Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

Domenica, 11 Maggio 2014 21:21

ANTIDOLORIFICI: RISCHIO PER L'UDITO.

11-05-2014

Un abuso di antidolorifici potrebbe mettere a rischio l'udito, in particolare quello femminile. Lo dice una ricerca statunitense della Channing Division of Network Medicine del Brigham and Women’s Hospital pubblicata sull'American Journal of Epidemiology. I ricercatori hanno analizzato più di 60 mila donne fra i 31 e i 48 anni per un periodo che va dal 1995 al 2012. Più di 10 mila hanno riferito di aver avuto problemi all'udito. Analizzando e incrociando i dati, gli scienziati hanno messo in luce un nesso fra l'uso di alcuni antidolorifici e la perdita di udito, connessa soprattutto all'utilizzo di ibuprofene e acetaminofene, ovvero il paracetamolo. Non è stata trovata invece alcuna associazione con l'aspirina.
Il rischio di perdere l'udito aumentava proporzionalmente all'uso che le donne facevano dell'ibuprofene. Se assunto due o tre volte alla settimana, il rischio maggiore era del 13 per cento rispetto a chi non ne faceva uso. Se l'assunzione era pari a 4 o 5 volte a settimana il rischio aumentava del 21 per cento, per 6 o più volte del 24 per cento. La dott.ssa Sharon G. Curhan, che ha curato la ricerca, spiega: “tra i meccanismi possibili potrebbe essere che i FANS arrivano a ridurre il flusso di sangue alla coclea, l’organo dell’udito, e compromettere la sua funzionalità. Il paracetamolo può depauperare i fattori che proteggono la coclea dai danni. “Se le persone hanno bisogno di assumere regolarmente questo tipo di farmaci, dovrebbero consultare il proprio medico per discutere i rischi e i benefici, ed esplorare altre possibili alternative”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22933387

Domenica, 11 Maggio 2014 21:03

MEGLIO NON AVER FRETTA DI LAVARSI I DENTI.

11-05-2014

Se appena finito di mangiare fremete dal desiderio di lavarvi subito i denti, sappiate che fate più male che bene alla vostra bocca. Lo dice una ricerca di cui fa cenno Howard R. Gamble, presidente dell'Academy of General Dentistry, secondo cui passare dalla tavola al lavandino senza soluzione di continuità produce un danneggiamento dei denti. Gli acidi presenti nel cibo e nelle bevande cominciano ad aggredire lo smalto dei denti e il livello sottostante denominato dentina, portando a una demineralizzazione dei denti. Tuttavia, spazzolare troppo presto i denti non fa altro che agevolare questi acidi spingendoli ancora più in profondità e accelerando il processo di corrosione. Lo studio si è basato sulla reazione di un gruppo di volontari – la cui arcata dentaria è stata “integrata” con campioni di dentina - a diverse sollecitazioni e strategie di spazzolatura. Ne è emerso che usare lo spazzolino nel giro di 20 minuti dall'assunzione di una bevanda gassata causa danni notevoli ai denti. Secondo gli esperti, quindi, sarebbe meglio aspettare almeno mezz'ora – meglio ancora un'ora – prima di mettersi a strofinare i denti. Passata questa mezz'ora, infatti, l'usura dei denti non risulta significativamente più alta.

 

http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9402E4DE1F3CF931A15756C0A9649D8B63

10-05-2014

Uno studio condotto da un'équipe italiana guidata dalla ricercatrice Silvia Bisti ha messo in luce le proprietà dello zafferano nel trattamento delle malattie degenerative della retina. Questa categoria di patologie mette in serio pericolo la capacità visiva di chi ne soffre, in particolare i soggetti in età avanzata. La retina è un tessuto che fa largo uso di ossigeno, il che presuppone una ingente produzione di radicali liberi, i quali, in caso di predisposizione genetica, procedono a un danneggiamento progressivo delle sue cellule. Silvia Bisti, ricercatrice presso l'Università dell'Aquila, studia da anni gli effetti degli antiossidanti sulla retina, sia di origine naturale, come ad esempio il betacarotene, sia di natura tecnologica, come le nanoparticelle: “un giorno ho deciso di testare l'effetto dello zafferano – dichiara la ricercatrice –, pianta molto coltivata intorno all'Aquila, che contiene un mix di 150 sostanze, scoprendo con sorpresa che la sua efficacia protettiva era molto superiore”.
Oltre ad essere un potente antiossidante, lo zafferano sembra agire positivamente sulla retina in quanto riesce ad attivare alcuni geni che lavorano appunto alla protezione del tessuto. Insieme al prof. Benedetto Falsini dell'Università Cattolica di Roma, la dott.ssa Bisti ha condotto un piccolo studio clinico su un campione di 25 pazienti che soffrivano di degenerazione retinica, ai quali sono state somministrate alternativamente pasticche a base di zafferano e placebo. Il risultato è che i pazienti che avevano assunto il principio attivo mostravano un miglioramento della vista superiore a quello che si ottiene con la terapia standard. Il dato positivo è che questo tipo di cura sembra prolungare i suoi effetti per un periodo di almeno 18 mesi. I due ricercatori sono ora impegnati in un'altra sperimentazione finanziata da Telethon che riguarda la sindrome di Stargardt, un difetto genetico che porta inesorabilmente alla cecità entro i trent'anni: “siamo fiduciosi che anche in questo caso lo zafferano rallenterà il decorso della malattia. Sconsigliamo però dal tentare cure fai-da-te, magari con zafferano commerciale, in dosi e genuinità non conosciute”, avverte la Bisti.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20688744

http://www.lef.org/news/LefDailyNews.htm?NewsID=9353&Section=Nutrition

 

Sabato, 10 Maggio 2014 21:55

L'ALCOL FAVORISCE LE EMORRAGIE CEREBRALI.

10-05-2014

Hanno 60 anni, ma il loro cervello sottoposto ad analisi ne mostra 14 in più. Sono i 137 pazienti di un gruppo più ampio di 540 soggetti ospedalizzati a causa di un evento vascolare cerebrale di natura emorragica presso l'unità neurovascolare del Centre Hospitalier Régional Universitaire di Lille, nel nord della Francia. Il sottogruppo che fa parte di questo campione di soggetti che hanno sofferto di emorragie cerebrali si distingue per un consumo quotidiano di almeno quattro bicchieri di alcool al giorno. Mentre le loro analisi del sangue non hanno destato particolari problemi, la condizione del loro cervello è del tutto diversa: “mostrano un invecchiamento cerebrale accelerato”, osserva la dott.ssa Charlotte Cordonnier, che ha diretto lo studio. “Non si tratta di persone alcolizzate e nessuno di loro si sente tale”, sottolinea la ricercatrice francese. È uno dei risultati più sorprendenti dello studio francese: il consumo regolare di alcool, anche se a livelli ancora lontani dall'alcolismo, rovina le arterie cerebrali al punto di provocare un evento critico.
Vi sono due tipi di lesioni possibili per le arterie cerebrali; possono intasarsi causando un infarto cerebrale o ischemia, oppure rompersi, provocando in quel caso un'emorragia. “Nell'80 per cento dei casi si tratta di un'arteria intasata, e il rischio di morire oscilla fra il 10 e il 13 per cento”, spiega la dott.ssa Cordonnier. “Quando si è di fronte a un'emorragia, tuttavia, la probabilità di morire supera il 40 per cento”. Quando l'evento è di natura emorragica, è anche molto più difficile intervenire. Per questo, continua la dott.ssa Cordonnier, “abbiamo voluto identificare il meccanismo che fa soffrire le arterie e le porta a rottura. L'ipotesi è che la patologia a carico dei vasi responsabile dell'emorragia sia favorita da un consumo cronico ed eccessivo di alcool”. I risultati pubblicati sulla rivista internazionale Neurology sono eloquenti. Non soltanto i bevitori regolari rischiano di più un'emorragia cerebrale, che può intervenire in media 14 anni prima rispetto agli altri, ma nella maggior parte dei casi l'evento si verifica nelle zone profonde del cervello, dove si trovano le arterie perforanti, quelle più vulnerabili. “L'alcool rende questi piccoli vasi sempre più rigidi e porosi. Se si aggiungono gli stravolgimenti alla coagulazione dovuti all'alcool, l'insorgenza dell'evento vascolare cerebrale diventa quasi inevitabile”, seguita la dott.ssa Cordonnier. Curiosamente, i bevitori mostrano maggiori possibilità di sopravvivere dopo l'emorragia cerebrale rispetto ai non bevitori, ma si tratta in realtà soltanto di un effetto paradossale di natura statistica, come precisa la ricercatrice francese: “non ha niente a che vedere con l'alcool, è legato semplicemente al fatto che questi soggetti hanno in media 14 anni in meno rispetto ai non bevitori vittime dell'evento vascolare cerebrale. Ed è vero soltanto per i giovani bevitori con emorragie profonde, che in ogni caso muoiono due volte di più dei giovani non bevitori”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22965674

http://www.neurology.org/content/79/11/1109

http://www.cbsnews.com/news/consuming-three-or-more-alcoholic-drinks-daily-may-raise-risk-for-hemorrhagic-stroke/

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/09/120910161155.htm

 

10-05-2014

Per chi soffre di problemi renali o ipertensione, il bagno caldo nell'idromassaggio potrebbe rivelarsi molto pericoloso. Infatti, uno studio tedesco riporta, su 'Lancet', il caso di un paziente iperteso e con insufficienza renale che, dopo aver fatto il bagno nella vasca con le bollicine, è stato vittima di un'emorragia renale. Lutz Liefeldt della Humboldt-Universitat di Berlino ricorda di aver visitato il paziente, di 36 anni che, dopo un'ora dall'abituale trattamento di dialisi, lamentava forti dolori addominali. Una Tac ha mostrato nel rene sinistro la presenza di un'emorragia e il paziente ha raccontato che, il giorno precedente, dopo la lezione di nuoto prescrittagli per ridurre l'ipertensione, aveva fatto un bagno caldo con idromassaggio nella sua vasca. Secondo Liefeldt, i reni del paziente sono stati leggermente lesionati dai getti d'acqua dell'idromassaggio. Così, il giorno dopo, gli anticoagulanti utilizzati per la dialisi hanno fatto precipitare la situazione ed i vasi sanguigni renali, già stressati, hanno ceduto ed è iniziata la vera e propria emorragia. Gli esami suggeriscono che l'emorragia era già in corso prima della dialisi, e il ricercatore avanza l'ipotesi che l'idromassaggio possa essere rischioso per i pazienti ipertesi e che soffrono di disfunzioni renali, perchè facilita la rottura dei vasi sanguigni.

 

http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2803%2912486-5/fulltext

Venerdì, 09 Maggio 2014 21:58

OLIO D'OLIVA E PESCE CONTRO LA PANCREATITE.

09-05-2014

Per prevenire o comunque alleviare i sintomi della pancreatite acuta risultano efficaci l'olio extravergine di oliva e il pesce. Lo afferma una ricerca dell'Università di Granada, in Spagna, che ha studiato gli effetti degli alimenti nei confronti di questa patologia di origine ossidativo-infiammatoria a carico del pancreas. Stando ai risultati, olio d'oliva e pesce riuscirebbero ad esercitare un effetto benefico grazie all'idrossitirosolo e all'acido oleico, elementi presenti in concentrazioni piuttosto elevate. Si tratta del primo studio ad effettuare un'analisi approfondita del rapporto fra acidi grassi e antiossidanti e i meccanismi cellulari alla base del processo infiammatorio che colpisce il pancreas. La dott.ssa Maria Belen Lopez Millan, autrice dello studio, spiega: "vi è una crescente evidenza che i processi ossidativo-infiammatori sono coinvolti nell'origine delle malattie croniche, e che la dieta giochi un ruolo importante in questo processo. Gli antiossidanti (come i composti fenolici) e gli antinfiammatori (come gli acidi grassi omega-3) hanno effetti sui componenti della dieta (nutrienti e componenti bioattivi) e possono prevenire o mitigare la patologica incidenza dei processi ossidativo-infiammatori''. Gli scienziati spagnoli hanno pubblicato i risultati su Proceedings of the Nutrition Society.
La pancreatite acuta è una flogosi acuta del pancreas che si manifesta rapidamente. I sintomi non sono costanti, ma il quadro classico è di estrema violenza. Innanzitutto il dolore fortissimo, che raggiunge la sua massima intensità in poco tempo, mantenendosi al livello più elevato anche per 48 ore. I sintomi successivi sono l'addome disteso, scarsamente trattabile, ipoperistaltico e dolente alla palpazione. Possono anche verificarsi segni di confusione mentale, irrequietezza e delirio. Frequente è anche la tachicardia. La febbre inizialmente incostante, in seguito può indicare l’infezione di focolai necrotici.

 

http://www.eurekalert.org/pub_releases/2011-12/uog-voo122211.php

http://www.sciencenewsline.com/articles/2011122216100010.html

http://www.nyrnaturalnews.com/health/2011/12/olive-oil-and-fish-in-the-diet-benefits-acute-pancreatitis/

09-05-2014

Un nuova ricerca ha dimostrato che i carotenoidi possono ridurre significativamente il rischio di cancro al seno. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of National Cancer Institute, rivela un importante relazione inversa tra i livelli circolanti di carotenoidi e il rischio di tumori al seno. In poche parole, più alimenti ricchi di carotenoidi si mangiano, più basso è il rischio di cancro al seno. A. Heather Eliassen del Dipartimento di Medicina dell’Ospedale Brigham & Women e la Harvard Medical School ed il suo gruppo di ricerca, hanno analizzato otto studi di coorte. Si tratta di studi particolarmente importanti in quanto riuniscono oltre l’80 per cento del mondo. I dati prospettici su plasma e livelli sierici di carotenoidi e cancro al seno sono appena stati pubblicati. La nuova analisi ha incluso 3.055 soggetti di ricerca e 3.956 soggetti di controllo abbinati. I livelli di carotenoidi di tutte le persone nello studio, sono stati ricalibrati per uno standard comune e per ottenere misure accurate da confrontare.
I risultati hanno mostrato una forte correlazione tra i partecipanti allo studio che non hanno avuto il cancro al seno e più alti livelli di carotenoidi nel corpo. I risultati erano più forti per il recettore dell’estrogeno negativo (ER-) cancro al seno, che è un tipo di tumore maligno al seno che è spesso difficile da trattare. Gli autori dello studio hanno scritto: “Una dieta ricca di carotenoidi, ricca di frutta e verdura, offre benefici per la salute, tra cui un possibile rischio ridotto di cancro al seno”. Questa non è la prima volta che i carotenoidi sono stati indicati per le loro proprietà anticancro. Studi precedenti hanno trovato nei carotenoidi la potenzialità di inibire la progressione dei tumori e ridurre la diffusione di entrambi i tumori: positivi al recettore degli estrogeni (ER +) e recettore estrogeno negativo (ER-). La nuova ricerca solleva la forte possibilità che una dieta ricca di carotenoidi, o integratori che contengono queste sostanze nutritive, potrebbe controllare il cancro al seno in via di sviluppo, in primo luogo. I carotenoidi più comuni includono alfa-carotene, beta-carotene, beta-criptoxantina, luteina, zeaxantina.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23221879

http://jnci.oxfordjournals.org/content/early/2012/12/05/jnci.djs461.abstract

 

07-05-2014

Uno studio condotto da un ricercatore della Michigan State University offre la prova più evidente che la riflessologia - un tipo di massaggio ai piedi praticato fin dall’età dei faraoni – può aiutare i malati di cancro a gestire i propri sintomi e migliorare le attività quotidiane. Finanziato dal National Cancer Institute e pubblicato sulla rivista Forum Oncology Nursing, è il primo grande studio randomizzato di riflessologia come complemento al trattamento del cancro standard, secondo l’autore Gwen Wyatt, professore nel Collegio di Nursing. ”La riflessologia è sempre stata considerata una misura di conforto, ma in realtà non sono mai stati documentati i suoi benefici in modo rigoroso. Questo è il primo passo verso l’osservazione di una terapia complementare”. La riflessologia si basa sull’idea che stimolando punti specifici del piede, si può migliorare il funzionamento dei corrispondenti organi, ghiandole e altre parti del corpo. Lo studio ha coinvolto 385 donne sottoposte a chemioterapia o terapia ormonale per stadio avanzato di tumore al seno che si era diffusa al di là del seno. Le donne sono state assegnate in modo casuale a tre gruppi: un gruppo ha ricevuto il trattamento da un riflessologo certificato, un altro solo un massaggio ai piedi con lo scopo di agire come placebo, e il resto solo trattamento medico standard e nessuna manipolazione del piede.
Wyatt e colleghi hanno esaminato i partecipanti sulle base dei loro sintomi dopo cinque e undici settimane. Essi hanno scoperto che il gruppo che ha sperimentato la riflessologia riferiva una significativa inferiore mancanza di respiro, un sintomo comune nei pazienti con tumore al seno. Forse a causa del miglioramento del respiro, erano anche più in grado di svolgere le attività quotidiane, come salire una rampa di scale, vestirsi o andare a fare la spesa. Wyatt ha affermato di essere stato sorpreso di scoprire che gli effetti della riflessologia sembrano essere principalmente fisici e non psicologici. “Non abbiamo avuto il cambiamento di sintomi emotivi come ansia e depressione”, ha affermato il ricercatore. “La maggior parte dei cambiamenti significativi documentati, sono riferiti ai sintomi fisici”. Anche inaspettata è stata la fatica ridotta riportata da coloro che hanno ricevuto il massaggio “placebo” del piede tanto che Wyatt è ora alla ricerca di prove per verificare se il massaggio simile alla riflessologia, eseguito da amici dei pazienti oncologici e familiari e non da riflessologi certificati, potrebbe essere una opzione di trattamento semplice ed economico. La riflessologia non sembra ridurre il dolore o la nausea, ma Wyatt ha spiegato che ciò potrebbe verificarsi perché i farmaci per la lotta contro i sintomi sono generalmente molto efficaci e di conseguenza non sono stati segnalati dalle donne in trattamento. Anche se i ricercatori solo di recente hanno iniziato a studiare riflessologia in modo scientificamente rigoroso, essa è ampiamente praticata in molte parti del mondo e risale a migliaia di anni. ”La riflessologia nasce dalla tradizione cinese e dall’Egitto, afferma Wyatt. In effetti, ciò è mostrato nei geroglifici ed è stata utilizzata per un tempo molto lungo”.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23107851

07-05-2014

I ricercatori della UCLA, Università della California, hanno scoperto che una dieta a base di acidi grassi Omega-3 e curry, ha conservato la capacità di camminare nei ratti con lesione al midollo spinale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Journal of Neurosurgery Spine ed i risultati suggeriscono che questi integratori alimentari, aiutano la conservazione delle cellule nervose e a mantenere la funzione neurologica dopo un danno degenerativo al collo. Con il normale invecchiamento, il canale spinale spesso si restringe esercitando pressione sul midollo spinale. Mentre la chirurgia può alleviare la pressione e prevenire ulteriori danni, le cellule e fibre nervose non possono essere riparate. I ricercatori hanno voluto sperimentare se la dieta può aiutare il midollo spinale a guarire se stesso. Sono stati studiati due gruppi di ratti con una condizione di mielopatia cervicale indotta, una malattia progressiva che si verifica spesso nelle persone affette da artrite reumatoide o osteoporosi. La mielopatia cervicale può portare a sintomi neurologici invalidanti come difficoltà a camminare, dolore al collo e al braccio, intorpidimento della mano e debolezza degli arti.
E’ inoltre, la causa di problemi alla colonna vertebrale nelle persone over 55. Il primo gruppo di animali è stato alimentato con dieta occidentale ricca di grassi saturi e zucchero. Il secondo gruppo ha consumato una dieta standard integrata con acido docosaesaenoico o DHA e la curcumina, un composto della curcuma o curry, una spezia indiana. Il terzo gruppo di controllo, ha seguito una dieta standard. Perchè sono stati usati questi integratori? DHA è un acido grasso omega-3, già dimostratosi utile per riparare i danni della membrana cellulare, mentre la curcumina è un potente antiossidante. Entrambi hanno proprietà antinfiammatorie. Anni di ricerca hanno dimostrato che la curcumina e DHA, possono influenzare positivamente il cervello e di conseguenza possono essere utili anche nelle lesioni del midollo spinale. L’andatura dei ratti è stata controllata su base settimanale. Già dopo tre settimane, i ratti alimentati con dieta occidentale hanno dimostrato un peggioramento nella deambulazione, mentre i ratti alimentati con integratori DHA e curcumina, hanno dimostrato di camminare significativamente meglio rispetto al primo gruppo. Successivamente i ricercatori hanno esaminato il midollo spinale dei ratti per valutare lo stato delle lesioni a livello molecolare, misurando i livelli di tre marcatori rispettivamente legati ai danni alla membrana cellulare, alla riparazione cellulare e alla comunicazione cellulare. I ratti nutriti con dieta occidentale hanno mostrato livelli più elevati del marcatore legato ai danni della membrana cellulare, al contrario, il secondo gruppo ha mostrato livelli di marker inferiori al gruppo di controllo.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22735048

07-05-2014

Lo rivela uno studio dell’Università A&M in Texas secondo cui il cocomero contiene la citrullina, una sostanza in grado di dilatare i vasi sanguigni. La notizia è giunta dagli Stati Uniti già da diverso tempo, e riferisce di uno studio scientifico sull’anguria, confermando le sue capacità di aumentare la libido. Anzi, dietro l’umile cocomero si nasconde il sostituto naturale del Viagra. I ricercatori dell’Università A&M del Texas hanno scoperto che l’anguria ha gli stessi effetti dei farmaci utilizzati per combattere le disfuzioni erettili – Viagra, ma anche Cialis o Levitra – perché agisce sui vasi sanguigni, dilatandoli. Alla base di queste reazioni c’è la citrullina, una sostanza naturale. Ogni volta che si mangia una fetta di anguria, il corpo assume la citrullina, che, grazie all’azione di alcuni enzimi, si converte in arginina, un amminoacido che, tra l’altro, dà benefici anche al cuore, al sistema circolatorio e a quello immunitario. Ma, tornando alle capacità amatorie, l’arginina agisce direttamente sui capillari: “Eleva la concentrazione di ossido di azoto, che a suo volta fa rilassare i vasi sanguigni – chiarisce Patil, autore della ricerca – e così cura la disfunzione erettile. Forse ha addirittura la capacità di prevenirla. Senza avere gli effetti collaterali del Viagra”. Non solo: l’arginina aiuta anche il ciclo di smaltimento dell’urea, eliminando l’ammoniaca e gli altri composti tossici dell’organismo. Eppure sostituire la “pillola blu”, che proprio nel 2008 ha festeggiato il suo decimo compleanno, non sarà così immediato. E questo perché la “magica” citrullina raggiunge la massima concentrazione nella parte bianca dell’anguria. Quella che di solito si scarta, ma che potrebbe entrare nelle abitudini alimentari dei maschi di tutto il mondo. Gli scienziati del Texas hanno già fatto sapere che stanno lavorando per sviluppare una qualità di anguria che contenga altissime dosi di citrullina anche nella polpa.

 

http://www.sciencedaily.com/releases/2008/06/080630165707.htm

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