Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Giovedì, 07 Aprile 2016 06:59

IL PARACETAMOLO E’ COLLEGATO ALL’ASMA.

07-04-2016

I bambini le cui madri hanno usato paracetamolo durante la gravidanza hanno il 13 per cento in più di probabilità di sviluppare asma entro l’età di 3 anni. Maggior paracetamolo utilizzato dalla madre, più aumenta il rischio. Le donne che hanno dichiarato di aver usato paracetamolo per più di un motivo durante la gravidanza hanno avuto figli con il maggior rischio di asma entro i 3 anni di età.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26861478

http://well.blogs.nytimes.com/2016/02/11/tylenol-during-pregnancy-tied-to-asthma-in-children/?partner=rss&emc=rss&_r=2

http://www.medicalnewstoday.com/articles/306332.php

Giovedì, 07 Aprile 2016 06:58

MARS, M&M’S E SNICKERS CONTENGONO OGM.

07-04-2016

La Mars, la multinazionale USA che produce molti dei prodotti dolciari venduti anche qui in Italia ha ammesso che tra i suoi ingredienti ci sono anche OGM. La notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa qualche giorno fa. Sembra che la multinazionale, produttrice tra le altre cose degli ‘M&M’s’, le barrette ‘Snickers’, e altre caramelle e cioccolate inserirà la dicitura “contiene ogm” sulle sue confezioni. Nero su bianco, seppur scritto in caratteri piccolissimi. Ad annunciarlo è stata la stessa Mars. Prima di lei, altre due grandi aziende alimentari americane hanno deciso di fare lo stesso. Ciò che ha spinto le prime multinazionali (e ben presto spingerà le altre a fare lo stesso) è una particolare legge del Vermont che richiede l’etichettatura dei prodotti alimentari geneticamente modificati a partire dal mese di luglio. Le pressioni dei consumatori e delle associazioni di tutela hanno poi fatto il resto, spingendo le aziende a rivelare ulteriori informazioni sulla presenza di ingredienti controversi.
Nei mesi scorsi era stata la General Mills’, che produce tra i cereali più consumati negli USA, e la Campbell, nota per le sue zuppe in barattolo, a dichiarare l’intenzione di cambiare l’etichettatura dei prodotti, ammettendo la presenza di organismi geneticamente modificati. Tra il 70% e l’80% degli alimenti confezionati negli Stati Uniti contiene ingredienti provenienti da colture OGM, secondo il Grocery Manufacturers Association. La legge, pur essendo circoscritta al Vermont, porterà le aziende a modificare le diciture in tutti i prodotti immessi in commercio. Come affermato dalle stesse, infatti, cambiare etichettatura per un solo Stato sarebbe un processo troppo complesso e costoso. La Mars - che ha promesso di rimuovere tutti i coloranti artificiali dai suoi prodotti - ha comunque difeso, nei giorni scorsi, una decisione che potrebbe incidere pesantemente sulle sue vendite, ribadendo il suo punto di vista sulla sicurezza per la salute degli OGM: “crediamo fermamente che siano sostanze sicure, i cibi prodotti tramite biotecnologie sono stati studiati e giudicati sani da una serie di agenzie ed enti regolatori“. Qualche settimana fa la Mars aveva già fatto parlare di sé perché costretta a ritirare dal mercato (anche quello italiano) una partita di Mars e Snickers per la possibile presenza di plastica nei prodotti.

 

http://www.consumerreports.org/cro/food/gmo-labeling

https://factsaboutgmos.org/disclosure-statement

Mercoledì, 06 Aprile 2016 06:44

SMARTPHONE IN BAGNO RISCHIOSI PER LA SALUTE.

06-04-2016

Mai portare il proprio smartphone in bagno. A consigliarlo è uno studio condotto dai professori Charles Gerba e Kelly Reynolds, docenti di microbiologia e salute ambientale all’Università dell’Arizona. La ricerca evidenzia i rischi connessi a questa abitudine sempre più comune tra adulti e ragazzi. Ma portare il telefono in bagno è una pessima idea perché dannoso per la salute: “I bagni sono ricoperti da germi, agenti patogeni, batteri provenienti dal tratto intestinale”, spiega Gerba. Nei test effettuati dai due docenti dell’Università a stelle e strisce, è stato evidenziato come gli agenti patogeni siano presenti su tutti i telefoni, mentre nel 16% dei casi gli smartphone sono risultati positivi alla presenza di materiale fecale. “Quando si aziona lo scarico del water - spiega la professoressa Reynolds - particelle d’acqua con urina e feci possono diffondersi anche per più di un metro e mezzo in ogni direzione”. Gli oggetti presenti in bagno, compreso il cellulare, possono essere contaminati: sullo smartphone finiscono germi che verrebbero eliminati solo con un’efficiente pulizia dell’apparecchio.

 

http://www.addis24.com/blog/dont-take-phone-bathroom-dangerous/

http://www.buzzfeed.com/carolinekee/are-you-reading-this-in-the-bathroom-rn#.lx5YNPrGn

06-04-2016

Per diversi milioni di anni, l’uomo è esistito utilizzando una dieta a base di animali e vegetali. Solo con l’avvento dell’agricoltura circa 10.000 anni fa (una frazione di secondo per l’evoluzione) l’uomo ha iniziato a ingerire grandi quantità di zucchero e di amidi sotto forma di cereali (e patate) attraverso la dieta. Tuttavia il 99,9% dei nostri geni sono stati informati prima dell’avvento dell’agricoltura: in termini biologici, i nostri corpi sono ancora “tarati” da “cacciatori-raccoglitori”. Il cambiamento umano verso l’agricoltura ha indubbiamente prodotto notevoli vantaggi (la civilizzazione moderna dipende da questo) per l’uomo tuttavia il passaggio da una dieta carneo-vegetale ad una ricca in cereali ha prodotto un accorciamento della vita e della statura, un aumento della mortalità infantile e delle malattie infettive nonché gravi carenze nutrizionali. L’uomo non ha sviluppato in contemporanea meccanismi per incorporare la grande quantità di carboidrati da amidi e cibi ricchi in zuccheri. Ancora oggi più che mai, stiamo mangiando troppo pane, pasta, cereali, mais, riso, patate con gravi conseguenze per la nostra salute. Per di più la maggioranza di questi carboidrati sono elaborati industrialmente. Negli Stati Uniti il 65% della popolazione è in sovrappeso e il 27% obesa conclamata: in una nazione dipendente da hamburger, patate fritte e cola non è una coincidenza. Non è il grasso contenuto nei cibi bensì i carboidrati in eccesso sono la causa di un’epidemia di patologie. Se lamentate uno dei seguenti problemi è molto facile che esso derivi da un’assunzione eccessiva di carboidrati:

• Eccesso di peso. 
• Depressione.
• Confusione mentale.
• Meteorismo.
• Ipoglicemia.
• Ipertensione.
• ipertrigliceridemia.

Tutti noi abbiamo bisogno di un certo quantitativo di carboidrati ma, grazie alla nostra dipendenza da cereali, patate, dolci e altri cibi ricchi in amidi e zuccheri, li consumiamo di gran lunga in eccesso. La capacità dell’organismo di immagazzinare in riserva i carboidrati è molto limitata per cui, grazie all’insulina, sono convertiti in grasso e immagazzinati nel tessuto adiposo. Ogni pasto o spuntino ricco in carboidrati genera un rapido aumento della glicemia. Per regolare questo aumento, il pancreas secerne l’ormone insulina che abbassa il glucosio presente nella corrente sanguigna. L’insulina è l’ormone dell’immagazzinamento, sviluppatosi in milioni di anni prima del periodo agricolo, con lo scopo di immagazzinare le calorie in eccesso ottenute dai carboidrati, sotto forma di grasso da riutilizzare nei periodi di carestia. L’insulina, stimolata dall’eccesso di carboidrati presente nella nostra alimentazione sovrabbondante di cereali, amidi e zuccheri, è responsabile per tutti quegli addomi gonfi e rotoli di grasso sui fianchi e cosce. Ancora peggio, i livelli elevati di insulina sopprimono l’attività di altri due importanti ormoni: il glucagone e l’ormone della crescita, responsabili, rispettivamente, della combustione del grasso e dello zucchero e dello sviluppo muscolare. Per cui l’insulina, da un eccesso di carboidrati promuove il grasso e l’abilità di eliminarlo. L’eccesso ponderale e l’obesità conducono alle malattie cardiache e a molte altre patologie. Ma l’effetto negativo dei cereali non si ferma qui. Essi sopprimono il sistema immunitario, contribuiscono alle allergie e sono responsabili di molti disturbi digestivi. Inoltre, contribuiscono alla depressione al cancro e al diabete.

 

06-04-2016

Assumere troppi antibiotici può portare maggior rischi di sviluppare il diabete. Uno studio danese, pubblicato sul “Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism”, rivela infatti un legame tra lo sviluppo della malattia e l’uso di antibiotici. Coloro che hanno ricevuto cinque o più prescrizioni per un periodo fino a 15 anni avrebbero fino al 53% in più di probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2, rispetto a quelli che hanno assunto antibiotici solo una volta o mai. I ricercatori danesi per questo studio hanno monitorato i dati provenienti da 170.504 pazienti con diabete di tipo 2 e 1,3 milioni che non hanno avuto la malattia. Hanno così scoperto, elaborando i dati, che i soggetti che poi hanno sviluppato diabete di tipo 2 nei 15 anni precedenti la diagnosi avevano ricevuto più spesso prescrizioni di farmaci antibiotici rispetto agli individui sani. Questi ultimi, mediamente, li hanno usati una volta ogni due anni, i diabetici quasi il doppio.
L’autore dello studio, il dottor Kristian Mikkelsen ha spiegato: “Nella nostra ricerca abbiamo trovato persone che hanno il diabete di tipo 2 che avevano assunto significativamente più antibiotici fino a 15 anni prima della diagnosi rispetto ai sani”. Mikkelsen, dottore al Gentofte Hospital di Hellerup, in Danimarca, ha precisato tuttavia che maggiori studi sono necessari perché i risultati non hanno dimostrato che i farmaci innescano il diabete. “Potrebbe trattarsi - scrivono i ricercatori danesi - di un aumento della domanda di antibiotici causato da un aumento del rischio di infezioni in pazienti con diabete non ancora diagnosticato, prediabete, o diabete di tipo 2 manifesto. Tuttavia, la possibilità che l’esposizione agli antibiotici aumenti il rischio di diabete non può essere esclusa e merita ulteriori approfondimenti in studi interventistici”. 
I ricercatori affermano nello studio che molti tipi di antibiotici sono associati a un maggior rischio di diabete, in particolare i farmaci non ad ampio spettro come ad esempio la penicillina V. Questi hanno infatti un impatto distruttivo sulla flora intestinale (spesso infatti dopo un trattamento è consigliata l’assunzione di fermenti lattici per ripristinare l’equilibrio batterico nel tratto digerente) e precedenti ricerche hanno dimostrato che l’alterazione di alcune popolazioni batteriche dell’intestino può influire sulla capacità di metabolizzare gli zuccheri, proprio come accade nei diabetici.

 

https://www.sciencedaily.com/releases/2015/08/150827141859.htm

http://www.newswise.com/articles/antibiotic-use-linked-to-type-2-diabetes-diagnosis

http://press.endocrine.org/doi/10.1210/jc.2015-2696

06-04-2016

La cimicifuga (Cimicifuga racemosa) è una pianta perenne, originaria del nord America, in passato utilizzata per le sue proprietà sedative e per la cura di alcuni problemi ginecologici. Il suo nome deriva da cimicis-fugare, perché le infiorescenze di queste pianta hanno un caratteristico odore sgradevole utilizzato in passato per allontanare gli insetti, tra cui le cimici. Tradizionalmente i preparati di questa pianta venivano utilizzati per la cura dei reumatismi, delle infiammazioni del cavo orale e per la tosse. Studi che risalgono alla fine degli anni ’50, hanno evidenziato l’attività estrogenica della cimicifuga, che ha dato risultati positivi in particolare per i problemi legati alla menopausa. Attualmente le preparazioni di cimicifuga racemosa sono impiegate nel trattamento dei sintomi neurovegetatitivi e psichici caratteristici della sindrome climaterica. Questa pianta favorisce la regolarità del ciclo mestruale, aumenta la contrattilità delle fibre muscolari lisce dell’utero, favorendo le contrazioni di tipo intermittente. Il rizoma della cimicifuga è ricco di glicosidi triterpenici, sostanze attive di cui la pianta viene titolata.

AZIONE ENDOCRINA

La somministrazione dell’estratto vegetale titolato in glicosidi triterpenici ha evidenziato in numerosi studi clinici un’attività della cimicifuga sul sistema endocrino prevalentemente di tipo estrogeno-simile. Altri dati indicano la capacità della cimicifuga di legarsi ai recettori della serotonina, mimandone l’attività. Due recenti review cliniche hanno concluso che la cimicifuga è efficace nei sintomi neurovegetativi della menopausa, in particolare per le vampate di calore, ma anche per depressione, tinnito, insonnia e nervosismo. In un recente studio in doppio cieco multicentrico la somministrazione di cimicifuga ha mostrato la sua efficacia sia a livello statistico che clinico nei sintomi neurovegetativi. La cimicifuga ha mostrato la capacità di legarsi competitivamente ai recettori per l’estradiolo e di ridurre i livelli di gonadotropine in donne in menopausa. Recenti studi clinici mostrano risultati convincenti riguardo l’utilizzo terapeutico della radice di cimicifuga nei disturbi del climaterio (vampate di calore, sudorazione, disturbi del sonno, depressione). In uno studio condotto in doppio cieco, furono trattate 152 donne con disturbi menopausali con dosaggi pari a 2-4 capsule di cimicifuga al giorno. I risultati ottenuti, valutati secondo la scala di Kupperman (che analizza i sintomi di tipo neurovegetativo e psicoaffettivo, tra cui vampate di calore, disturbi del sonno, irritabilità, parestesie, artralgie, astenia, cefalea, depressione, palpitazioni, vertigini), hanno riportato un miglioramento significativo nelle donne trattate con cimicifuga, rispetto ai soggetti placebo. La somministrazione di cimicifuga è indicata per i disturbi collegati alla menopausa, come alternativa alla terapia sostitutiva o quando questa sia controindicata in base a considerazioni mediche.

AZIONE ANTINFIAMMATORIA

L'estratto di rizoma di cimicifuga ha mostrato in vitro un'effettiva azione analgesica e antinfiammatoria mediante l'inibizione delle azioni mediate dalla citochina/istamina e inibendo la produzione di 6-keto-PGF 1 alfa (agente infiammatorio) da parte dei macrofagi. La cimicifuga sembra anche possedere un'azione antireumatica, efficace nell'artrosi, dolori muscolari, nevralgie di tipo reumatico e cefalee di natura tensiva.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10178637

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11368622

05-04-2016

Bionde naturali con poco cervello. Uno stereotipo duro a morire, ma che sembra essere smentito dalla scienza. Secondo uno studio dell’Ohio State University, le bionde avrebbero un quoziente intellettivo più alto, anche se di poco, rispetto a castane, brune e rosse. Lo studio, su 10.000 persone, ha preso in esame i dati del National Longitudinal Survey of Youth 1979, un sondaggio USA con partecipanti tra i 14 e i 21 anni. Nel 1980 è stato chiesto loro di svolgere l'Armed Forces Qualification Test, utilizzato dal Pentagono, il Dipartimento della Difesa USA, per determinare il grado di intelligenza delle reclute. Infine, nel 1985, ciascuno ha dovuto indicare il colore naturale dei propri capelli. Per eliminare ogni pregiudizio basato su differenze etniche e razziali, gli studiosi hanno eliminato gli afro-americani e gli ispanici dall'analisi. I risultati hanno mostrato che le donne bionde avevano un QI medio di 103,2, rispetto a 102,7 di quelle con i capelli castani, 101,2 di quelle con i capelli rossi e 100,5 di quelle con i capelli neri. Anche per gli uomini biondi il risultato era quasi simile. Gli studiosi spiegano che non è possibile stabilire una relazione genetica tra il colore dei capelli e l’intelligenza, mettendo in rilievo che i risultati potrebbero parzialmente derivare dal fatto che le donne prese in esame erano molto stimolate intellettualmente. Tuttavia ciò non inficia il risultato, seppure a livello statistico il vantaggio delle bionde non sia significativo. “Non credo che si possa dire con certezza che le bionde sono più intelligenti, ma si può sicuramente dire che non sono più stupide”, spiega Jay Zagorsky, autore dello studio.

 

https://news.osu.edu/news/2016/03/21/blond-intelligence/

http://www.telegraph.co.uk/news/12201133/Blondes-are-not-dumb-after-all-researchers-claim.html

05-04-2016

Una nuova ricerca indica che la curcumina, una sostanza presente nella curcuma che è meglio conosciuta come uno dei componenti principali del curry in polvere, può aiutare a combattere la tubercolosi resistente ai farmaci. In Asia, la curcuma viene utilizzata per il trattamento di molte condizioni di salute per le sue proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antitumorali. I ricercatori hanno scoperto che stimolando le cellule immunitarie chiamate macrofagi, la curcumina è in grado di rimuovere con successo il Mycobacterium tuberculosis, il batterio eziologico della tubercolosi, dalle cellule infettate sperimentalmente in coltura. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista Respirology.
La curcumina agisce sull'attivazione di una molecola cellulare chiamata NF-kB, un fattore di trascrizione che svolge un ruolo primario nella regolazione della risposta immunitaria, nell'infiammazione, nella proliferazione cellulare, nell'apoptosi e nel cancro. L'NF-kB è formato da un insieme di proteine composte da due subunità. È stato scoperto osservando che la trascrizione del gene per la catena leggera k delle immunoglobuline necessitava di uno specifico fattore di trascrizione, denominato appunto Nuclear Factor k chain transcription in B cells o NF-kB. In forma inattiva, l'NF-kB è sequestrato nel citoplasma attraverso un legame diretto con un inibitore specifico (chiamato IkB). Viene attivato da segnali extracellulari, come la stimolazione della risposta immunitaria, che provocano il distacco dell’inibitore e quindi il trasferimento nel nucleo, dove si lega a specifici siti del DNA e ne regola la trascrizione. “Il nostro studio ha dimostrato che la curcumina protegge le cellule umane dal’infezione causata dal Mycobacterium tuberculosis“, ha detto il Dottor Xiyuan Bai, autore principale dello studio. ”Il ruolo della curcumina nel trattamento della tubercolosi resistente ai farmaci ha ancora bisogno di conferma, ma se i nostri risultati saranno convalidati, la curcumina potrà diventare un nuovo trattamento per modulare la risposta immunitaria e combattere la tubercolosi resistente ai farmaci”.

 

http://medicalxpress.com/news/2016-03-curcumin-drug-resistant-tuberculosis.html

05-04-2016

Bere tè verde e aggiungere funghi alla vostra dieta può aiutare a prevenire il cancro al seno. Aumentare o mantenere i livelli giovanili di estrogeni in menopausa e oltre può portare ad una maggiore incidenza di cancro al seno. Sia il tè verde e i funghi sono utili nel regolare la produzione di estrogeni. Secondo BreastCancer.org, una sostanza che si trova nei funghi, chiamato acido linoleico, inibisce l'aromatasi, un enzima che colpisce i livelli di estrogeni. Alti livelli di estrogeni sono associati con il cancro al seno con recettori ormonali positivi. Studi hanno dimostrato che l'acido linoleico inibisce la proliferazione delle cellule del cancro al seno in laboratorio insieme alla riduzione dell'insorgenza di tumori mammari nel ratto. Lo studio del Beckham institute ha inoltre rivelato che un consumo giornaliero di funghi e tè verde riduce il rischio di cancro al seno di quasi il 90 per cento. Un abstract dello studio riportato su Pubmed.com afferma: "E’ stato osservato che una maggiore assunzione di funghi e tè verde ha diminuito il rischio di cancro al seno nelle donne cinesi in pre- e post-menopausa".

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19048616

04-04-2016

Anche i farmaci possono rendere fragili le ossa. Un problema importante, se si considera che nei Paesi dell’Unione Europea si registra una frattura ogni 30 secondi. Le terapie farmacologiche e alcune malattie endocrine, ematologiche, gastrointestinali, renali sono infatti tra le principali cause di osteoporosi secondaria. Un disturbo che non interessa quindi solo le donne dopo la menopausa e gli anziani, ma anche i giovani. Tra i “colpevoli” i ben noti cortisonici, gli immunosoppressori, diuretici, anticoagulanti, chemioterapici e i comunissimi ormoni tiroidei. Ne hanno discusso gli esperti riuniti dal Gioseg, il Gruppo di studio su glucocorticoidi e osso e sull'endocrinologia dello scheletro, durante la Conferenza internazionale “Gio” di Roma. “Sappiamo ormai da tempo - spiega Andrea Giustina, docente di endocrinologia all'università di Brescia e presidente del Gruppo - che i glucocorticoidi, più conosciuti con il termine di cortisonici, determinano una perdita di densità minerale particolarmente rapida a livello trabecolare (il tessuto lamellare che costituisce l’osso maturo): nei primi 6-12 mesi di terapia può raggiungere una importante diminuzione sino al 15% in un anno, per poi rallentare, pur mantenendo un ritmo negativo del 3-5% per ogni anno di terapia”. “Fratture che possono essere asintomatiche - continua - si verificano nel 30-50% dei pazienti che ricevono queste terapie a lungo termine: l’analisi morfometrica del corpo vertebrale in uno studio multicentrico italiano coordinato da Gioseg, apparso sulla rivista scientifica “Bone”, ha rivelato che il 37% delle donne in menopausa in terapia cronica con cortisone ha subìto una o più fratture vertebrali”. E un terzo dei pazienti va incontro a fratture dopo soli 5 anni di trattamento, con una perdita di tessuto scheletrico direttamente proporzionale alla dose di farmaco. Tra 2,5 e 7,5 mg di prednisolone al giorno è la dose associata a un rischio di frattura 2,5 volte superiore. Dosaggi di 10 mg per almeno 90 giorni fanno impennare il rischio da 7 a 17 volte. “Dobbiamo pensare alle persone in senso globale, pensando anche alla loro Salute scheletrica presente e futura”, continua Giustina. “Innanzitutto è fondamentale sfatare il mito che l’osteoporosi sia solo al femminile. Soprattutto quando si parla di osteoporosi secondarie è spesso il maschio ad avere la peggio, ma pochi sono portati a considerare questo fatto nella pratica clinica. Va poi sottolineata l’importanza critica del cosiddetto ‘esame morfometrico vertebrale’ nei pazienti con osteoporosi secondaria che possono andare incontro a fratture vertebrali, anche con un quadro densitometrico osseo normale o poco alterato (comunemente chiamata osteopenia)”. Spesso i pazienti, soprattutto i maschi, trattati per le loro malattie con farmaci osteopenizzanti non vengono sottoposti ad adeguato e periodico (ogni 12-18 mesi) monitoraggio della densità minerale ossea con l’esame Moc Dexa. Inoltre, anche le terapie protettive e preventive che pure esistono non sempre sono instaurate per tempo (cioè prima che il paziente si fratturi). Per alcuni farmaci ad alto impatto negativo scheletrico, come i cortisonici e gli inibitori dell'aromatasi, le linee guida stabiliscono di avviare quanto prima un trattamento anti-osteoporotico di protezione per lo scheletro e di prevenzione delle fratture che in questi casi possono essere particolarmente precoci. E’ necessario quindi, consiglia lo specialista, un maggiore dialogo tra specialisti che prescrivono farmaci potenzialmente osteopenizzanti e specialisti dedicati alla diagnosi e cura dell’osteoporosi, tenendo presente che non esistono fasce di età protette dal danno scheletrico da farmaci. E anche in età pediatrica è purtroppo a volte necessario ricorrere a terapie farmacologiche a base di cortisone in corso di patologie renali, respiratorie, gastrointestinali, artriti a esordio giovanile e dopo il trapianto d’organo.

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