Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

19-03-2015

Secondo gli ultimi studi, aggiungere regolarmente 1 grammo di curcuma alla colazione quotidiana potrebbe ridurre il decadimento cognitivo nelle persone anziane. In particolare il riferimento va ai soggetti predisposti a sviluppare il diabete di tipo 2. La curcuma avrebbe proprietà protettive nei confronti della memoria e delle capacità cognitive. Inoltre, diversi studi scientifici hanno evidenziato un legame tra decadimento cognitivo e diabete di tipo 2. Gli esperti hanno dunque selezionato un campione di soggetti ben preciso, formato da 60 pazienti con più di 60 anni di età a cui era stata diagnosticata una situazione di pre-diabete con insulino-resistenza. Gli esperti hanno verificato che la somministrazione di 1 grammo di curcuma a colazione ha migliorato le facoltà mnemoniche dei pazienti che hanno partecipato allo studio, rispetto a coloro a cui è stato dato un placebo.
Un intervento precoce potrebbe essere fondamentale per ridurre il declino della memoria secondo Mark Wahlqvist, professore emerito del Monash Asia Institute preso la Monash University. I ricercatori assicurano che una modesta aggiunta di curcuma alla colazione migliora le prestazioni mnemoniche delle persone anziane affette da pre-diabete. Le nuove scoperte sulla curcuma si inseriscono nelle osservazioni condotte fino ad ora dalla scienza e richiamano al legame tra declino cognitivo e problemi di metabolismo energetico associati all'insulino-resistenza. La curcuma è molto utilizzata in cucina, soprattutto in Asia. Il suo caratteristico colore giallo è dato dalla curcumina, che è presente nella curcuma dal 3% al 6% e che, secondo studi sperimentali, aiuta a ridurre il rischio di demenza. Lo studio in questione è stato pubblicato sulla rivista Asia Pacific Journal of Clinical Nutrition con il titolo di "Turmeric Improves Post-Prandial Working Memory in Pre-Diabetes Independent of Insulin" e ha coinvolto numerosi istituti di ricerca di Taiwan.

 

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-11/mu-suy111714.php

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25516316

17-03-2015

Il Dott. Dianne Godar della U.S. Food and Drug Administration degli Stati uniti (FDA) ha intrapreso degli studi che indicano che sono i raggi UVA, non gli UVB che favoriscono l’abbronzatura e permettono che il vostro corpo produca la vitamina D, ad essere responsabili per l’epidemia di melanomi. Ancor di più, i raggi UVA, al contrario degli UVB, possono passare attraverso i vetri delle finestre: ciò significa che possiamo essere ancora esposti ad essi all’interno di case ed automobili. Gli UVB, d’altra parte, sembra proteggano dal melanoma, o piuttosto, la vitamina D che il corpo produce in risposta alla radiazione UVB è protettiva. Il Dott. Godar precisa che l’epidemia di melanoma è cominciata molto prima dei lettini abbronzanti e che l’aumento drammatico del melanoma si presenta soprattutto in operai che lavorano all’interno, piuttosto che in operai che lavorano all’aperto. Bassi livelli di vitamina D sono realmente predittivi per il melanoma e i pazienti con questo tumore che si espongono maggiormente al sole vivono più lungo rispetto a chi non lo fa.

 

http://www.medical-hypotheses.com/article/S0306-9877%2808%2900599-9/abstract

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19155143

17-03-2015

Pedalare in bicicletta per più di nove ore a settimana aumenta il rischio di tumore alla prostata. Questo il pericolo che correrebbero gli uomini di mezza età secondo lo studio condotto dai ricercatori dello University College London. Lo studio britannico sugli effetti dell’uso intenso della bicicletta sulla salute ha visto coinvolti circa 5.200 volontari, di cui circa 2000 intorno ai 50 anni. Una relazione sarebbe emersa, sostengono i ricercatori, tra il tempo di pedalata e le possibilità di sviluppo del tumore alla prostata di questa specifica fascia d’età. Nessun collegamento significativo sarebbe invece risultato per quanto riguarda l’infertilità o l’insufficienza erettile. Pur sottolineandone gli evidenti benefici in relazione alla riduzione del rischio di infarto, ictus, malattie cardiache e diabete di tipo 2, i ricercatori hanno sottolineato come: I risultati di questo studio dimostrano una relazione diretta tra rischio di sviluppare un tumore alla prostata e tempo trascorso in sella da parte di ciclisti a ridosso dei 50 anni. Questa associazione si è rivelata statisticamente rilevante in seguito a controlli al netto di specifiche variabili, inclusa l’età. In aggiunta, non c’è stata un’associazione tra tempo di pedalata e controllo clinico, suggerendo che questi risultati non sono determinati da una maggiore consapevolezza sanitaria.

 

http://online.liebertpub.com/doi/full/10.1089/jomh.2014.0012

Martedì, 17 Marzo 2015 12:47

TRICLOSAN E DANNI AL FEGATO.

17-03-2015

Una sostanza contenuta in molti saponi per le mani in commercio, l'antimicrobico Triclosan, può favorire l'insorgenza di fibrosi epatica e del cancro al fegato. A dirlo è uno studio pubblicato su Pnas da un team dell'Università della California. La ricerca ha evidenziato su modello murino un innalzamento del rischio di danni epatici con un'esposizione a lungo termine del prodotto, attraverso un'alterazione dei meccanismi molecolari che arriva a danneggiare in maniera irreversibile il corretto funzionamento del fegato. Il coordinatore della ricerca Robert H. Tuckey spiega: “l’aumento della diffusione del Triclosan rappresenta un rischio di tossicità epatica per le persone, superando il vantaggio moderato che può rappresentare come detergente antimicrobico”. Il tempo di esposizione durante la sperimentazione è stato di 6 mesi, un tempo equivalente nell'uomo a 18 anni. Il Triclosan interferisce con lo sviluppo del recettore dell'androstano, una proteina responsabile del metabolismo di sostanze chimiche estranee al corpo. La proteina danneggiata scatena una proliferazione di cellule epatiche e con il passare del tempo una fibrosi epatica. Secondo stime recenti, nel 97 per cento dei campioni di latte materno è presente il Triclosan, oltre che nel 75 per cento delle urine delle persone testate. “Potremmo ridurre una quota importante dell’impatto di questo antimicrobico eliminandolo dove è quasi inutile nel rapporto quantità-benefici, ovvero dai saponi liquidi. Mentre si potrebbe lasciare nei dentifrici, dove la sua quantità è molto bassa”, propone Tukey. L'aspetto positivo è che per arrivare a produrre danni seri deve esserci un'esposizione non solo prolungata alla sostanza ma anche molto marcata. In pratica una persona dovrebbe utilizzare ogni giorno almeno 4-5 cosmetici oltre al dentifricio per 18 anni per vedere aumentare il proprio rischio di danni epatici.
Il Triclosan è stato oggetto anche di un altro studio che ne ha evidenziato un aspetto sorprendente. Pare infatti che fra i suoi effetti ci sia quello di aumentare il rischio di infezioni, nonostante sia un antimicrobico. A fornire la sorprendente interpretazione è una ricerca dell'Università del Michigan sul Triclosan, derivato dal clorurato del fenolo che si trova nella maggior parte dei prodotti per l'igiene personale. La sostanza è stata riscontrata nel 41 per cento degli adulti presi a campione, e un'alta percentuale di essi mostrava una certa predisposizione alle infezioni da stafilococco aureo. Blaise Boles, docente di biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo dell'ateneo americano, spiega: «è molto comune nei saponi, dentifrici e collutori, ma non c’è alcuna prova che svolga un lavoro migliore del sapone normale. Questo agente potrebbe avere conseguenze indesiderate sui nostri corpi. Potrebbe promuovere lo Stafilococco aureus e colonizzare le vie nasali, mettendo alcune persone ad aumentato rischio di infezione».
Il Triclosan viene utilizzato da più di 40 anni come antibatterico nella maggior parte dei prodotti di uso comune. Alcuni studi hanno riscontrato la presenza della sostanza perfino nei fluidi umani a concentrazioni tali da disturbare la funzionalità del sistema endocrino, di quello cardiovascolare e del muscolo scheletrico. Alcune sperimentazioni hanno dimostrato che lo Stafilococco aureo coltivato in presenza di Triclosan si attaccava con molta più facilità alle proteine umane. «Alla luce del significativo utilizzo del Triclosan nei prodotti di consumo e la sua contaminazione ambientale diffusa, i nostri dati combinati con gli studi precedenti che mostrano impatti del Triclosan sul sistema endocrino e la funzione muscolare, suggeriscono che una rivalutazione del Triclosan nei prodotti di consumo sia urgente», spiegano i ricercatori. Lo studio, pubblicato su mBio, è stato finanziato dall'Istituto Nazionale di Allergologia e Malattie Infettive. Un altro studio della stessa università, pubblicato su Environmental Health Perspectives, dimostra un altro effetto negativo associato all'esposizione al Triclosan. Pare che in un gruppo di soggetti con età inferiore ai 18 anni e con livelli elevati di triclosan nelle urine ci fosse infatti anche una maggior predisposizione alle allergie, in particolare al cosiddetto raffreddore da fieno. Un autore dello studio, Allison Aiello, spiega: “i risultati confermano che per i giovani vivere in ambienti molto puliti può modificare l'esposizione a microrganismi che sono necessari per sviluppare il sistema immunitario correttamente. Essendo uno degli antimicrobici più diffusi il triclosan potrebbe essere il principale responsabile del cambiamento di questi microrganismi".
Secondo il presidente della Società Italiana di Pediatria Alberto Ugazio, la prima causa dell'aumento delle allergie negli ultimi decenni “sta proprio nella diminuzione del carico microbico ambientale. Ciò vuol dire che gli ambienti sono sempre più asettici e veniamo sempre di meno in contatto con batteri. Ma questi – precisa Ugazio – hanno anche l’importante funzione di inibire le reazioni allergiche. Si è determinato un grande aumento delle allergie, che si confermano come la patologia dei paesi ricchi. In Africa, infatti, le allergie sono un fenomeno trascurabile, proprio per la maggiore esposizione microbica”. Fattori come l’inquinamento possono aggravare la situazione allergica, ma non ne sono la causa primaria. Proprio perché il “naturale contatto con microbi e batteri in qualche modo serve anche a rafforzare le difese immunitarie dei bambini – afferma Ugazio – l’eccessiva igienizzazione è negativa. Il nostro sistema di memoria immunologica ricorda, infatti, i batteri con cui siamo entrati in contatto evitandoci infezioni successive”. Dunque non si deve esagerare neanche con l'igiene. Ad esempio si consiglia di non fare il bagno ai bambini ogni giorno, due volte a settimana è sufficiente.

 

http://www.pnas.org/content/111/48/17200.abstract

http://mbio.asm.org/content/5/2/e01015-13

http://www.sciencedaily.com/releases/2010/11/101129101920.htm

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2010-11/uom-sst112410.php

http://ehp.niehs.nih.gov/1002883/

17-03-2015

Presenza di sostanze potenzialmente cancerogene nei dispositivi medici di plastica. I bambini prematuri sono i più a rischio. Parliamo del Dehp, una sostanza chimica potenzialmente dannosa e cancerogena che fa parte degli ftalati. Questa sostanza sarebbe contenuta in alte quantità nei dispositivi medici di plastica. Il rischio per i bambini nati prematuri riguarda la dipendenza degli strumenti di plastica a cui sono collegati nelle unità di terapia intensiva. Sarebbe dunque opportuno effettuare dei controlli più accurati sui materiali utilizzati per la produzione di dispositivi medici. A mettere in luce il problema è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Perinatology, condotto da Eric Mallow, esperto della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. Lo studio in questione porta il titolo di "Phthalates and critically ill neonates: device-related exposures and non-endocrine toxic risks".
In Europa il Dehp è stato classificato come sostanza potenzialmente cancerogena, mentre negli Stati Uniti alcune aziende l'hanno messo al bando. Questa sostanza può però risultare presente in molti prodotti, dato che la posizione sugli ftalati non è definitiva. La Francia dal prossimo anno sarà il primo Paese europeo a mettere al bando l'utilizzo di Dehp nella produzione di tubicini e cannule impiegate nelle unità pediatriche, neonatali e di maternità. Al momento i test di laboratorio hanno rilevato che questa sostanza potrebbe essere correlata a difetti riproduttivi e di fertilità, effetti negativi che di solito vengono associati alla categoria degli ftalati. Dal nuovo studio emerge che cannule a contatto con il corpo e tubicini per respirare possono esporre soprattutto i bambini prematuri a quantità di Dehp superiori ai livelli considerati sicuri.
Si teme che gli ftalati possano causare problemi allo sviluppo di polmoni, occhi e cervello, come emerso da studi condotti in laboratorio che dovranno ricevere ulteriori conferme per quanto riguarda l'organismo umano. Gli ftalati si trovano sotto accusa da diversi anni. Gli studi più recenti li hanno messi in correlazione con il rischio di asma per i bambini, se ad essere in contatto con queste sostanze sono le donne in gravidanza, con l'aumento della possibilità di sviluppare il diabete di tipo 2 e con una possibile accelerazione della menopausa. E' il momento che le autorità per la sicurezza in campo medico e le aziende valutino in modo approfondito i rischi legati a questo tipi di sostanze per non mettere in pericolo la salute di bambini prematuri, donne in gravidanza e non solo.

 

http://www.nature.com/jp/journal/v34/n12/abs/jp2014157a.html

Martedì, 17 Marzo 2015 12:45

COSA DICONO I VOSTRI CAPELLI GRIGI?

17-03-2015

I capelli grigi, secondo nuovi risultati, sono causati da un’accumulo voluminoso di perossido di idrogeno dovuto ad usura e rottura dei follicoli dei capelli. Il perossido blocca la sintesi normale di melanina, pigmento naturale dei vostri capelli. Tutte le cellule pilifere producono una quantità molto piccola di perossido di idrogeno, ma durante l’invecchiamento, l’importo aumenta. Essenzialmente, si candeggia il pigmento dei capelli dall’interno per cui i capelli diventano grigi e poi bianchi. I ricercatori hanno fatto questa scoperta esaminando colture di cellule dei follicoli dei capelli umani. Hanno trovato che l’accumulo di perossido di idrogeno è causato dalla riduzione di un enzima che scinde il perossido di idrogeno in acqua e ossigeno. Inoltre hanno scoperto che i follicoli dei capelli non sono in grado di riparare i danni causati dal perossido di idrogeno a causa di bassi livelli degli enzimi MSR A e B, che servono normalmente per questa funzione. I livelli elevati di perossido di idrogeno e i bassi livelli di questi enzimi interrompono inoltre la formazione di tirosinasi, un altro enzima necessario per la produzione di melanina nei follicoli dei capelli.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2009/02/090223131123.htm

17-03-2015

Soltanto poco più di un mese fa era stato pubblicato sulla rivista scientifica Obstetrics & Gynecology uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della Malaysia in cui si suggeriva come l’avere un rapporto sessuale completo durante il nono mese di gravidanza potesse favorire il travaglio, facilitando il parto. Oggi, gli stessi ricercatori coordinati dal dottor Tan Peng Chiong, ginecologo dell’Università di Malaya, hanno scoperto che non vi sono evidenze per cui avere rapporti sessuali dopo la 36ma settimana di gravidanza possa indurre il travaglio, facilitando un puntale parto tra la 39ma e la 41ma settimana. Non sono dunque state riscontrate differenze significative nei tempi di parto tra le donne che avevano avuto rapporti sessuali dopo la 36ma settimana di gestazione e chi non aveva avuto rapporti. «Siamo un po’ delusi dal non aver trovato una associazione – ha commentato Peng Chiong nel comunicato Malaya – Sarebbe stato bello per le coppie avere qualcosa di sicuro, efficace e forse anche divertente che potevano utilizzare per indurre il travaglio un po’ prima, se l’avessero desiderato».
Questo studio, come i precedenti lavori del dottor Peng Chiong e colleghi, e altri, partivano dal presupposto che avere rapporti sessuali poco prima del parto potrebbe indurre il travaglio per diversi motivi, tra cui la presenza di una sostanza simile alla prostaglandina contenuta nello sperma maschile che si ritiene possa favorire il travaglio – la prostaglandina è infatti spesso utilizzata proprio a questo scopo. Allo stesso modo, la stimolazione dei genitali e altre zone erogene e il raggiungimento dell’orgasmo possono innescare le contrazioni dell’utero. Tuttavia, i risultati di questo nuovo studio – pubblicati sempre su Obstetrics & Gynecology – pare smentiscano questa possibilità. Sono oltre 1.100 le donne incinte inviate a partecipare allo studio. Tutte erano tra la 35ma e al 38ma settimana di gravidanza e non avevano avuto rapporti sessuali nelle 6 settimane precedenti. Le partecipanti sono state suddivise a caso in due gruppi. Le appartenenti al primo gruppo sono state consigliate da un medico ad avere rapporti sessuali durante queste ultime settimane di gravidanza, se volevano accelerare l’avvio del travaglio e facilitare il parto. Alle appartenenti al secondo gruppo, il medico ha detto che, sebbene il sesso durante l’ultima fase della gravidanza fosse sicuro, non se ne conoscevano gli effetti sul travaglio.
Le volontarie sono poi state seguite per monitorare l’andamento della gravidanza fino al parto e se avevano avuto necessità di un intervento medico per favorire il travaglio. Dopo di che, i ricercatori hanno raccolto i dati relativi ai rapporti sessuali avuti dalle donne partecipanti allo studio. Hanno così potuto scoprire che circa l’85% delle appartenenti al primo gruppo avevano seguito i consigli del medico e avevano avuto rapporti sessuali; le appartenenti al secondo gruppo tuttavia non sono state da meno e nell’80% dei casi avevano anch’esse avuto rapporti sessuali. Le uniche differenze erano nella frequenza: le appartenenti al primo gruppo lo avevano fatto in media tre volte a settimana contro le due dell’altro gruppo. Infine, analizzando l’induzione del travaglio, si è scoperto che la differenza tra i due gruppi era minima: 22% per le appartenenti al primo gruppo e 20,8% per quelle del secondo gruppo, per cui i ricercatori ritengono che non sia statisticamente significativa – e la poca differenza in favore del primo gruppo potrebbe essere dovuta al caso. In conclusione, i ricercatori ritengono che sebbene il sesso nell’ultimo mese di gravidanza sia sicuro, e anche piacevole, questo pare non induca più facilmente il travaglio. Tuttavia, se questo avviene ed è voluto dalla madre, ben venga.

 

http://www.huffingtonpost.com/2012/11/22/sex-bringing-on-labor-study_n_2174593.html

17-03-2015

Consigliare i pazienti con steatosi epatica non alcolica su come aumentare l’attività fisica, porta a benefici di salute indipendentemente dai cambiamenti nel peso. La steatosi epatica non alcolica è la forma più comune di affezione epatica cronica nei paesi sviluppati. È associata con obesità, resistenza all’insulina e diabete tipo 2 ed è caratterizzata da un aumento degli enzimi epatici. Attualmente, ai pazienti con steatosi epatica non alcolica si consiglia di cambiare il loro stile di vita, ma ci si è focalizzati sulla perdita di peso attraverso cambiamenti dietetici. Tuttavia, quando ai pazienti sono stati dati consigli di essere attivi per almeno 150 minuti la settimana, gli enzimi epatici ed altri indici metabolici sono migliorati a prescindere dalla perdita di peso.

 

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/hep.22940/full

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19444870

17-03-2015

Gli esperti oncologi internazionali hanno inserito i letti abbronzanti e le radiazioni ultraviolette nella categoria principale di rischio di cancro, ritenendo entrambi cause definite di cancro. Per anni, gli scienziati hanno descritto i letti abbronzanti e le radiazioni ultraviolette come ”probabili agenti cancerogeni.” Una nuova analisi di circa 20 studi ha concluso che il rischio per cancro cutaneo aumenta del 75 per cento quando la gente comincia a usare i letti abbronzanti prima dei 30 anni.
Cogliano ha detto che gli esperti di statistica sono sicuri che i letti abbronzanti causano il cancro, ma non sono così potenti quanto altri agenti cancerogeni come tabacco o arsenico. Secondo gli studi rivisti da Cogliano e colleghi, usando i lettini abbronzanti aumenta circa del 20 per cento il rischio relativo di sviluppare melanoma, il tipo più mortale di cancro cutaneo. Cogliano ha detto che è impossibile conoscere quanti tumori benigni cutanei potrebbero essere causati dai letti abbronzanti, a causa di altri fattori. Egli ha esaminato i dati di più di 7.000 casi di melanoma e ha trovato una forte associazione fra l’uso dei lettini e la patologia. Lo ha paragonato al collegamento fra tabacco e cancro polmonare.

 

http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS1470-2045%2809%2970213-X/fulltext

17-03-2015

Chi è affetto da una malattia infiammatoria oculare può essere sottoposto a una terapia immunosoppressiva sistemica o a una terapia a base di corticosteroidi. Nel primo caso il rischio di insorgenza del cancro è leggermente superiore. Lo dimostra uno studio pubblicato su Ophtalmology da un team di ricercatori del St. Vincent's Hospital di Sidney, che ha analizzato gli effetti dei farmaci su un totale di 190 pazienti con malattia infiammatoria dell'occhio: 132 hanno assunto immunosoppressori sistemici e 58 corticosteroidi per un periodo di 6 mesi. 88 pazienti nel gruppo trattato con gli immunosoppressori (antimetaboliti, inibitori delle cellule T e/o agenti alchilanti) e 44 in quello trattato con i corticosteroidi avevano un’infiammazione idiopatica oculare e percentuali di pazienti simili in ciascuno dei due gruppi avevano una malattia sistemica. Il follow-up è stato di 7,34 anni. Dai dati è emerso che 17 pazienti hanno sviluppato nel corso del follow up 25 tumori maligni, per un tasso di malignità pari a 2,10 per 100 anni-persona nel gruppo trattato con immunosoppressori e 0,43 per 100 anni-persona nel secondo gruppo.
Il rischio di sviluppare un qualsiasi tumore maligno era pertanto più alto nel primo gruppo. I tumori più comuni sono stati il tumore cutaneo diverso dal melanoma e il linfoma non-Hodgkin. Rispetto alla popolazione generale, il rischio di sviluppare un tumore nel gruppo trattato con immunosoppressori è risultato 4 volte più alto. Scrivono gli autori australiani: “i nostri risultati suggeriscono che i pazienti con una malattia infiammatoria oculare trattati con una terapia immunosoppressiva sistemica sono esposti a un aumento del rischio di sviluppare un tumore maligno. L'aumento del rischio assoluto è risultato modesto. I tipi di tumori per cui si è osservato un eccesso di rischio sono simili a quelli osservati nei pazienti sottoposti a trapianto di organi solidi e in quelli con malattie autoimmuni trattati con farmaci immunosoppressori per via sistemica”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25312044

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