pellicola non digeribile, che permette di ridurre l'assorbimento dei principi nutritivi. La sua azione è massima in ambiente acido, adatta pertanto all'ambiente dello stomaco. In uno studio in doppio cieco su 20 donne obese, la somministrazione di glucomannano è stata più efficace del placebo nella riduzione del peso corporeo. Alle partecipanti fu richiesto di non modificare le abitudini alimentari o il grado di attività fisica. Il gruppo che aveva assunto glucomannano (1 g 3 volte al giorno per 8 settimane) mostrò un calo ponderale medio di 2,5 kg, contro 0,7 kg del gruppo placebo. Il gruppo del glucomannano mostrò inoltre una riduzione del colesterolo totale, LDL e trigliceridi. Effetti positivi sono stati osservati anche in uno studio in doppio cieco condotto su 28 soggetti in sovrappeso reduci da un infarto.

AZIONE LASSATIVA

In caso di stipsi, la fibra alimentare ha principalmente il ruolo di normalizzare l’attività intestinale e di evitare l’abuso di lassativi, funzioni che il glucomannano è in grado di assolvere. Il gel viscoso, infatti, raggiunge l’intestino dove stimola la peristalsi, favorendo l’espulsione di feci morbide e idratate. In soggetti affetti da stipsi cronica l’assunzione di glucomannano ha mostrato la capacità di aumentare la frequenza delle evacuazioni e di diminuire il ricorso ad altri lassativi.

RIDUZIONE COLESTEROLO E TRIGLICERIDI

Numerosi studi sull'uomo indicano nel glucomannano la capacità di ridurre l’assorbimento intestinale di colesterolo. Questa attività avviene:

1. diminuendone la penetrazione nei villi intestinali per inibizione della sua solubilizzazione;
2. sequestrando il colesterolo con modalità simili a quelle delle resine di sintesi;
3. riducendo l’attività della lipasi pancreatica.

Gli ultimi studi clinici indicano un calo medio del colesterolo totale del 10%, LDL del 7,2% e dei trigliceridi del 23% ad un dosaggio di 4-7 g/die per gli adulti e 2 g/die per i bambini. In un recente studio a 22 pazienti con colesterolo e glicemia elevati, sono stati somministrati 3,6 g/die di glucomannano o un placebo. Al termine dell’osservazione è stata registrata una riduzione del colesterolo totale dell’11%, del colesterolo LDL del 20,7%, dell’apolipoproteina B del 12,9% rispetto a quelli del gruppo placebo.

AZIONE IPOGLICEMIZZANTE

Questa fibra solubile, rallentando la digestione e l’assorbimento dei carboidrati, può ridurre il picco glicemico postprandiale e la risposta insulinica. Questo può essere utile ai soggetti diabetici per migliorare il controllo dei livelli ematici di glucosio. Ciò permette di ridurre il consumo eccessivo di cibo dovuto al calo del glucosio dopo il pasto. In uno studio in doppio cieco su soggetti affetti da diabete di tipo II, la somministrazione di glucomannano per 28 giorni ha mostrato la riduzione del 23% dei livelli di glucosio rispetto ai soggetti placebo.

 

http://www.emaxhealth.com/8782/glucomannan-weight-loss-side-effect-warnings-you-need-know

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15955465

25-03-2017

Glucosamina e condroitina sono sostanze presenti naturalmente nelle cartilagini ossee umane. In particolare, la cartilagine è composta per il 60% da collagene e per il 40% condroitina solfato. La glucosamina solfato rappresenta il principale precursore della condroitina solfato, un glicosaminoglicano altamente idratato, di aspetto gelatinoso e viscoso, che determina la struttura cartilaginea, favorendo l'assorbimento dei nutrienti e il loro trasporto all'interno delle cartilagini. La glucosamina fornisce alle articolazioni i "mattoni di costruzione" che esse necessitano per la riparazione dei danni causati dall'osteoartrosi o da lesioni articolari. Numerose ricerche hanno evidenziato processi riparativi e il miglioramento della funzionalità articolare, accompagnati dalla diminuzione del dolore, del gonfiore e della rigidità articolare nei soggetti con disturbi osteoarticolari a cui erano state somministrate queste due sostanze. Nel 2005 è stata condotta una rassegna sistematica di studi in doppio cieco controllati con placebo, per valutare l'efficacia e la sicurezza della somministrazione di glucosamina per almeno 1 anno in pazienti con osteoartrosi del ginocchio. I risultati hanno mostrato che la glucosamina è più efficace del placebo nel ritardare la riduzione di spessore dello spazio articolare tra femore e tibia. Il rischio della progressione della malattia era ridotto del 54% rispetto al placebo.
Il GAIT (Glucosamine/chondroitin Arthritis Intervention Trial), uno studio multicentrico, doppio cieco, placebo-controllo, è stato designato per valutare l'efficacia di glucosamina e condroitina da sole oppure combinate tra loro, nel trattamento del dolore al ginocchio da osteoartrosi. A 1.538 pazienti sono stati somministrati giornalmente 1.500 mg di glucosamina (cloridrato), 1.200 mg di condroitina solfato, una combinazione delle due sostanze, 200 mg di celecobix (un antinfiammatorio), o un placebo per 24 settimane. Al termine dell'osservazione in un sottogruppo di pazienti con dolore moderato-grave, l'associazione glucosamina/condroitina ha dimostrato di ridurre il dolore meglio delle altre soluzioni. In uno studio in doppio cieco placebo controllo è stata osservata l'efficacia e la sicurezza della glucosamina da sola (500 mg), dell’ MSM (metil sulfonil-metano) da solo (500 mg), o la loro combinazione (500 mg + 500 mg) in 118 pazienti 3 volte al giorno per 12 settimane. I risultati hanno indicato che la glucosamina, il MSM e la loro combinazione migliorano la sintomatologia rispetto al placebo. L'associazione delle due sostanze ha mostrato una maggiore efficacia nella riduzione del dolore e gonfiore, nel migliorare la funzionalità articolare e nell'attività antinfiammatoria. La glucosamina è stata comparata con l'ibuprofene per verificarne l'effetto sui sintomi di questa patologia. Allo studio hanno partecipato circa 200 pazienti a cui sono stati somministrati 1.500 mg di glucosamina solfato o 1.200 mg di ibuprofene al giorno per 4 settimane. I risultati non hanno evidenziato differenza di efficacia tra le sostanze. Tuttavia la glucosamina ha mostrato minori effetti collaterali (6% contro il 35% dell'ibuprofene).
Un esperimento similare è stato condotto somministrando 1.200 mg di condroitina solfato, diclofenac (un antinfiammatorio non steroideo) 50 mg 3 volte al giorno, o un placebo. Mentre il diclofenac ha ridotto la sintomatologia solo durante la sua somministrazione, i benefici della condroitina si sono protratti fino a 3 mesi successivi al trattamento. Almeno 5 studi clinici indicano che la condroitina a un dosaggio di 800 mg al giorno, è in grado di diminuire il dolore e migliorare la funzionalità del ginocchio. Gli Autori concludono che la condroitina solfato (800-1.200 mg al giorno) rappresenta un rimedio per la riduzione del dolore da osteoartrosi. In una rassegna di studi sull'uso clinico della glucosamina e della condroitina solfato, Brief e colleghi, concludono che ambedue gli agenti dimostrano efficacia riguardo la riduzione del dolore e la debolezza articolare e al miglioramento della mobilità articolare, senza effetti tossici.

 

http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa052771

 

24-11-2018

L'eclampsia o preeclampsia gravidica è una sindrome molto pericolosa, caratterizzata da sintomi quali ipertensione, gonfiore (a volte di tutto il corpo) e proteinuria (presenza di proteine nelle urine). La preeclampsia può dar luogo alla più grave eclampsia che, accompagnata da violente contrazioni muscolari epilettiformi e coma, può anche avere esito fatale. La somministrazione di magnesio (solfato di magnesio) per via endovenosa si è rivelata molto spesso utile contro questa sindrome, ma non si sa con esattezza attraverso quale meccanismo. E' possibile che le donne colpite da preeclampsia o eclampsia gravidica soffrano di una lieve carenza di magnesio che, essendo presente in quantità insufficiente, non è in grado di regolare l'afflusso di calcio nelle cellule e di impedire quindi le contrazioni della muscolatura liscia dei vasi sanguigni e dell'utero che esso provoca. Nel corso di un recente studio si è constatato che la somministrazione di solfato di magnesio per via endovenosa previene il parto prematuro - la principale causa, oggi, di malattie e decessi tra i neonati - contribuendo a mantenere rilassata la muscolatura dell'utero fino a quando la gestazione giunge a termine.

27-04-2016

Un recente studio dell’Oregon State University ha scoperto che lo xantumolo, un flavonoide naturale che si trova nel luppolo, migliora in modo significativo alcuni dei marcatori di base della sindrome metabolica negli animali e riduce anche l’aumento di peso. I risultati sono stati pubblicati in un numero speciale di Archives of Biochemistry and Biophysics che si è concentrato su “Polifenoli e Salute”, e suggeriscono un possibile nuovo approccio ai problemi come l’obesità, colesterolo alto e glicemia elevata. Le combinazioni di questi problemi, noti collettivamente come sindrome metabolica, sono legati ad alcuni dei principali problemi di salute e cause di morte nel mondo sviluppato, in particolare malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Lo xantumolo è un componente vegetale naturale del luppolo. La scoperta dello xantumolo nel luppolo avvenne verso il 1913. Ma fino a pochi anni fa la scienza non ha prestato grande attenzione a questo straordinario elemento, tanto importante per la nostra salute. Pochi anni fa, gli scienziati hanno riscoperto lo xantumolo, concentrandosi in particolare sulle sue potenti proprietà antiossidanti. Divenne possibile non solo isolare lo xantumolo ma anche stabilizzarlo in prodotti e liquidi alimentari. I risultati degli studi medici fino ad oggi condotti, non fanno solo ben sperare, ma vengono riconosciuti in tutto il mondo.
In questa ricerca, topi di laboratorio sono stati alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi e trattati con livelli di xantumolo variabili. Rispetto agli animali non trattati, il più alto dosaggio di xantumolo ha ridotto nei topi trattati, il colesterolo LDL o colesterolo “cattivo” dell”80 per cento, il loro livello di insulina del 42 per cento e il loro livello di IL-6, un biomarker di infiammazione, del 78 per cento. Poichè gli animali erano in crescita, il consumo di una dieta molto ricca, ha fatto aumentare il loro peso e sono diventati obesi, ma il peso degli animali da laboratorio che hanno ricevuto xantumolo è aumentato meno del 22 per cento rispetto al gruppo non trattato, anche se tutti gli animali hanno consumato la stessa quantità di cibo. L’assunzione di xantumolo sembra aumentare il consumo di ossigeno e tasso metabolico, con implicazioni per il controllo del peso. “Questa è la prima volta che abbiamo trovato un composto con il potenziale per affrontare tanti problemi di salute”, ha detto Cristobal Miranda, un Professore assistente di ricerca alla OSU’s Linus Pauling Institute e autore principale di questo studio. “Abbiamo osservato miglioramenti notevoli. Ulteriore lavoro è necessario per dimostrare la sicurezza di dosi elevate di xantumolo anche se dosaggi 15-30 volte superiori a quelli che abbiamo usato, sono già stati sperimentati sugli animali senza problemi apparenti”, ha dichiarato Fred Stevens, un Professore dell’OSU College of Pharmacy, ricercatore principale del Linus Pauling Institute e corrispondente della ricerca. “Dopo ulteriori studi, questo composto potrebbe fornire un trattamento efficace per la sindrome metabolica ad un costo molto basso”.
Questo studio per la prima volta ha anche individuato uno dei meccanismi di azione dello xantumolo: sembra che esso possa ridurre i livelli plasmatici di PCSK9, una proteina che svolge un ruolo nei livelli di colesterolo. Ridurre i livelli di PCSK9 dovrebbe aumentare i livelli di colesterolo LDL dal sangue. La sindrome metabolica è definita la diagnosi clinica di tre o più diverse condizioni, tra cui l’obesità addominale, lipidi elevati, pressione alta, stato pro-infiammatorio, stato pro-trombotico e insulino-resistenza o ridotta tolleranza al glucosio. Circa il 25-34 per cento degli adulti negli Stati Uniti rientra in questi criteri, mettendo loro a significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Lo xantumolo è stato oggetto di molte ricerche per i suoi potenziali benefici per la salute, così come altri flavonoidi, presenti nel tè, aglio, cioccolato, mele e mirtilli. Si trova naturalmente nel luppolo e nella birra e il livello più alto utilizzato in questa ricerca, era di 60 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, al giorno. Ciò corrisponde ad una dose umana equivalente a 350 mg al giorno per una persona di 70 kg, che supera di gran lunga qualsiasi quantità che può essere ottenuta con una dieta alimentare ordinaria. Un livello così alto sarebbe pari ad un apporto di birra di 3.500 lattine al giorno, per un umano adulto. Tuttavia, la quantità necessaria di xantumolo potrebbe facilmente essere ottenuta attraverso un integratore alimentare da assumere una volta al giorno.

 

http://oregonstate.edu/ua/ncs/archives/2016/apr/xanthohumol-lab-tests-lowers-cholesterol-blood-sugar-and-weight-gain

24-11-2018

Nel più ampio studio del suo genere fatto fino ad oggi, i ricercatori hanno scoperto che l’esposizione in utero e durante l’infanzia a sostanze chimiche ritardanti di fiamma (eteri di difenil-polibromurato o PBDE) sono state associate a ritardi dello sviluppo neurologico nei bambini in età scolare. Ben il 97 per cento di tutti gli americani hanno livelli significativi di PBDE nel sangue, il che rende l’esposizione in utero altamente probabile. Circa l’80 per cento dei prodotti per bambini, tra cui il 60 per cento dei sedili per auto, contengono PBDE e altre sostanze chimiche.
I PBDE si diffondono facilmente dai prodotti di consumo e vengono rilasciati nell’ambiente, dove persistono e si accumulano nell’organismo, durante la produzione. I PBDE sono stati collegati a riduzione della fertilità, problemi di tiroide e tossicità epatica. Il materasso è probabilmente da considerare una delle fonti più significative di esposizione ai PBDE, come tutti i materassi commerciali sono trattati per essere altamente ritardanti di fiamma. Per questo è consigliabile utilizzare materassi di lana senza additivi chimici.

 

http://ehp.niehs.nih.gov/1205597/

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/11/121115133146.htm

http://news.berkeley.edu/2012/11/15/pbdes-and-neurodevelopmental-deficits/

24-11-2018

Vitamina C per sconfiggere il tumore al colon. A fornire nuove conferme a questa più volte riproposta ipotesi è uno studio statunitense, guidato da alcuni ricercatori del Weill Cornell Medical College di New York, secondo cui la sostanza vitaminica provocherebbe la morte delle cellule tumorali risultato al contempo innocua per quelle sane. La vitamina C è stata utilizzata durante lo studio per il trattamento di alcune cellule tumorali, le cui mutazioni note come “KRAS-BRAF” hanno permesso ai ricercatori di identificarle come relative al tumore del colon-retto. Durante lo studio sono state utilizzate sia colture “mutate”, che sane, quest’ultime utilizzate come “gruppo di controllo”. L’azione offerta dalla sostanza vitaminica ha interessato soltanto le cellule che presentavano mutazioni “KRAS-BRAF”, maggiormente predisposte all’assorbimento del metabolita della vitamina C. Sarebbe proprio la variazione indotta nel regolamento delle proteine che ne permettono l’assorbimento a portare le cellule tumorali alla morte.
In una seconda fase i ricercatori hanno impiantato le cellule mutate in alcuni topi, riscontrando come l’effetto tossico della vitamina C per le cellule tumorali risultasse confermato anche negli animali vivi. Analizzando più nel dettaglio i risultati i ricercatori hanno infine individuato nella riduzione della disponibilità di unità di energia intracellulare (ATP) la causa principale per perdita energetica fatale da parte delle cellule tumorali. Confermata anche la non pericolosità della vitamina C per le cellule sane.

23-12-2015

Gli uomini con livelli alti di alfa tocoferolo, una forma della vitamina E, hanno il 53% in meno di probabilità di ammalarsi di tumore alla prostata. Un beneficio che, sottolineano i ricercatori del National Cancer Institute (USA), è tanto maggiore quando si sceglie di assumere la vitamina ''attraverso i cibi freschi piuttosto che con gli integratori''. Via libera quindi a semi di girasole, spinaci, mandorle e peperoni. Lo studio è stato presentato a Orlando, in Florida, nel corso del congresso annuale dell'American Association of Cancer Research. L'effetto protettivo della vitamina E è stato riscontrato osservando i livelli nel sangue di 300 uomini, 100 malati di tumore e 200 sani. La vitamina generalmente si presenta sotto due forme. Per massimizzare i benefici meglio scegliere per l'alfa tocoferolo, che riduce i rischi del 53%, rispetto al gamma tocoferolo che assicura una protezione del 39%. Un'altra ricerca, presentata nella stessa occasione dall'università del Texas, ha messo in evidenza come l'alfa tocoferolo riesca a fornire una protezione del 42% anche contro il tumore della vescica. Un effetto che invece l'altra forma della vitamina E non riesce a garantire. Anche in questo caso ''molto meglio assumere la vitamina mangiando cibi freschi''.

 

http://jnci.oxfordjournals.org/content/97/5/396.abstract?ijkey=e3bdbebd79dcf0969ca0f0ee418e901447702c56&keytype2=tf_ipsecsha

http://cebp.aacrjournals.org/content/16/6/1253.full

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