Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

02-03-2015

L’assunzione del fluoro, i cui danni per il nostro organismo sono ormai ben documentati, avviene spesso involontariamente dato che questo è presente nell’acqua, nei dentifrici, nelle gomme da masticare, negli antibiotici e in altri medicinali. Il fluoro è anche la sostanza principale contenuta negli psicofarmaci. Viene proposto come alleato contro la carie ma in realtà il fluoro è efficace solo se applicato localmente e non quando viene assunto per via orale perché in questo modo entra nel dente attraverso il sangue ed altera la struttura del dente stesso causando fluorosi dentale. Il fluoro indebolisce la struttura ossea aumentando il rischio di fratture, aumenta il rischio di cancro alle ossa, può causare danni al cervello e ridurre la funzione della tiroide.
Un nuovo studio pubblicato su “Pharmacognosy Magazine”, dal titolo “La curcumina attenua la neurotossicità indotta dal fluoro”, dimostra che la curcuma può prevenire ed addirittura invertire i danni da esposizione alla tossicità del fluoro. Questo recente studio afferma che: “la supplementazione con curcumina riduce significativamente l’effetto tossico del fluoro a livello quasi normale aumentando la difesa antiossidante attraverso la sua proprietà di eliminazione dei rifiuti e fornisce la prova di avere un ruolo terapeutico contro lo stress ossidativo interposto della neurodegenerazione”. Un modo semplice per limitare i danni del fluoro, oltre ad evitare di bere l’acqua di rete ed usare dentifrici senza fluoro, è quello di integrare questa spezia nella propria dieta. La Curcuma possiede inoltre numerose proprietà curative tra le quali quella di inibire la crescita di alcuni tumori così come dimostrato dai ricercatori dell’UCLA Jonsson Comprensive Cancer Center.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3969660/

02-03-2015

Una brutta notizia per chi non riesce a far a meno del latte e pensa che berlo possa essere uno scudo contro lo sviluppo dell’osteoporosi, una condizione di fragilità delle ossa che aumenta il pericolo di fratture: un elevato consumo non è accompagnato da un minor rischio ‘crack’, come si pensava, mentre può essere associato a un più alto tasso di decessi. Ad affermarlo è lo studio dell’Uppsala University (Svezia) pubblicato sul British Medical Journal. La spiegazione è negli elevati livelli di lattosio e di galattosio (due tipologie di zuccheri) presenti nel latte che, come verificato in alcune sperimentazioni sugli animali, aumentano lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica. A prendersi la rivincita nello studio, che boccia il latte come alimento che può prevenire l’osteoporosi, sono invece i derivati lattiero-caseari. Questi – secondo la ricerca – sono promossi nell’attività di riduzione del rischio di fratture conseguenza proprio dell’osteoporosi. Il team di ricerca svedese ha esaminato due gruppi di 61.433 donne (di età compresa tra i 39 e i 74 anni tra il 1987 e il 1990) e 45.339 uomini (tra i 45 e i 79 anni nel 1997): i partecipanti hanno risposto ad alcuni questionari sul consumo di 96 comuni alimenti come il latte, lo yogurt e il formaggio. In seguito sono stati raccolti i dati sul peso e l’altezza.
Le donne sono state monitorate in media per 20 anni, durante i quali si sono registrati 15.541 decessi e 17.252 fratture, di cui 4.259 all’anca. Ebbene, in quelle che consumavano molto latte non è stata osservata alcuna riduzione del rischio di ‘crack’ alle ossa. Mente chi beveva più di tre bicchieri di latte al giorno (in media 680 ml) ha avuto un rischio di decesso più elevato rispetto alle donne che ne consumavano meno di un bicchiere di latte al giorno (in media 60 ml). Gli uomini sono stati monitorati per una media di 11 anni, durante i quali ci sono stati 10.112 decessi e 5.066 fratture, con 1.166 casi di ‘crack’ all’anca. Secondo la ricerca, gli uomini golosi di latte hanno fatto registrare un rischio maggiore di morte, anche se questo è stato meno pronunciato rispetto alle donne. “I nostri risultati mettono in dubbio la validità delle raccomandazioni che indicano di consumare elevate quantità di latte per prevenire le fratture da fragilità ossea – scrivono i ricercatori –. I dati dovrebbero, tuttavia, essere interpretati con cautela, dato il disegno osservazionale del nostro studio. Sono inoltre necessari – concludono – ulteriori approfondimenti prima di poter usare le conclusione come raccomandazioni dietetiche per chi è a rischio osteoporosi”.

 

http://www.bmj.com/content/349/bmj.g6015

Lunedì, 02 Marzo 2015 13:33

GLI SCONTRINI COME VEICOLO DEL CANCRO.

02-03-2015

Le persone che maneggiano scontrini sono più a rischio di altri di assorbire in maggiore misura il Bisfenolo A (o BPA) attraverso la pelle. Tuttavia, il rischio c’è per tutti, anche se non si esercita un lavoro come, per esempio, quello di commerciante o cassiera. Sono ormai diversi gli studi e le evidenze che vedono nel BPA una sostanza pericolosa per la salute. Questa sostanza, un tempo utilizzata anche nella produzione di biberon, la si trova principalmente in prodotti quali la smaltatura delle lattine, in certe bottiglie di plastica, ma soprattutto sulla superficie di scontrini o ricevute di bancomat o altri supporti che utilizzano la cosiddetta carta termica. Il Bisfenolo A è stato indicato quale perturbatore endocrino, ossia che agisce a danno del sistema ormonale. Questa azione, tra gli altri, può anche far aumentare il rischio di cancro – così come suggerito da diverse ricerche.
Ora, i ricercatori della University of Missouri-Columbia hanno scoperto che coloro che sono stati esposti ad alti livelli di BPA tramite diversi tipi di scontrini, avevano avuto un maggiore assorbimento attraverso la pelle per via del lavaggio delle mani con disinfettanti o saponi, che alterano il grado di assorbimento delle sostanze. Anche le creme per le mani, le creme solari o il toccare alimenti unti o grassi pare favorire un più veloce e maggiore assorbimento di questa sostanza dannosa. «Il primo BPA è stato sviluppato da un biochimico e testato come supplemento artificiale di estrogeni– spiega nel comunicato il dott. Frederick vom Saal, Professore di Scienze Biologiche al College of Arts and Science della MU –. Come interferente endocrino chimico, il BPA ha dimostrato di alterare meccanismi di segnalazione che coinvolgono gli estrogeni e altri ormoni. Gli scontrini di negozi e fast-food, i biglietti aerei, le ricevute di bancomat e altre carte termiche utilizzano tutti enormi quantità di BPA sulla propria superficie per poter essere stampati. Il problema è che noi come consumatori possiamo avere sulle mani disinfettanti, creme, saponi e creme solari che alterano drasticamente il tasso di assorbimento del BPA che troviamo su queste ricevute».
I risultati dello studio, pubblicati su PLoS One, mostrano che se per esempio tocchiamo uno di questi scontrini con le dita unte di grasso o di una crema, rischiamo di assorbire una grande quantità di BPA. «La combinazione di assorbimento dermico e orale di BPA – sottolineano gli autori – ha portato a un rapido e drammatico incremento massimo medio di BPA non-coniugato bioattivo nel sangue e nelle urine già entro 90 minuti». Tutto questo a dimostrazione che l’assorbimento cutaneo può far aumentare di molto l’assorbimento del BPA nell’organismo, più che quello da ingestione. A tal proposito, i ricercatori hanno scoperto che in alcuni casi l’esposizione si è riscontrata in appena due secondi. Anche se i bassi livelli di esposizione al BPA sono considerati sicuri, i risultati di questo studio suggeriscono che invece i livelli di esposizione potrebbero essere molto più alti rispetto a quanto in precedenza creduto. Oltre ai numerosi pericoli per tutti, l’esposizione al BPA in utero è stata inoltre collegata a malattie cardiache, diabete e obesità. Secondo gli scienziati, una qualsiasi esposizione durante la gravidanza può essere particolarmente pericolosa per il bambino, dato che può influenzare la salute mentale e fisica del feto.

 

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0110509

02-03-2015

Che i metalli pesanti non facciano bene alla salute, è cosa risaputa. Un pò meno nota, però, è l’azione diretta che possono avere sulla fertilità maschile. Secondo un recente studio, pubblicato sulla rivista Reproductive Toxicology e condotto congiuntamente da ricercatori della Keele University nel Regno Unito e le università di Lione e St. Étienne in Francia, l’intossicazione da alluminio incide pesantemente sulla capacità riproduttiva degli uomini. Lo studio ha analizzato lo sperma , raccolto in un clinica francese, di 62 donatori. Per gli esami è stato utilizzato un particolare microscopio a fluorescenza e un colorante specifico per evidenziare la presenza di alluminio nel liquido seminale. Particelle di alluminio sono state identificate sia nello sperma che nel singolo spermatozoo. Ciò che ha preoccupato gli studiosi, però, è stata una precisa correlazione: più alto era il contenuto di alluminio nello sperma, minore era il numero di spermatozoi. Dagli esami eseguiti, è risultato che il contenuto medio di alluminio per tutti i 62 donatori era veramente molto elevato: 339 ppb (parti per miliardo). In alcuni la quantità superava addirittura la soglia di 500 ppb.
Il professore Christopher Exley, un esperto degli effetti dell’esposizione umana all’alluminio e ricercatore principale dello studio, ha affermato che interferenti endocrini e altri fattori ambientali negli ultimi decenni sono stati collegati al generale calo della fertilità maschile: “L’esposizione umana all’alluminio è aumentata in modo significativo durante lo stesso periodo di tempo. La nostra scoperta di una contaminazione significativa del seme maschile da parte dell’alluminio deve includere questo materiale tra i fattori che stanno contribuendo ad alterare la capacità riproduttiva maschile”. Secondo diversi studi, i metalli pesanti come il piombo, il cadmio, il mercurio o ora l’alluminio, possono portare alla sterilità, causando disfunzioni, calo della qualità e quantità dello sperma o delle dimensioni dei testicoli.
Ogni giorno gli uomini vengono esposti ai metalli pesanti, senza saperlo. Si possono trovare nel cibo, nell’acqua, nell’aria, nei prodotti per la cura personale. Una delle sostanze più comuni è proprio l’alluminio, che per le sue caratteristiche è utilizzato per la produzione di stoviglie, rotoli e vaschette per la conservazione e cottura di alimenti, contenitori e così via. L’alluminio è addirittura presente in farmaci, deodoranti, dentifrici e sapone. Si stima che la fonte di contaminazione principale sia il cibo (95%). Anche per questo dovremmo prestare attenzione a conservare o cucinare i cibi all’interno di contenitori o carta di alluminio. L’ Efsa stessa ha concluso che questa sostanza può provocare “effetti avversi sui testicoli, gli embrioni e il sistema nervoso, nella sua fase di sviluppo e nella fase matura, a seguito di somministrazione di composti di alluminio con l’alimentazione”.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2014/10/141021085114.htm

http://www.alphagalileo.org/ViewItem.aspx?ItemId=146417&CultureCode=en

02-03-2015

Non si è mai capito con assoluta certezza, ma oggi sembra sia stata trovata la risposta ai problemi di emicrania: è tutta colpa dei radicali liberi. Gli studi condotti da un team di ricercatori dell'istituto scientifico San Raffaele Pisana e pubblicati sulla rivista specialistica Antioxidants & Redox Signaling rivelano che il mal di testa sia dovuto a un eccesso di ossidazione, ossia dall’azione dei radicali liberi sulle cellule e sui tessuti del nostro organismo. Quando quest’ultimi sono in numero eccessivo, provocano infatti danni all’individuo, che si segnalano con le tipiche sensazioni dell’emicrania.
Per giungere a queste conclusioni, gli studiosi italiani hanno preso in considerazione 750 persone che sono risultate affette da emicrania con aura. E secondo quanto emerso dal loro monitoraggio, è stato scoperto che in questi soggetti è presente una variante alterata, ossia un enzima che interrompe i fenomeni ossidativi della corteccia cerebrale, causando così il mal di testa. Nei soggetti sottoposti alla ricerca, è stata individuata in particolare una variante difettosa del gene SOD2, un enzima mitocondriale che fisiologicamente spegne i fenomeni ossidativi della corteccia cerebrale. Come spiega Piero Barbanti, primario neurologo dell’Irccs San Raffaele Pisana e tra gli autori dello studio, questo si osserva soprattutto in quelle persone in cui l’attacco di emicrania comporta anche lacrimazione dell’occhio e la congestione della narice. "Ciò è particolarmente vero - afferma Piero Barbanti, primario neurologo dell'Irccs San Raffaele Pisana e tra gli autori dell'articolo - in quegli emicranici in cui l'attacco comporta anche lacrimazione dell'occhio e congestione della narice". Lo studio è prezioso perché fa luce su molti interrogativi legati all’emicrania e perché potrà consentire di intervenire con agenti antiossidanti nella prevenzione del mal di testa e delle sue complicanze più temibili quali l'evoluzione in cronicità.

 

http://online.liebertpub.com/doi/abs/10.1089/ars.2014.6069

02-03-2015

Basta pensare a un dolce ( o solo guardarlo) per spingere l'organismo a migliorare il metabolismo degli zuccheri e a ridurre la loro presenza nel sangue. L'hanno verificato, sugli animali da laboratorio, i ricercatori dell'Istituto nazionale di scienze fisiologiche di Okazaki (Giappone). Come mai? In previsione dell'ingresso di nuovo zucchero, il cervello attiva una serie di reazioni a catena, attraverso l'ormone orexina, che spingono i muscoli a reclamare più glucosio e ad accelerarne il consumo. Si può usare questo facile sistema per dimagrire, o comunque per stare meglio? "E' presto per dirlo", scrivono i ricercatori sulla rivista Cell Metabolism. Ma non si sa mai...

 

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2009-12/cp-doy112309.php

02-03-2015

Alcuni scienziati inglesi della Health Protection Agency, dopo aver constatato che gli autisti si ammalavano di legionella 5 volte di più rispetto a chi non utilizzava spesso camion e auto, hanno avviato uno studio, poi pubblicato dall'European Journal of Epidemiology, per conoscere le cause. Dopo una serie di analisi e di questionari sottoposti a guidatori infetti, sono arrivati a una conclusione sconcertante: la colpa dell'infezione è dell'acqua per i tergicristalli, una nursery per il batterio della legionella, responsabile della polmonite. Il microrganismo era presente nell'acqua di una macchina su cinque. Ma niente allarmi: il sapone blocca la sua proliferazione.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20532623

Lunedì, 02 Marzo 2015 13:26

PIU' PROTEINE CONTRO L'IPERTENSIONE.

02-03-2015

Una corretta alimentazione aiuta a ridurre il rischio di ipertensione, ma cosa significa in termini pratici? Secondo un nuovo studio pubblicato sull'American Journal of Hypertension da Justin Buendia e colleghi della School of Medicine di Boston tra gli alimenti che non dovrebbero mancare ci sono quelli ricchi di proteine. Aumentare il consumo di questi nutrienti corrisponde infatti ad avere una pressione più bassa rispetto alle persone che ne introducono quantità minori. In particolare, garantirsene circa 102 grammi al giorno significa correre un rischio di ipertensione inferiore del 40% rispetto a quello di chi ne mangia circa 58 grammi al giorno.
Per arrivare a questa conclusione Buendia e colleghi hanno monitorato per circa 11,3 anni la pressione dei 1.361 partecipanti. Le analisi condotte hanno svelato anche un altro dettaglio: abbinare al consumo di proteine quello di fibre potenzia i benefici dei cibi proteici, riducendo il rischio di avere la pressione alta addirittura del 51%. Nel caso delle proteine i benefici potrebbero essere dovuti a un effetto diretto di aminoacidi come l'arginina sulla dilatazione dei vasi sanguigni, mentre le fibre oltre a migliorare la funzionalità dei vasi sanguigni potrebbero agire riducendo il rischio di resistenza all'insulina. Infine, Buendia non esclude che ad entrare in gioco possa essere il senso di sazietà associato al consumo di proteine, effetto che potrebbe avere conseguenze metaboliche come la riduzione della pressione. Il consiglio del ricercatore è aumentare il consumo di proteine sfruttando tutte le possibili fonti, da quelle animali come latte e derivati, uova e carne a quelle fonti vegetali come legumi, frutta secca, cereali e verdure. Il momento migliore per mangiarli non esiste: anche la colazione o uno spuntino possono essere una buona occasione.

 

http://ajh.oxfordjournals.org/content/early/2014/09/12/ajh.hpu157.abstract

Lunedì, 02 Marzo 2015 13:24

LE NOCI CONTRO LA MALATTIA DI ALZHEIMER.

02-03-2015

Le noci, frutto autunnale ricco di sapore e preziose virtù benefiche. Già precedenti ricerche ne hanno infatti esaltato le proprietà nutrizionali e antiossidanti, utili in molti ambiti della salute. Ora, un nuovo studio condotto dai ricercatori del Developmental Neuroscience Laboratory al New York State Institute for Basic Research in Developmental Disabilities (IBR) hanno trovato che questo tipo di frutta secca può addirittura avere effetti benefici nel ridurre il rischio, ritardare l’insorgenza, rallentare la progressione o prevenire malattia di Alzheimer. Incubo sanitario, l’Alzheimer si prospetta come una vera e propria pandemia, vista l’escalation dei casi che vengono diagnosticati di anno in anno. Ecco pertanto che tutti i mezzi possibili per prevenirne l’insorgenza – o controllarne la progressione – sono più che graditi. Se poi questi sono semplici ed efficaci al tempo stesso, meglio ancora. Semplici dunque come mangiare le noci che, a seguito di questo studio condotto su modello animale, hanno superato con pieni voti la prova Alzheimer. Nella fattispecie, la dott.ssa Abha Chauhan e colleghi hanno trovato che vi era un miglioramento significativo nella capacità di apprendimento e nella memoria, nello sviluppo motorio e con una riduzione dell’ansia, nei topi nutriti con una dieta arricchita con le noci.
Secondo i ricercatori, a essere benefico è l’alto contenuto di antiossidanti delle noci, pari a circa 3,7mmol/oncia, che potrebbe essere stato un fattore chiave nella protezione del cervello dalla degenerazione tipicamente osservata nella malattia di Alzheimer. Lo stress ossidativo e l’infiammazione sono caratteristiche importanti di questa malattia, che colpisce quasi 800mila persone soltanto in Italia, con un caso ogni dieci minuti. «Questi risultati sono molto promettenti e contribuiscono a porre le basi per futuri studi umani sulle noci e la malattia di Alzheimer, una malattia per la quale non esiste una cura nota – spiega la dott.ssa Chauhan – Il nostro studio si aggiunge al crescente corpo di ricerca che dimostra gli effetti protettivi delle noci sulle funzioni cognitive». Il team di ricerca ha esaminato gli effetti su un gruppo di topi di una supplementazione dietetica con il 6% e il 9% di noci, che sono rispettivamente equivalenti per gli esseri umani a 28,35 grammi e 42,52 grammi di noci al giorno.
La ricerca è il naturale seguito di una precedente condotta su coltura cellulare, sempre coordinata dalla dott.ssa Chauhan. Questa aveva già evidenziato gli effetti protettivi di un estratto di noce contro il danno ossidativo causato dalla proteina beta amiloide. Questa proteina è il componente principale delle placche amiloidi che si formano nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer. Come ormai accertato le noci mostrano altri benefici nutrizionali in quanto contengono numerose vitamine e minerali e sono l’unica frutta secca che contiene una fonte significativa di acido alfa-linolenico (ALA): circa 2,5 grammi per oncia. L’ALA è un acido grasso essenziale omega-3 che promuove la salute di cuore e cervello. Ed è proprio questa sostanza che, secondo i ricercatori, può aver giocato un ruolo di primo piano nel migliorare i sintomi comportamentali osservati nello studio. Ecco dunque come le noci, da buon frutto ideale per la nostra dieta, possono essere anche in qualche modo essere considerate un alimento funzionale, ossia che ha anche proprietà medicinali. Non dimentichiamoci allora di portarle sulla nostra tavola.

 


http://www.sciencedaily.com/releases/2014/10/141021125744.htm

http://www.alphagalileo.org/ViewItem.aspx?ItemId=146443&CultureCode=en

http://iospress.metapress.com/content/n644184610325684/?issue=4&genre=article&spage=1397&issn=1387-2877&volume=42

02-03-2015

Scoperto il segreto per unghie sane osservando gli zoccoli degli animali. Secondo i medici e veterinari dell'università di Nottingham, Inghilterra, le unghie limate e abbellite così come impone la moda, più larghe e corte, con bordo squadrato e linea bianca bene in vista, sia alle mani che ai piedi, è la principale causa di rotture, unghie incarnite, crescita anomala, forma a cucchiaio o troppo a punta. Gli studiosi hanno studiato le leggi della fisica alla base dello sviluppo degli zoccoli negli animali come cavalli, pecore e mucche, che soffrono molto di rotture e disturbi alle zampe, mettendo a punto un'equazione che vale anche per lo sviluppo armonioso delle unghie umane.
L'indagine è stata pubblicata su Physical Biology. Concorrono alla buona crescita naturale delle unghie alcune leggi della fisica che determinano le curvature trasversali e longitudinali della lamina ungueale. Il segreto per avere mani e piedi sani e belli è assecondare la crescita delle unghie, limando secondo la forma dei polpastrelli, senza forzature.«Si tratta di fattori che dovrebbero essere considerati nei saloni di bellezza - spiegano gli autori - Le fanatiche della manicure e della pedicure sono ad alto rischio di avere negli anni unghie incarnite e forme alterate fastidiosissime”.

 

http://www.alphagalileo.org/Organisations/ViewItem.aspx?OrganisationId=89&ItemId=146343&CultureCode=en

http://www.medicaldaily.com/ingrown-toenails-explained-physics-why-toenails-push-your-skin-and-cause-swelling-320880

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