Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

03-04-2015

L’equilibrio e la moderazione sono gli ingredienti chiave della salute, sia che si tratti di alimentazione, sia che si tratti di sport. A proposito di attività motoria e benessere, due recenti studi hanno rivelato che fare troppo esercizio fisico fa male. Le ricerche, pubblicate sulla rivista scientifica britannica Heart, evidenziano i rischi per la salute del cuore che derivano da allenamenti troppo intensi e protratti nel tempo. Nella prima analisi, i ricercatori hanno tenuto sotto controllo i valori e le condizioni di salute di un campione di 1.038 pazienti affetti da patologie cardiache per un periodo di tempo di 10 anni. Coloro che si esercitavano tutti i giorni risultavano due volte più a rischio di morire di infarto o ictus, rispetto a chi si esercitava dalle due alle quattro volte alla settimana. Quelli che non si esercitavano mai o raramente riportavano i valori peggiori.
Il secondo studio ha svelato che allenamenti troppo intensi possono causare fibrillazione atriale, un tipo di aritmia che non mette a rischio la vita ma può aumentare le probabilità d’insorgenza di un infarto. Precedenti studi avevano rivelato un aumento del 74% del rischio di fibrillazione atriale negli uomini di età inferiore ai 50 anni che si allenavano intensamente dalle 5 alle 7 volte alla settimana. Fare esercizio fisico regolarmente e a un’intensità moderata apporta invece grandi benefici. Benefici che scompaiono o si riducono quando l’attività fisica raggiunge livelli troppo intensi e viene praticata tutti i giorni costringendo a sforzi eccessivi il cuore. In alcuni maratoneti sono stati riscontrati alti livelli di calcio coronarico. Prima di correre una maratona e di avviare un’attività sportiva a livelli intensi, con allenamenti quotidiani prolungati, è bene dunque misurare questi parametri e consultare un medico sportivo per ricevere indicazioni sulla frequenza e l’intensità dell’esercizio fisico più adatta a evitare rischi per il cuore. Chi svolge una vita sedentaria, deve iniziare a fare attività fisica con costanza e regolarità, ma senza esagerare. L’intensità ideale è quella che consente di continuare a parlare o canticchiare mentre si corre o si va in bici, senza avere il fiatone. Molto utile anche l’uso del cardiofrequenzimetro, un dispositivo a fascia che avvisa quando la frequenza cardiaca supera i valori massimi di sicurezza.

 

http://www.wsj.com/news/articles/SB10001424052702304908304579561802820076042

 

Venerdì, 03 Aprile 2015 09:36

STATINE: QUELLO CHE NON SI DICE.

03-04-2015

L’ipercolesterolemia (tranne rari casi genetici) è la malattia per antonomasia del XXI° secolo. E’ una malattia inventata nel momento in cui i medici hanno imparato a misurare il colesterolo nel sangue. Al contrario di molte patologie, essa non da segno di sé anzi uno dei segni principali dell’ipercolesterolemia è una sensazione di benessere! Il primo compito dei medici, supportati dai media a tutto campo, infatti, è quello di convincere una persona in piena salute ad assumere per il resto della vita dei farmaci che richiedono regolari controlli e analisi. Fino al 1984 (Cholesterol Consensus Conference) si considerava ipercolesterolemico un individuo i cui valori ematici superassero i 240 mg/100ml; dopo questo evento si riuscì a ridurre il valore a 200 e ora, si parla di portarlo a 180. I farmaci che usano i medici per abbassare il livello di colesterolo (senza domandarsi mai il perché di un suo aumento) sono le statine fra cui ricordiamo atorvastatina, simvastatina, lovastatina e pravastatina.
Tutto inizia dall’Acetil-CoA. Tre molecole di acetil-CoA si combinano fra loro per formare l’acido idrossi-metil-glutarico (HMG). Per diventare mevalonato, è necessaria una reazione chimica che richiede l’enzima HMG-CoA reduttasi. Le statine bloccano questo enzima e da qui possiamo capire i numerosi effetti collaterali potenziali. Il colesterolo è UNO dei TRE cataboliti della via del mevalonato. Gli altri due sono l’ubichinone e il dolicolo. Il coenzima Q-10 è un nutriente cellulare fondamentale prodotto all’interno dei mitocondri. Gioca un ruolo fondamentale nella produzione di ATP (energia) in qualità di trasportatore di elettroni nella fosforilazione ossidativa. Una forma di Co-Q10 chiamata ubichinone, è presente in tutte le membrane cellulari ed è critico per mantenere la conduzione nervosa e l’integrità del tessuto muscolare: non dimentichiamo che il cuore è un muscolo! Esso è anche fondamentale per la formazione di elastina e collagene. Anche i dolicoli sono molto importanti: essi trasportano diversi tipi di proteine prodotte dal DNA nel punto di utilizzo, assicurandosi che le cellule rispondano correttamente alle istruzioni programmate geneticamente. Quindi una loro carenza potrebbe provocare il caos nel signaling intercellulare.
Il motivo per cui vari studi hanno dimostrato l’efficacia delle statine nel prevenire malattie cardiache non deriva dalla loro azione inibente sul colesterolo bensì dal fatto che bloccano la produzione di mevalonato che, quando scarso, sembra riduca l’attività delle cellule della muscolatura liscia e renda le piastrine meno attive nel produrre trombossano. Utilizzando le statine, ovviamente, abbiamo degli ottimi risultati sulla riduzione del colesterolo. Ma siamo sicuri che ciò sia davvero salutare? I medici fanno in fretta a dimenticare quanto appreso durante lo studio della biochimica e non si soffermano ad analizzare le numerose funzioni di questa sostanza ormai solo demonizzata. Ogni membrana cellulare del nostro corpo contiene colesterolo che le rende impermeabili. Senza colesterolo non esisterebbe uno scambio biochimico fra l’interno e l’esterno delle cellule; le cellule diventerebbero “porose” e l’organismo si difenderebbe immediatamente facendo produrre alle ghiandole surrenali un gran numero di steroidi in grado di sequestrare colesterolo in varie parti del corpo e veicolarlo nella zona carente. Il colesterolo, come si vede nelle ferite incluse quelle delle pareti arteriose che ne sono ricche, è la sostanza riparatrice per eccellenza. E’ necessario per la sintesi della vitamina D e dei sali biliari; agisce come antiossidante (proteggendo dal cancro e dall’invecchiamento), è vitale per un’appropriata funzione neurologica. Gioca un ruolo importante nella funzione mnemonica e nell’assorbimento cerebrale di neurotrasmettitori fra cui la serotonina. Infine è il precursore di tutti gli ormoni prodotti dalla corteccia surrenalica.

EFFETTI COLLATERALI DELLE STATINE

MIALGIA E STANCHEZZA MUSCOLARE

Sono gli effetti collaterali più comuni durante trattamento con statine. La condizione muscolare peggiore è la rabdomiolisi, fenomeno di distruzione del tessuto muscolare stesso, per cui l’anno scorso varie persone sono decedute, come ampiamente descritto dai giornali. Al contrario di quanto affermano le industrie farmaceutiche (2-3% dei casi), uno studio effettuato dalla dottoressa Beatrice Golomb di San Diego ha dimostrato che il 98% dei pazienti in terapia con atorvastatina soffre di dolori e crampi muscolari. Le singole testimonianze dei pazienti sono così numerose che non basterebbe un libro per raggrupparle tutte. Bisogna sempre rammentare un possibile trattamento con statine in caso di miopatia, fibromialgia e problemi di coordinazione motoria per via della comprovata e inevitabile carenza di Coenzima Q-10.

NEUROPATIE

Uno studio effettuato su 500.000 danesi, ha dimostrato che nei pazienti in terapia con statine da un anno, aumenta del 15% (un caso su 2.200 individui) il rischio di sviluppare una polineuropatia. Questa patologia, conosciuta anche come neuropatia periferica, è caratterizzata da difficoltà della deambulazione, stanchezza, fascicolazioni e dolore alle mani e piedi. Il rischio aumenta al 26% nei pazienti in trattamento da due a più anni. Il danno nervoso è spesso irreversibile anche interrompendone l’assunzione. Negli Stati Uniti, esiste il sospetto che numerosi incidenti automobilistici provocati da persone anziane in cura farmacologica, possano derivare proprio dalla perdita di sensibilità degli arti inferiori. Se pensiamo che 12 milioni di americani assumono statine e che, entro breve si stima un ulteriore incremento di 23 milioni di persone, il problema diventa importante.

INSUFFICIENZA CARDIACA

Mentre diminuiscono gli infarti, l’insufficienza cardiaca tende ad aumentare pesantemente. Sempre negli USA, fra il 1989 e il 1997, le morti per insufficienza cardiaca si sono raddoppiate (la prima apparizione delle statine sul mercato data 1987). La spiegazione più ovvia non può essere che l’interazione con la produzione di Co-Q10. E’ interessante lo studio effettuato da un cardiologo americano su 20 pazienti con funzione cardiaca assolutamente normale. Dopo sei mesi di terapia con atorvastatina a basse dosi, due terzi dei pazienti lamentavano anomalie della fase cardiaca di riempimento. Quindici studi differenti effettuati su animali, hanno dimostrato una deplezione di Co-Q10 indotta da statine con conseguente alterazione della produzione di ATP, scompenso cardiaco, danno muscolare e aumento della mortalità. Su nove studi sull’uomo otto hanno evidenziato una riduzione significativa di Co-Q10 con conseguente riduzione della funzione ventricolare sinistra e alterazioni biochimiche. Un recente studio inglese ha indicato una miglior sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco cronico, con un livello di colesterolo elevato rispetto a quelli con colesterolo ridotto.

VERTIGINI

Le vertigini sono un sintomo comune legato a terapia con statine probabilmente dovuto agli effetti sul valore pressorio di questi farmaci.

DISTURBI COGNITIVI

La dottoressa Golomb ha scoperto che circa il 15% dei pazienti in terapia con statine sviluppa qualche disturbo cognitivo. Quello più diffuso è un’amnesia transitoria. Gli episodi di perdita di memoria pesino per il proprio nome o per quello dei propri cari, si verificano improvvisamente e altrettanto di colpo spariscono. Ciò è un fatto grave non solo per i diretti interessati ma anche per il pubblico in genere in quanto sarebbe molto disdicevole ad esempio volare su un aereo il cui pilota, in terapia con statine, si dimenticasse ciò per cui è stato addestrato! Nonostante le industrie neghino questi effetti collaterali, esistono numerosi studi che hanno rilevato amnesia nello 0,5% dei casi studiati.

CANCRO

Uno studio denominato CARE, ha dimostrato un aumento del 1500% di casi di cancro mammario nei soggetti in trattamento con statine. I produttori di statine riconoscono che questi farmaci deprimono il sistema immunitario. Invece di preoccuparsi hanno raccomandato l’uso di statine anche per l’artrite reumatoide e come immunosoppressori per i candidati ai trapianti.

PANCREATITE

Sono stati descritti numerosi casi di pancreatite durante trattamento con statine.

DEPRESSIONE

Esistono tante pubblicazioni scientifiche che legano uno scarso livello di colesterolo con la depressione. Un lavoro svolto dal dottor Edward Suarez, della Duke University Medical Center, ha scoperto che, specie nei maschi, la riduzione dei livelli di colesterolo con terapia farmacologica, era legata ad un aumento di suicidi e di morte violenta al punto da teorizzare una correlazione fra uno scarso livello di colesterolo e disturbi dell’umore. Molti medici sono convinti che i benefici delle statine siano ben maggiori degli effetti collaterali. Possono citare un gran numero di lavori che dimostrano come le statine riducano le morti da infarto rispetto ai gruppi di controllo. Tuttavia, come ribadisce il dottor Ravnskov nel suo libro “The cholesterol myths” i risultati degli studi principali effettuati dopo il 2000, hanno dimostrato differenze minime statisticamente insignificanti. Pubblicazioni ancora più recenti affermano che non esiste alcun motivo plausibile per organizzare l’attuale campagna indotta per incrementare marcatamente il numero di persone da assoggettare alla terapia con statine.

I TRIALS PRINCIPALI

Honolulu Heart Program (2001)

Evidenzia come un basso livello di colesterolo sia legato ad un incremento di rischio di morte.

MIRACL (2001)

Ha considerato gli effetti di un trattamento ad alte dosi con atorvastatina per 16 settimane su 3086 pazienti ospedalizzati dopo angina o ischemia cardiaca. Non sono state rilevate differenze col gruppo di controllo sul numero di decessi, di reinfarti e di rianimazioni per arresto cardiaco. L’unica differenza, la riduzione di riospedalizzazione per dolore toracico.

ALLHAT (2002)

Il più grande trial al mondo effettuato sull’atorvastatina. Non si sono riscontrate differenze fra il gruppo in terapia e di controllo riguardo il numero di decessi, attacchi cardiaci e infarti.

Heart Protection Study (2002)

Lavoro effettuato dall’Oxford University: 87.1% di sopravvivenza a cinque anni per i pazienti in cura con statine, 85.4% per il gruppo di controllo, rifiutandosi di pubblicare i dati globali sulla mortalità.

PROSPER (2002)

Questo trial ha studiato gli effetti della pravastatina su un campione di pazienti rispetto a un gruppo di controllo. La parvastatina non ha ridotto l’incidenza di infarto miocardico e di ictus. In compenso il gruppo in terapia ha avuto un aumento di incidenza di cancro.

J-LIT (2002)

Uno studio giapponese durato sei anni su 47.294 individui trattati con simvastatina. I risultati non hanno evidenziato alcuna correlazione fra il calo di colesterolo (LDL) e il numero di decessi. Il tasso di mortalità a 5 anni è stato del 3.5% sia negli individui con LDL inferiore a 80 che in quelli con un valore superiore a 200.

Statins and Plaque (2003)

Lavoro pubblicato sull’American Journal of Cardiology. Esprime seri dubbi sul fatto che la riduzione del colesterolo LDL sia utile ed efficace nel ridurre le placche aterosclerotiche. Nonostante la riduzione del colesterolo la progressione di volume delle placche ha continuato a svilupparsi.

ASCOT-LLA (2003)

Riduzione di infarto miocardico e ictus con statine rispetto al placebo ma identico numero di decessi.

Cholesterol Levels in Dialysis Patients (2004)

Questo studio ha evidenziato una maggior mortalità nei dializzati con un livello basso di colesterolo rispetto a quelli con un valore elevato. Ciò è stato spiegato per via dell’effetto antinfiammatorio e di minor malnutrizione dato dal colesterolo e non da un suo effetto protettivo diretto. Per questo gli autori concludono di essere favorevoli ad un trattamento ipocolesterolemizzante in questi malati (?).

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11502313

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11277825

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12479763

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12114036

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12457784

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12499611

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12888149

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12686036

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14747502

http://www.westonaprice.org/modern-diseases/dangers-of-statin-drugs-what-you-havent-been-told-about-popular-cholesterol-lowering-medicines/

03-04-2015

Può bastare una lattina di energy drink a causare nei bambini un avvelenamento da caffeina. Solo negli ultimi tre anni negli Stati Uniti oltre duemila bambini sono stati portati in ospedale a causa degli effetti di queste bevande. Il dato è emerso da uno studio del Children's Hospital of Michigan di Detroit, presentato in occasione del meeting dell'American Heart Association che si tiene a Chicago. I sintomi dell'avvelenamento da energy drink includono seri problemi cardiaci, tra cui anomalie del ritmo cardiaco, o problemi neurologici come convulsioni.
Secondo Steven Lipshultz, autore dello studio, un bambino sotto i 12 anni d'età potrebbe essere "avvelenato" consumando più di 2,5 mg di caffeina per ogni chilogrammo del peso corporeo. Ciò significa che 50 mg di caffeina in un giorno sono sufficienti ad avvelenare i bambini di 6 anni, 80 mg un bambino di 10 anni e 100 mg uno di 12. Più a rischio secondo lo scienziato sarebbero i bambini con diabete o ADHD. "Gli energy drink - afferma Lipshultz - non possono far parte della dieta dei bambini e degli adolescenti e non dovrebbero essere venduti a tutti quelli che hanno meno di 18 anni d'età". Il ricercatore invita quindi le autorità a regolamentare la commercializzazione di queste bevande così come viene regolamentata quella del fumo e dell'alcol.

 

http://www.dailymail.co.uk/health/article-2837194/Can-energy-drink-poison-child-2-000-children-age-six-hospitalised-symptoms-including-abnormal-heart-rhythms-past-three-years.html

http://consumer.healthday.com/vitamins-and-nutrition-information-27/caffeine-health-news-89/young-children-energy-drinks-bad-mix-693684.html

03-04-2015

Tanto per iniziare e comprendere al meglio il suo importante ruolo, cominciamo nello spiegare cos’è la tiroide. La tiroide è una ghiandola endocrina posizionata a livello del collo. Essa ha il compito di regolare il metabolismo. Inoltre, determina il flusso sanguigno diretto verso i vari organi del nostro corpo. Infatti le cellule, grazie al sangue, ricevono ossigeno e nutrienti di cui hanno bisogno. Numerose, quanto preziose, sono le funzioni che la tiroide può svolgere grazie alla produzione di ormoni specifici, cioè la tiroxina o T4 e la triodotironina o T3. Questi ormoni contenenti iodio, attraverso il sangue, raggiungono tutti gli organi del corpo e danno alcuni impulsi fondamentali all’organismo: gli comunicano quanto velocemente lavorare, come utilizzare l’energia e come impiegare altre funzioni. Tra i disturbi che alterano la morfologia, cioè la forma, della ghiandola, ci sono i noduli, formazioni che possono misurare pochi millimetri o arrivare ad essere grandi alcuni centimetri, e i tumori, che non sono altro che i noduli di natura maligna. Ma quanti di voi sapevano che la tiroide viene influenzata negativamente dal GLUTINE? Esattamente le due, sarebbero completamente incompatibili e, qual’ora ci fosse un’eccessiva assunzione di glutine, si causerebbe gravi danni alla tiroide. Ma ovviamente pochi ne parlano e pochi diffondono la notizia!
E’ stato documentato da alcuni ricercatori, che a livello biologico c’è un aumento della capacità di buffer c-AMP dei tessuti della tiroide dopo 7 mesi di adozione di un regime privo di glutine. Quindi in parole semplici, il consumo di glutine determinerebbe un’interferenza cronica a livello cellulare che pone sotto STRESS la nostra tiroide provocandone un mal funzionamento. Questa reattività a distanza con antigeni generati dall’intolleranza al glutine, viene alimentata senza dubbio dall’aumentata permeabilità della mucosa intestinale che caratterizza l’assunzione di glutine. Normalizzare la funzione tiroidea si può, ma per far si che tale processo sia attuato c’è bisogno di una dieta senza glutine. Sategna-Guidetti ha valutato gli effetti dell’adozione di un regime senza glutine in pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultavano affetti da ipotiroidismo (31 casi) o tiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti dopo un anno senza glutine si è registrata una normalizzazione delle condizioni della tiroide, specialmente in coloro che erano stati più scrupolosi nell’applicazione del regime senza glutine.

 

http://www.nature.com/ajg/journal/v96/n3/abs/ajg2001173a.html

03-04-2015

Cosmetici e contenitori in plastica responsabili per l’aumento dell’asma nei bambini. Colpa del loro contenuto di sostanze chimiche nocive, che se assorbite dalle donne in gravidanza renderebbero i futuri bambini più soggetti allo sviluppo della patologia. Lo studio che ha correlato l’incremento dell’asma tra i bambini e gli ftalati contenuti nei contenitori di plastica, nei prodotti di cosmesi e nei detersivi è stato condotto dai ricercatori della University of Columbia di New York. Secondo i risultati presentati, i feti esposti ad alti livelli di tali sostanze durante il periodo trascorso nel grembo materno hanno un rischio maggiore del 78% di sviluppare la malattia. Durante lo studio i ricercatori hanno analizzato le urine di 300 donne in gravidanza, prendendo nota in particolare dei livelli di due ftalati specifici: il butilbenzile e il di-n-butile. Trascorsi alcuni anni le partecipanti sono state sottoposte a questionari per verificare le condizioni dei figli all’età di 5, 6, 7, 9 e 11 anni. Dai risultati raccolti i figli di coloro che mostravano i maggiori livelli di butilbenzile avevano registrato il 72% di rischio in più di sviluppare l’asma. Secondo quanto ha affermato l’autrice principale dello studio, la Dr.ssa Robin Whyatt: “Questi agenti chimici sono molto diffusi ad alti volumi e non sono di solito inclusi nell’etichettatura presente sulle confezioni. Ci sono dei semplici passi che le famiglie devono compiere. Evitare l’utilizzo di contenitori di plastica e per quanto possibile conservare il cibo in barattoli di vetro nel frigo. È anche giusto considerare di interrompere l’utilizzo di qualsiasi prodotto profumato, quali cosmetici, profumi, deodoranti per ambienti e detergenti”.

 

http://ehp.niehs.nih.gov/1307670/

http://www.sciencedaily.com/releases/2014/09/140917073225.htm

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-09/cums-phr091214.php

03-04-2015

Ricercatori israeliani hanno scoperto che l’estratto di zenzero può avere effetti positivi sulla salute cardiovascolare, incluso la prevenzione dell’aterosclerosi, la riduzione dei livelli di colesterolo e la prevenzione dell’ossidazione della lipoproteina LDL. I ricercatori hanno studiato gli effetti di un estratto standardizzato di zenzero sullo sviluppo di aterosclerosi in topi geneticamente predisposti a sviluppare prematuramente questa patologia. In associazione sono stati valutati i livelli di colesterolo plasmatici e la resistenza delle loro LDL all’ossidazione e all’aggregazione. I ricercatori hanno diviso i topi in tre gruppi:

• Uno con assunzione di 25 mcg/die di estratto di zenzero;
• Un altro con 250 mcg/die di estratto;
• Il terzo solo con placebo.

I topi che hanno assunto i 250 mcg al giorno hanno mostrato i maggiori benefici rispetto al gruppo con placebo:

• Riduzione delle aree aortiche di lesione aterosclerotica del 44%.
• Riduzione dei trigliceridi plasmatici e colesterolo (rispettivamente del 27% e del 29%).
• Riduzione del colesterolo VLDL del 53%.
• Riduzione del colesterolo LDL del 33%.
• Ridotta ossidazione e aggregazione dell’LDL.

I ricercatori hanno notato che il danno ossidativo dell’LDL è una delle chiavi principali per sviluppare aterosclerosi e che l’assunzione di nutrienti ricchi in antiossidanti fenolici si è dimostrata vincente nel ridurre lo sviluppo aterosclerotico. Gli autori concludono che “l’assunzione dietetica di estratto di zenzero attenua in modo significativo lo sviluppo di lesioni aterosclerotiche”. Questo effetto antiaterogenico è associato ad una riduzione significativa del colesterolo plasmatico e dell’LDL e ad una significativa riduzione dello stato ossidativo basale dell’LDL così come della loro suscettibilità all’ossidazione e all’aggregazione. L’estratto di zenzero, oltre che per quanto descritto nel lavoro, è conosciuto per la sua notevole attività antinfiammatoria, per le sue proprietà regolatorie della digestione e per la sua comprovata azione anti-cinetosica (mal d’auto). E’ consigliabile non utilizzarlo tutti i giorni perché, come qualsiasi altro alimento, un suo uso prolungato può portare a sviluppare un’intolleranza alimentare.

 

http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2000/11/26/ginger.aspx

Venerdì, 03 Aprile 2015 09:31

I POLMONI SONO FONDAMENTALI PER DIMAGRIRE.

03-04-2015

Come fare a smaltire i chili di troppo che metteremo su a Natale? Semplicemente respirando. Scherzi a parte, c'è del vero in questa affermazione se si leggono i risultati di uno studio dell’University of New South Wales. Le cellule adipose sono composte da tre sostanze, ovvero carbonio, idrogeno e ossigeno. Per dimagrire è necessario spezzarne gli atomi dalle molecole attraverso il processo dell'ossidazione.
I ricercatori hanno scoperto che per ogni 10 chilogrammi di grasso ossidati, ben 8,4 vengono espulsi dai polmoni sotto forma di anidride carbonica, mentre i restanti 1,6 chilogrammi diventano acqua e vengono espulsi attraverso l'urina. "Non si tratta di una vera notizia per la scienza biochimica, ma per ignoti motivi sembra che nessuno abbia mai pensato finora di eseguire questi calcoli", dicono gli autori. "Questi risultati dimostrano che i polmoni sono l'organo 'escretore' principale per la perdita di peso. Anche l'acqua che si forma può essere eliminata attraverso urine, sudore, lacrime o altri fluidi corporei. Mentre il carbonio esalato può essere sostituito solo mangiando cibo o bevendo succhi di frutta".
Stando ai calcoli effettuati, una persona che pesa 70 chili a riposo esala circa 200 ml di CO2 in 12 respiri al minuto. Ogni respiro espelle 33 mg di CO2, dei quali 8,9 sono carbonio. "Per perdere peso, dunque basta che si mangi meno rispetto a quanto viene eliminato attraverso il respiro", concludono gli autori. L'attività fisica è determinante proprio perché viene stimolato il processo di espulsione di carbonio dal corpo.

 

http://www.bmj.com/content/349/bmj.g7257

Venerdì, 03 Aprile 2015 09:30

RISCHIO DI ASMA PER CHI VA IN PALESTRA.

03-04-2015

Il freddo spinge chi vuole mantenersi in forma a scegliere la palestra, ma potrebbe non essere l'opzione migliore. Secondo uno studio di ricercatori dell'Università di Lisbona e della Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, le palestre hanno una scarsa ventilazione nelle aree dedicate all'allenamento. Si crea così un microclima costituito dalle tossine prodotte dall'organismo umano e da polvere e microrganismi nocivi che può stimolare la comparsa dell'asma. Gli scienziati hanno testato una serie di centri sportivi, scoprendo livelli di inquinamento indoor con punte preoccupanti durante le ore di maggior afflusso. Al di là del monossido di carbonio e dell'ozono, le sostanze più pericolose sono le particelle denominate COV, ovvero Composti Organici Volatili. Fra di essi c'è anche la formaldeide che viene rilasciata dai pavimenti rivestiti di moquette, dai prodotti per la pulizia e dai macchinari per gli esercizi. “La maggior parte dei centri fitness che abbiamo studiato usava ventilazione meccanica, ma in tutti il tasso di ventilazione non era soddisfacente”, affermano i ricercatori.
Un'altra ricerca sostiene peraltro la necessità di uscire all'aria aperta ed entrare in contatto con la natura per ottenere benefici reali dall'attività sportiva intrapresa. È quanto afferma una meta-ricerca pubblicata sulla rivista specializzata Environmental Science and Technology, secondo la quale gli effetti prodotti dall'attività fisica aumenterebbero nel caso di un allenamento all'aperto e non effettuati nel chiuso di una palestra o della propria sala hobby. Un gruppo di ricercatori della Peninsula College of Medicine and Dentistry del Regno Unito ha analizzato un totale di 11 studi e di 833 soggetti in collaborazione con l’European Centre for the Environment and Human Health (ECEHH). Stando ai risultati, fare attività fisica all'aperto predispone a risultati migliori, con un senso di rivitalizzazione più evidente. Le persone si sentono più energiche, meno depresse e nervose. Oltretutto, chi è abituato ad allenarsi all'aperto è anche più disposto ad effettuare più sedute di allenamento rispetto a chi rimane al chiuso, anche se va stabilita l'esatta differenza fra i due metodi di fitness.
Il coordinatore della ricerca, Michael Depledge dell’European Centre for the Environment and Human Health afferma: “circa il 75% della popolazione europea vive in ambienti urbani. La nostra ricerca, che raccoglie dati da una grande varietà di fonti, conferma che è molto importante passare più tempo in un ambiente naturale per contrastare gli esiti negativi della vita moderna, come l'obesità e la depressione. Ci auguriamo di poter condurre ulteriori ricerche sull'argomento".

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21291246

03-04-2015

Il sale è un alimento che dovremmo ridurre un pò tutti, dato che se ne consuma generalmente troppo sia come condimento a tavola sia perché è “nascosto” nella gran parte dei prodotti confezionati. Ora una nuova ricerca ha messo però in luce come il sale possa essere particolarmente dannoso per chi soffre di mal di testa. Secondo lo studio, condotto da un team della John Hopkins University e pubblicato sul British medical journal, riducendo il consumo di sale a quei 3 grammi massimi consigliati dalla comunità di esperti internazionali, si potrebbero ridurre gli episodi di mal di testa fino al 31%. Limitare l’utilizzo del sale a quel mezzo cucchiaino è utile contro il mal di testa in quanto contribuisce ad abbassare la pressione sanguigna e a ridurre i battiti cardiaci, ovviamente il beneficio verrà avvertito non solo da chi soffre di episodi frequenti di questo fastidio ma anche da chi invece lo ha solo sporadicamente.
La ricerca ha preso a campione circa 400 persone, un gruppo era alimentato con una dieta ricca di frutta e verdura e povera di grassi saturi, un altro invece con una dieta più di tipo “occidentale”. Tutti indistintamente hanno però consumato quotidianamente in un primo periodo di 30 giorni 9 grammi di sale per poi passare a 6 e infine a 3 nei successivi 60 giorni di monitoraggio. Ogni partecipante doveva compilare un questionario in cui segnalava eventuali effetti collaterali e problemi di salute riscontrati: mal di testa, sete eccessiva, cali di energia, nausee e altro. Come ha dichiarato Lawrence Appel, autore dello studio, si è visto che è proprio l’apporto di sale a fare la differenza rispetto al mal di testa e non gli altri accorgimenti alimentari: "Il ridotto apporto di sale è riuscito ad arginare il problema mentre i regimi alimentari non hanno avuto alcun effetto. Ridurre il sale può essere un nuovo approccio per ridurre il mal di testa".

 

http://bmjopen.bmj.com/content/4/12/e006671.abstract

30-03-2015

Cos’è meglio: un bovino alimentato con erba e fieno oppure con farine di cereali? Questa è la domanda a cui il Virginia Tech’s College of Agriculture and Life Sciences sta cercando di dare una risposta. Alcuni studi recenti hanno evidenziato che i vitelli alimentati con erba non solo hanno meno grasso, ma presentano anche un livello più elevato di acido linoleico coniugato (CLA) che indica come gli animali allevati con l’erba siano una scelta molto più salutare per l’uomo. Il CLA è una miscela di tipi differenti di acidi grassi la cui struttura chimica, presente nei vegetali viene mutata all’interno dell’apparato digerente degli animali. La Virginia Tech insieme alla West Virginia University e all’University of Georgia attualmente è a metà di uno studio di 10 anni avente per scopo di dare una risposta definitiva al quesito su quale alimentazione (erba/fieno o farine di cereali) sia la più idonea per ottenere una carne bovina salutare. Ogni fase del progetto dipende da una specifica organizzazione:

• Virginia Tech: responsabile per la nascita, svezzamento e classificazione degli animali. I vitelli vengono poi trasportati alla West Virginia University.

• West Virginia University: gli animali vengono allevati sino alla maturazione al Virginia Tech’s Shenandoah Valley Agriculture Research and Extension Center.

• University of Georgia: vengono valutate le carni macellate.

Durante la fase di valutazione, viene prelevata una costata ad ogni animale per testarne le qualità di cottura, il gusto e il contenuto osseo. I ricercatori inoltre analizzano la carne per valutarne il contenuto in minerali, vitamine e acidi grassi che siano benefici per la salute umana (es. il CLA).

COMMENTO

Solitamente la logica di base delle mie indicazioni nutrizionali si basa su una cosa: il buon senso. Le mie raccomandazioni si focalizzano ampiamente su ciò che la ricerca scientifica definisce come alimenti programmati per essere mangiati dagli esseri umani. Più ci allontaniamo da questa tipologia di cibi e più è facile che si verifichino inconvenienti per la salute. Ciò deriva dal fatto che la biochimica umana non è in sintonia con le sostanze presenti nella dieta. Quando si pensa ad un bovino nel suo ambiente naturale che fa quel che normalmente è programmato a fare, subito pensiamo ad un animale che bruca. Ma cosa bruca? Frumento, mais oppure ERBA? L’erba è l’alimento naturale per i bovini. Mais e cereali NO. Quando i bovini mangiano cereali, la loro composizione corporea cambia e, in particolare, cambia la composizione negli acidi grassi. Gli studi effettuati dal dottor Loren Cordain, esperto principale in questo campo, hanno dimostrato che i valori degli acidi grassi omega-3 sono molto più alti negli animali alimentati con erba rispetto a quelli alimentati con cereali.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2005/03/050329125520.htm

http://www.vtnews.vt.edu/articles/2005/03/2005-634.html

http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2005/04/23/beef.aspx

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